L’ottimo A.E. Pritchard riassume la situazione della crisi delle banche venete, intervistando anche Claudio Borghi. La permanenza nell’eurozona è costata all’Italia prima un “decennio perduto” e ora, come ulteriore conseguenza, una grave crisi bancaria, che non può essere risolta definitivamente… a causa delle stesse regole dell’eurozona.
Di Ambrose Evans-Pritchard, 26 giugno 2017
L’infinita crisi bancaria italiana è tornata alla ribalta. Il piano di emergenza per salvare due banche venete per un costo complessivo di 17 miliardi di euro è un fiasco di prim’ordine.
Gli italiani hanno lasciato che la crisi si incancrenisse, ma la causa sottostante è il regime insostenibile imposto dalle stesse autorità UE.
Se Bruxelles e Francoforte avessero permesso all’Italia di nazionalizzare Veneto Banca e la Banca Popolare di Vicenza con condizioni flessibili due anni fa, la crisi sarebbe stata ricomposta con meno danni all’economia italiana e con un costo molto inferiore per lo Stato.
Il piano di emergenza svelato dalle autorità UE venerdì notte mette al riparo gli obbligazionisti “senior” e i possessori di depositi anche oltre i 100.000€, lasciando che i contribuenti italiani paghino il conto.
Un conto che potrebbe ammontare ad un punto percentuale di PIL, spingendo così il debito pubblico al 133% dello stesso PIL. Anche se questo valore è ancora gestibile, è comunque fastidiosamente alto considerata la fase del ciclo economico globale in cui ci troviamo, e mette a rischio la sorte di un paese privo della propria sovranità monetaria e della propria banca centrale.
Gli speculatori che si sono appropriati del debito di queste due banche con uno sconto del 70% rispetto al valore nominale stanno facendo profitti da capogiro. “Le obbligazioni senior volano negli scambi a Milano. I fondi speculativi hanno appena guadagnato un sacco di soldi, e i contribuenti sono i grandi perdenti” ha detto un banchiere italiano.
Lo scopo delle nuove regole bancarie dell’eurozona è che la società non dovrebbe farsi carico delle perdite delle banche in fallimento, fintanto che gli investitori non abbiano subito il maggiore impatto. Questo principio è stato subito infranto alla prima occasione importante. E’ stato individuato un cavillo nella legge.
“Certamente la decisione è contraria allo spirito della legge. Avrebbero dovuto lasciare che gli investitori subissero le perdite con un taglio del 20% del loro investimento”, ha detto Lorenzo Codogno, l’ex capo economista del tesoro italiano e adesso impiegato presso LC Macro Advisors.
La Banca Centrale Europea ha detto che entrambe le banche “stavano fallendo o sarebbero verosimilmente fallite” e che tutti i tentativi di trovare una soluzione realistica erano falliti. Tuttavia, sono state esentate dall’applicazione della regola draconiana del “bail-in”.
Bruxelles ha permesso un’eccezione alle normali regole riguardo gli aiuti di stato, sostenendo che il pacchetto di salvataggio era necessario per “evitare perturbazioni economiche nella regione veneta”. Detto in altri termini, la UE è al momento molto preoccupata dalla situazione politica italiana.
I termini dell’intervento sono incredibili. Per decreto, le attività sane saranno separate e vendute per la somma simbolica di 1€ a Banca Intesa, che otterrà anche un’iniezione di contanti di 5,2 miliardi di euro dallo stato per preservare i suoi coefficienti patrimoniali.
“Bella la vita. Lo Stato stacca un assegno ad Intesa e le regala tutte le attività migliori, mentre i contribuenti si tengono le attività marce. E’ incredibile” ha detto Claudio Borghi, capo economista della Lega Nord.
Qualsiasi perdita futura sofferta da Intesa a causa di questo accordo, sarà coperta dal Tesoro. Una clausola dell’accordo dice che niente potrà essere cambiato quando i parlamentari italiani voteranno per confermare il decreto in parlamento. Il prezzo delle azioni di Intesa è salito del 4% lunedì, mentre Unicredit è salita del 3,6%.
Borghi sostiene che le due banche venete avrebbero potuto essere riportate in salute con i giusti interventi. Anche se i crediti inesigibili rappresentavano il 37% dei prestiti totali – il doppio rispetto alla media italiana – la principale causa non è stata l’eccessiva propensione a concedere prestiti o la speculazione.
“Abbiamo vissuto 13 trimestri di recessione. L’austerità che abbiamo dovuto sopportare avrebbe distrutto qualsiasi sistema bancario. Il vero problema è il ‘decennio perso’ dell’Italia”. L’economia si sta infine riprendendo, ma il PIL rimane dell’8% inferiore rispetto a prima della crisi-Lehmann.
I rialzi dei tassi della BCE del 2011 si sono rivelati uno shock macroeconomico per l’Italia, in quella fase. Hanno incancrenito le difficoltà del paese. Bruxelles ha aggravato la crisi ordinando all’Italia di condurre una stretta fiscale pro-ciclica eccessiva.
La UE ha continuato ad aumentare le sue richieste sui coefficienti patrimoniali delle banche, senza aspettare che queste si riprendessero. L’ultima goccia è stato il panico in cui sono stati gettati i clienti dal duro regime di insolvenza per gli obbligazionisti, insieme a una politica di tagli sui depositi che era stata sperimentata con risultati scioccanti a Cipro.
“Dire ai cittadini che non si possono più salvare le banche, è come buttare benzina sul fuoco. Le persone non stanno ad aspettare di essere liquidate. Non sono stupide” ha detto Borghi.
La conseguenza del timore di bail-in è stata una lenta fuga di capitali dal sistema bancario italiano. Le due banche venete hanno perso il 44% dei propri depositi tra giugno 2015 e marzo 2017. Sono entrate in un circolo vizioso. Insieme al Monte dei Paschi di Siena (un dramma parallelo), l’emorragia di depositi è stata di 65 miliardi di euro.
Immediatamente, i politici tedeschi di qualunque estrazione, si sono precipitati a denunciare il salvataggio come una disgrazia. “La promessa che i contribuenti non sarebbero più stati chiamati a pagare per i problemi delle banche è svanita in una notte nebbiosa” ha detto Markus Ferber dei Cristiani Sociali Bavaresi (CSU).
I Democratici Liberali (FDP) hanno insinuato che l’unione bancaria UE è a rischio. Le fonti a Bruxelles temporeggiano. Dicono che il rifiuto della Germania a sostenere l’unione bancaria con una garanzia dei depositi a livello europeo la rende impraticabile, quindi le regole devono essere modificate.
Roma ha commesso errori. L’ex premier Matteo Renzi ha puntato i piedi. Il Fondo Atlante, sostenuto dallo stato, era troppo piccolo per ridare fiducia. “La morale della storia è che più si aspetta, peggiore diventa la situazione” ha detto Codogno.
L’Italia ha avuto un pessimo tempismo. La Germania, l’Olanda, il Belgio (e il Regno Unito) hanno salvato le proprie banche utilizzando molti più soldi durante la crisi-Lehmann, con le vecchie regole. A quei tempi, la percentuale di crediti inesigibili era molto bassa in Italia. Quando poi si sono sviluppati i problemi italiani, le nuove regole erano ormai operative (più precisamente, le regole sono diventate operative mentre si sapeva già che i nostri problemi stavano per arrivare, mentre il Nord Europa aveva già ristrutturato con le vecchie regole, NdVdE).
Codogno ha detto che non bisogna interpretare questa disgrazia come un segno che la crisi bancaria italiana si sta aggravando ora. Potrebbe invece trattarsi del momento più buio prima dell’alba. Anche se i crediti deteriorati sono ancora intorno ai 350 miliardi di euro, molti sono compensati dalle relative riserve.
Il bilancio dei crediti deteriorati netti è di 76 miliardi e in rapida contrazione. Unicredit li ridurrà di altri 12 miliardi di euro in termini pre-concordati a luglio. Entro la fine dell’anno l’eredità tossica sarà ridotta al 3% del totale dei prestiti.
Ora, molto dipende da quanto durerà l’attuale ciclo economico globale, e cosa accadrà quando la BCE smetterà di assorbire totalmente l’emissione del nuovo debito pubblico italiano. La Banca Carige di Genova è la prossima a rischio, se i guai dovessero continuare.
Che il peggio sia passato o meno, una cosa è chiara: non è questo il modo in cui l’Europa dovrebbe gestire l’Unione Bancaria.