I padroni, riuniti nella loro assemblea annuale, hanno stabilito che per far ripartire l’economia del Paese (leggasi: incentivare la creazione di maggiori profitti in un periodo di magri investimenti, di pochi rischi per loro ricchi signori) servono due cose: l’abolizione del cuneo fiscale per le assunzioni dei giovani e l’evitamento di una legge elettorale proporzionale.
Che ricerchino da sempre meno tasse possibili è nel DNA dell’essere padroni, non potrebbe essere altrimenti: meno balzelli di Stato vuol dire più profitti ricavati senza spendere soldi “inutili”.
Dietro agli studi macroeconomici stanno poi le parole del presidente di Confindustria che, va detto per onestà intellettuale, non sono “mezze parole”, ma sono chiare espressioni di ciò che una determinata classe vuole dall’intero Paese.
Scrive Boccia, infatti, che l’Italia per crescere ha bisogno di “coesione sociale”: ciò in un ambito antisociale che si è fatto avanti in questi anni, di chiaro stampo iperliberista, che ha prodotto, sempre secondo i dati del sindacato padronale, 4 milioni e mezzo di poveri e 8 milioni di persone senza lavoro.
Il debito pubblico, continua Boccia, si aggira sui 2 mila e 300 miliardi di euro e cresce annualmente a fronte di un PIL invece del tutto stagnante.
Così, la crescita diventa per la classe imprenditoriale impercettibile sul piano della relazione tra salario – produttività – profitto.
Salari più alti non ne possono elargire, la produttività non la possono aumentare e, quindi, non riescono a fare quei profitti che invece i loro omologhi tedeschi fanno ampiamente.
Insomma, Confindustria si lamenta di un governo della cosa pubblica che ha buttato via venti anni. “Vent’anni perduti”. Così sintetizza il presidente degli industriali.
Effettivamente, anche dal nostro punto di vista, che è esattamente l’opposto di quello di Boccia, abbiamo vissuto vent’anni e anche di più in cui se si fosse diminuito l’orario di lavoro a 35 ore settimanali a parità di salario si sarebbe fatta entrare molta mano d’opera nelle industrie sacrificando ovviamente i profitti ma aumentando la ricchezza generale del Paese perché i salari avrebbero permesso di aumentare la domanda interna e quindi, di conseguenza, tutto il circuito economico, pubblico e privato, ne avrebbe giovato.
Ma il terrore non erano tanto le 35 ore o la parità di salario: anche. Ciò che è impossibile per i padroni è consentire che avanzino istanze sociali che dimostrino la fallacità del sistema capitalistico, dei teoremi di “grande economia” che illustri professori costruiscono sopra i dettami del merceologismo.
Se per caso i lavoratori creano una alternativa a ciò che viene fatto passare come “naturale” e, quindi, non opinabile, e se questa alternativa funziona concretamente nella realtà produttiva, allora cede il dogma del liberismo, cede la contraddizione massima che è il capitale e ciò rischia di cementare le forze sociali e mette, questo sì, in serio pericolo il dominio padronale fondato sull’incontrovertibilità del sistema.
Ha ragione Boccia quando afferma che sono stati questi ultimi venti anni un tempo perduto: infatti, mentre la Cina investiva nei brevetti arrivando a produrne un quantitativo pari al 50% del totale mondiale, l’Italia dei padroni cosa faceva in merito? Poco o niente.
Così l’Italia viene spinta ad essere competitiva, in Europa e nel mondo. Viene invitata a non respingere la globalizzazione, cui si può spendere anche qualche buona parola per una fratellanza universale che accomuni tutti gli sfruttati in nome non della loro liberazione ma del loro servaggio continuo sotto regole sempre più precarie nel mondo del lavoro.
Per tornare dunque “stabili” sul piano economico, dicono i confindustriali, serve però una “vocazione maggioritaria” in tema di rappresentanza elettorale. Il proporzionale è fumo negli occhi per i padroni: creerebbe un vuoto politico, una inagibilità governativa.
Insomma, ci vuole un aiutino per fare in modo che chi governa, anche se non ne ha il titolo perché non ha la maggioranza dei voti validi, possa averla comunque con qualche giochetto che metta in premio un quantitativo di seggi che possa garantire che il sistema giri come vogliono loro.
L’importante è che al governo ci sia sempre qualcuno che si impegni a non mettere in discussione la stabilità dell’ordine antisociale costituito che emana da Bruxelles fino a Roma.
Così, sappiamo cosa dobbiamo fare noi comuniste e comunisti, noi della sinistra di alternativa: esattamente l’opposto di ciò che propone Confindustria.
Basterebbe rileggersi qualche pagina de “Il manifesto del Partito comunista” per accorgersi che, certamente, i tempi sono cambiati. Ma non poi così tanto se dobbiamo ancora oggi rivendicare una tassazione progressiva, fortemente progressiva (come bene recita il testo redatto da Marx ed Engels), una riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario e una legge elettorale unicamente proporzionale per creare le condizioni di un governo non secondo il padronato ma secondo il volere popolare.
Ciò sarebbe una contraddizione nel sistema attuale: possono i poteri economici tollerare un governo che riduca i loro privilegi? Non possono. Ma se un governo di questa natura riuscisse anche solo a mettere in crisi l’assetto liberista in Italia, potrebbe essere il primo passo per un effetto a catena.
Ciò che è accaduto in Grecia sta lì a dimostrare che errori ne sono stati fatti tanti, che i condizionamenti europei su un popolo e un paese strangolato dall’Europa sono stati pesantissimi e hanno influito sulle riforme che Tsipras voleva fare, ma tutto ciò ci parla sempre della possibilità della creazione di una alternativa a questo sistema.
Perché nulla è immobile e anche gli interessi e i privilegi mutano. Bisogna sfruttare ogni incertezza e ogni debolezza del ricco per far avanzare la sicurezza e la forza del povero, dell’indigente, del moderno proletario.
Leggetevi la relazione di Boccia e scrivete il contrario di essa. Avrete un programma di sinistra antiliberista e di alternativa anticapitalista. E’ facile, in fondo…

lasinistraquotidiana

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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