Lo scorso 30 giugno nell’aula del parlamento europeo di Strasburgo si è svolta una cerimonia funebre in onore di Helmut Kohl: gli enfatici resoconti dei gazzettieri di regime hanno descritto questa commemorazione come il primo funerale di stato dell’Unione europea. Ovviamente ai morti, sia quelli illustri sia quelli “normali” come noi, non interessa affatto come si svolge il proprio funerale; è un rito che si fa esclusivamente per i vivi. E infatti dei vivi voglio parlare.

La foto di gruppo di quel rito funebre è una sorta di amarcord della politica degli anni Ottanta e Novanta. Ovviamente da allora sono cambiate parecchie cose, anche se non la costante che domina la storia politica dalla seconda metà degli anni Ottanta del secolo scorso, ossia dai tempi di Margaret Thatcher e di Ronald Reagan: la programmata distruzione dei vincoli imposti alla bestia capitalista quando finì la seconda guerra mondiale. Si è trattato a dire il vero di un processo cominciato molti anni prima, con la presidenza di Richard Nixon e con la fine del sistema di Bretton Woods, ma che ha avuto culmine in quegli anni e di cui vediamo ora dispiegarsi tutte le conseguenze. La bestia, lasciata libera, si è scatenata e, assetata di sangue, ha imposto la propria forza su di noi incurante dei drammi che avrebbe provocato. In questo quarantennio si è lasciato che nella guerra di classe i padroni dispiegassero tutta la loro forza contro i lavoratori e naturalmente hanno vinto, anche a seguito della nostra resa; e le generazioni future ci condanneranno per la nostra viltà.

La storia di questi quarant’anni anni è sostanzialmente il modo in cui la bestia del capitale si è imposta sulla politica, prendendone il posto. La presidenza di Trump negli Stati Uniti e di Macron in Francia, pur con le differenze e i caratteri tipici di quei due paesi, rappresentano esattamente l’esito di questo processo, la fine della politica come mediazione tra classi e la sua resa alle forze del capitale, che non devono neppure più far finta di dover trattare con i politici, ma che ne hanno preso direttamente il posto. Chissà se uomini come Kohl, come Andreotti, come Mitterand, si stavano rendendo conto di quello che stava succedendo, di quello che sarebbe successo: ovviamente è qualcosa che non potremo mai sapere.

Di quel funerale mi ha colpito un’altra cosa. Mentre nel resto del mondo la politica è radicalmente cambiata nel modo in cui prima ho descritto, in Italia è rimasta sostanzialmente ferma a quegli anni lì. Il nostro paese infatti era rappresentato da due leader piuttosto anziani, Romano Prodi e Silvio Berlusconi, il cui ruolo, nonostante tutto, continua a essere determinante. Nessuno degli altri presenti al funerale, da Felipe Gonzales a John Major, ha un tale peso nel proprio paese.

Nonostante tutto quello che sembra successo in questi anni – “rottamazioni” comprese – le prossime elezioni politiche pare diventeranno l’ennesimo scontro tra Prodi e Berlusconi, anche se per interposta persona. Ma, come ci insegna Sean Connery, never say never again: non mi sento di escludere che possano entrambi essere direttamente in campo. Sono passati ventun’anni dal 1996, Vasco Rossi ha fatto il suo concerto il sabato sera su RaiUno, eppure noi siamo ancora qui a confrontarci tra un centrodestra che in nome del potere raccoglie il peggio della storia di quel parte politica e un centrosinistra che ha sostituito il socialismo con un compassionevole pietismo cattolico. Una parte rilevante della sinistra italiana parla di “nuovo Ulivo” come fosse una cosa normale, come fosse una prospettiva reale. E vedrete che un maggiore coinvolgimento di Berlusconi in vista delle prossime elezioni porterà alla riproposizione di quella union sacrée antiberlusconiana, che è stata la sciagura della storia della sinistra in Italia.

Credo che ricorderete il film Ricomincio da capo, che peraltro è di quegli anni là, il 1993 per la precisione. Il protagonista, un divertente Bill Murray, è un meteorologo costretto a rivivere sempre lo stesso giorno: a noi sta succedendo più o meno la stessa cosa. Bisogna che spezziamo l’incantesimo e che ci lasciamo alle spalle quella storia lì e proviamo a cominciarne una radicalmente diversa.

 

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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