Dietro i nostri profumi ci sarebbe il lavoro dei bambini, sostiene un’inchiesta della BBC © the blowup/Unsplash

Un’inchiesta della BBC sostiene che in Egitto buona parte del gelsomino necessario per i profumi sia raccolto da bambini, anche di cinque anni

Luca Pisapia

Bambine e bambini, anche molto piccoli, al lavoro tutta la notte nei campi per raccogliere i fiori di gelsomino, prima che il sole li danneggi. Il tutto per l’equivalente di un paio di euro a turno. Nemmeno a testa, ma a famiglia. Il tutto per rendere puliti e profumati i ricchi che possono permettersi di acquistare i prodotti di cosmetica delle migliori marche. Ecco le nuove forme della schiavitù contemporanea mostrate da una inchiesta della BBC che mette sotto accusa due colossi del settore come L’Oréal ed Estée Lauder. I due giganti che controllano praticamente tutti i grandi marchi di profumi a livello globale, anche quelli nelle nostre case, e per le loro pubblicità utilizzano i testimonial più famosi. Peccato che per produrli, questi profumi, utilizzerebbero invece le mani dei bambini.

L’Oréal, tra i cui azionisti figurano le maggiori banche e i più importanti fondi finanziari, è la prima azienda per fatturato a livello mondiale operante nel settore cosmetica e bellezza. E ogni anno fattura quasi 40 miliardi di euro. Estée Lauder la segue a ruota, con 7 miliardi l’anno. Ma evidentemente alle due multinazionali non basta. Vogliono guadagnare sempre di più. Secondo l’inchiesta, per farlo non disdegnano di sfruttare il lavoro minorile. Lo spiega Christophe Laudamiel, profumiere indipendente: «L’interesse dei cosiddetti “maestri” è quello di avere l’olio più economico possibile da mettere nelle loro bottiglie. Senza curarsi dei salari o delle condizioni di lavoro dei raccoglitori, né tantomeno del prezzo effettivo del gelsomino. Loro vanno oltre». Le aziende citate nell’inchiesta smentiscono ogni accusa.

Le multinazionali occidentali e il lavoro minorile in Africa

L’inchiesta della BBC parte da un piccolo villaggio nel distretto di Gharbia, in Egitto, da dove si stima che provenga oltre la metà della fornitura mondiale di fiori di gelsomino. E in particolare dalla famiglia di Heba, una raccoglitrice che ogni notte si sveglia alle 3 per iniziare a raccogliere i fiori prima che il calore del sole li danneggi. Heba spiega che, come la maggior parte dei raccoglitori di gelsomino in Egitto, anche lei per lavorare ha bisogno dell’aiuto dei suoi quattro figli. Bambine e bambini di età compresa tra 5 e 15 anni. Perché, come in tutte le situazioni di caporalato, più fiori raccolgono e più riescono a guadagnare. E per una notte di lavoro, un adulto e quattro bambini, tolto il terzo del guadagno che finisce nelle tasche del proprietario dei terreni, rimane loro in tasca un dollaro e mezzo. Ovvero un euro e quaranta centesimi.

Ma non è finita qui. Perché a una delle figlie, Basmalla, di dieci anni, è stata diagnosticata una grave allergia agli occhi. E, durante la visita in ospedale a cui i reporter hanno assistito, il medico ha spiegato che la vista della bambina sarebbe stata compromessa per sempre se avesse continuato a raccogliere il gelsomino senza trattare l’infiammazione. Ma quella di Heba e Basmalla non è certo un caso isolato, anzi. Nel reportage, realizzato durante l’estate del 2023, sono molti i lavoratori che hanno raccontato di essere costretti a portare i figli a lavorare la notte con loro. Per poter sopravvivere a causa del continuo abbassarsi del prezzo del gelsomino. Così come sono moltissimi i bambini che lavorano nelle fabbriche che trasformano i fiori.

Nessuno uscirà pulito e profumato da questa storia

Una volta raccolti e pesati, i fiori sono infatti trasferiti tramite punti di raccolta in una delle numerose fabbriche locali che estraggono olio. Le tre principali in Egitto sono A Fakhry and Co, Hashem Brothers e Machalico. E ogni anno sono loro a fissare il prezzo del gelsomino. Le fabbriche egiziane poi esportano l’olio di gelsomino nelle case di fragranze internazionali dove vengono creati i profumi. Givaudan, con sede in Svizzera, è una delle più grandi, e si rifornisce principalmente da A Fakhry and Co. Qui un loro dirigente, che ha parlato in forma anonima, spiega come il trucco sia sempre quello di affidarsi a fornitori e controllori esterni. Poi le essenze finiscono nei prodotti di Lancôme (di proprietà di L’Oréal) e Aerin Beauty (di Estée Lauder). E infine sulla nostra pelle, per farci sentire meglio.

Le due multinazionali smentiscono tutto. Sia le fabbriche egiziane, sia L’Oréal ed Estée Lauder affermano di avere policy di tolleranza zero nei confronti del lavoro minorile. E di essere da sempre impegnate a rispettare i diritti umani. Ma è lecito supporre come sia la compartimentazione a permettere loro di fingere di non sapere nulla. Come ha spiegato infatti il professor Tomoya Obokata, relatore speciale delle Nazioni Unite sulle forme contemporanee di schiavitù: «Sulla carta, queste multinazionali continuano a promettere tante cose buone. Come la trasparenza nella catena di fornitura e la lotta contro il lavoro minorile. Guardando questo filmato, però, è chiaro che non fanno le cose che avevano promesso di fare». È chiaro altresì che da questa storia nessuno potrà uscire pulito e profumato

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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