Il ceto politico voltagabbana: entrismo, destrismo, conformismo, pentitismo. Le mille giravolte dall’estrema sinistra verso il centro
di Enrico Baldin
Qualcuno li chiama opportunisti, qualcun altro si spinge a chiamarli traditori. Loro, gli interessati, il più delle volte glissano, altre volte parlano delle “incendiarie” idee di gioventù divenute incompatibili con la maturità, o di normali percorsi politici con un punto di partenza ed un punto di approdo. Lo si definisca come si preferisce, ma quello che per qualcuno è “trasformismo” e per qualcun altro è solo un “percorso”, ha visto come protagonisti molti personaggi, più o meno illustri, partiti da formazioni di sinistra. Quando Enrico Berlinguer parlava della questione morale non intendeva questo, ma a sinistra c’è irrisolta una questione morale enorme. La morale, si sa, è soggettiva ma certe cose non fanno mai fare bella figura. E vedersi tra l’establishment politici che in precedenza avevano giurato di combattere il potere, crea più di qualche grattacapo.
Da comunista a fascista
A volerci prendere il giro largo si potrebbe partire da lontano, da quel Nicola Bombacci – esponente massimalista del Partito Socialista – che fondò con Gramsci, Terracini e Bordiga il Partito Comunista d’Italia. Bombacci fu eletto alla Camera due volte e dopo controversie col partito, venne espulso nel 1927. Negli anni ‘30 si avvicinò al fascismo fino ad aderire alla RSI. La fine del percorso, datata aprile 1945, lo vide di fronte ai fucili dei partigiani che poi lo appesero a fianco a Mussolini a piazzale Loreto.
Trasformismo giornalistico
In altri anni a far mancare il loro apporto alla causa rivoluzionaria furono dei pezzi di quella sinistra erede del ’68. A partire da alcuni giornalisti all’epoca molto radicali, frequentatori inquieti delle università più combattive. Uno tra questi è l’ex direttore de La Stampa e del Corriere della Sera Paolo Mieli: militante di Potere Operaio, Mieli fu tra i giornalisti più vicini alle cause della sinistra rivoluzionaria. Ferruccio de Bortoli, anch’egli direttore del Corriere, era attivo col Movimento Lavoratori per il Socialismo. Altro sessantottino pentito fu l’attuale direttore di Tgcom 24, Paolo Liguori, passato anche per Il giornale di Indro Montanelli. Liguori a fine anni ’70 scriveva per Lotta Continua e era aderente dell’omonima organizzazione. Pure Giampiero Mughini scriveva per Lotta Continua: oggi estromesso dall’ordine dei giornalisti, è ricordato più per la sua comparsa in diverse trasmissioni sportive che per le collaborazioni con Libero di Vittorio Feltri e con Il Foglio di Giuliano Ferrara. Anche Antonio Polito, oggi editorialista del Corriere ha trascorsi nella sinistra extraparlamentare: stava nell’Unione Comunisti Italiani, piccola formazione maoista ultra-ideologica che lo cacciò per essersi recato a praticare uno sport di manifesta estrazione borghese, il tennis.
Maoisti di governo
Da un maoista all’altro, lo stesso premier Paolo Gentiloni era attivo nel Movimento studentesco e poi ricoprì incarichi dirigenziali nel Movimento Lavoratori per il Socialismo. Prima di diventare premier, Gentiloni collaborò con l’ex sindaco di Roma Rutelli e fu direttore di una rivista ambientalista. Breve trascorso giovanile da maoista fu anche per l’ex ministra Linda Lanzillotta, oggi nell’ala moderata del Pd dopo esser passata per Scelta Civica di Mario Monti.
Anche i fratelli Tito e Stefano Boeri erano tra i maoisti della prima ora. Dei maoisti un po’ borghesi, rampolli di famiglia ricca. Oggi il primo – già consulente di istituzioni “poco maoiste” come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale – da presidente dell’INPS è tra i principali teorici del lavoro a tutele crescenti. Il secondo, architetto tra i più quotati in Europa, ha fatto l’assessore col Pd a Milano nella giunta Pisapia, con deleghe a cultura ed Expo.
Marxisti-leninisti con Berlusconi
Non è solo il PD ad aver attinto dalla sinistra radicale di quegli anni. Anche Forza Italia ha “goduto” del contributo di rivoluzionari che hanno cambiato idea. Ferdinando Adornato e Sandro Bondi, ad esempio: il primo con tessera FGCI in tasca e con posto di lavoro a L’Unità passerà con Berlusconi prima e con Casini dopo; il secondo divenuto anche sindaco comunista in un comune toscano a inizio anni ’90, diventerà l’uomo più fidato di Berlusconi, salvo aver votato la fiducia a Renzi negli ultimi tempi.
Dei casi rari? Niente affatto: qualcuno ricorderà il primo deputato disoccupato della storia repubblicana. Si tratta del napoletano Mimmo Pinto, instancabile militante di Lotta Continua eletto alla Camera nelle liste di Democrazia Proletaria nel 1976 dopo la rinuncia al seggo di Vittorio Foa (partigiano prima, demoproletario poi, iscrittosi al PD prima di morire). Pinto, dopo una legislatura con DP e una coi Radicali che nel 1979 imbarcarono ciò che restava di Lotta Continua, si fece da parte. Salvo tornare in scena negli anni del berlusconismo rampante, candidandosi senza successo nelle file della lista Sgarbi-Pannella che sosteneva il cavaliere. Le ultime notizie su Pinto ci parlano di una condanna a sei anni per disastro ambientale (all’epoca gestiva un consorzio di rifiuti) su cui è poi intervenuta la prescrizione.
A esser passato con Forza Italia fu anche Aldo Brandirali, uno di quelli che voleva sempre essere un po’più a sinistra degli altri. Leader della microscopica formazione maoista Unione Comunisti Italiani, Brandirali era noto per la sua schizofrenia: espulsioni, sacri testi e culto della (sua) personalità. Anche lui svolterà un po’ di tempo dopo. A Milano infatti sarà consigliere comunale della DC prima e assessore con Forza Italia poi.
L’ambientalista per il nucleare
Alla voce “voltagabbana” uno dei più odiati a sinistra è probabilmente Chicco Testa, forse anche per quel carattere un po’spigoloso. Ma il peccato originale ed imperdonabile è soprattutto quello di essere passato dalle file dell’ambientalismo di sinistra che a fine anni ’80 trovava ampio respiro e buoni consensi, a sostenitore dell’energia nucleare. Chicco Testa fondò Legambiente e ne fu presidente, lasciò la presidenza per fare il parlamentare col PCI prima e col PDS poi. E nel giro di una decina d’anni si è trovato a dirigere società come Wind, Sorgenia ed Enel, approdando anche alla presidenza del Forum Nucleare Italiano.
Radicali ma contro i diritti civili
Prima che passasse con Berlusconi nel Polo delle libertà, agli albori della nascente seconda repubblica, la storia dei Radicali passò per le strade della sinistra a sinistra del PCI. Nelle storiche battaglie radicali, dall’aborto al divorzio, dal nucleare al testamento biologico, c’era anche il giovane pugliese Gaetano Quagliariello. Chi ha buona memoria se lo ricorderà molti anni dopo urlare dai banchi del Senato: «Eluana non è morta, è stata ammazzata». Dal testamento biologico all’accanimento terapeutico, accecato sulla via di Damasco.
Transmigratori dei giorni nostri
C’è un cognome che ormai, a sinistra, evoca prima di ogni altra cosa il senso di tradimento. E’ quello di Gennaro Migliore, passato dal Movimento della pantera al G8 di Genova fino all’incarico di capogruppo di Rifondazione Comunista alla Camera. Migliore era uno su cui prima Bertinotti e poi Vendola avevano investito molto, ma a raccogliere i frutti è stato Matteo Renzi che se l’è visto avvicinarsi di mese in mese. Dalla scissione da Rifondazione fino a fare l’ala destra di SEL, da fondare LED fino a entrare direttamente dentro al PD in soli quattro mesi. Ora ricopre il ruolo nell’attuale governo di sottosegretario alla giustizia. Ogni volta che Migliore presenzia in televisione le orecchie gli fischiano e dalle case dei rancorosi militanti di sinistra piovono valanghe di insulti.
Meno noto ma comunque dinamico e rapido nel suo “cammino” è Simone Oggionni. Anche lui cresciuto in Rifondazione, come Migliore è stato coordinatore nazionale della formazione giovanile dei Giovani Comunisti fino al 2014, anno in cui si separò dal PRC per entrare nel coordinamento nazionale di SEL. In precedenza Oggionni aveva bazzicato dalle parti delle istituzioni, facendo da “portaborse” ad un consigliere regionale e ad un parlamentare rifondarolo; ora dopo aver disertato assieme ad Arturo Scotto e company la fondazione di Sinistra Italiana, ha fatto un altro passetto a destra ed è in Articolo 1 – MDP, formazione nata dai fuoriusciti del PD che sostengono il governo Gentiloni. Il tutto un po’alla volta, lentamente: perché agli albori era la difesa di Honecker, poi la controversa visita ad Israele con le giovanili degli altri partiti, poi era la richiesta di ricambio nel gruppo dirigente del PRC, poi l’invocazione al rispetto per gli avversari, quindi era il grande partito di sinistra, poi il grande partito del lavoro lo si costruiva con quelli che avevano votato il jobs act (per cui prima invocava rispetto). Il giovanotto ha sempre buone argomentazioni, resta da capire che cosa ci sia di sinistra nel rifiutarsi di votare contro alla legge che re-istituisce i voucher e nel fare da caposaldo del governo Gentiloni. Qualcuno lo chiama entrismo, altri lo ritengono “destrismo”.
Perché migratori?
Ma come è possibile che da sinistra, dal passato al presente, vi sia un tale “esodo” verso organizzazioni ben più a destra? Probabilmente per rispondere in modo puntuale non basterebbe un trattato. Molti sono i motivi e di varia natura. Certo è che probabilmente, la permanenza in quel mondo ben remunerato e noto per dare molte garanzie può veicolare alcune scelte. E a sinistra, dove da anni le poltrone si restringono, forse non conviene rimanere. E allora meglio ricollocarsi per non restare a piedi. Del resto c’è chi parla in pubblico di lavoro ma che per il lavoro ha l’allergia. Non sia mai che dopo le Istituzioni tocchi andare in ufficio di collocamento.
O forse sarà che come disse Andreotti il potere logora chi non ce l’ha. Anni sulle barricate, un po’di scoramento è normale. Ma dallo scoramento il riscatto anziché essere collettivo può essere solo personale, e a destra si compiacciono di accogliere chi dopo aver lottato contro i potenti passa dall’altra parte. Insomma tutto va bene pur di non mollare la poltrona o il potere o il prestigio, la si veda come si vuole. Forse però a sinistra è venuto il momento di trovare un vaccino che prevenga il morbo del trasformismo. E che magari tuteli quel popolo di militanti, o quel che ne è rimasto, dal rischio di creder troppo in chi finirà per tradire. Del resto anche in politica si può soffrire per amore.
http://popoffquotidiano.it/2017/07/06/giovani-incendiari-pompieri-di-mezzeta-ovvero-i-voltagabbana/
“E nel periodo del cosiddetto ‘riflusso’ – come si disse con metafora mestruale azzeccata per una generazione già definita come ‘proletariato biologico’ – ho potuto osservare che i più furbi, gettato il colletto alla Mao alle ortiche, occuparono poi i migliori posti nelle Università, nelle televisioni e nelle amministrazioni pubbliche e private, e si comprarono la Bmw e la cocaina tipica dei ‘tossici integrati’ degli anni Ottanta, in attesa di collegarsi via Internet e gettarsi a capofitto nella superstrada dell’informazione, nel sogno di una supposta o suggerita comunicazione globale o liberazione tramite costose protesi elettroniche. Questo mentre i più stupidi fra quelli che volevano dare l’assalto al cielo finivano in cura dai guru per una buona terapia a prezzi popolari; e i più poveri finivano in cessi insanguinati, con l’ago nella pancia, in qualche angolo della metropoli rischiarato d’irrealtà. Non so se quella sessantottina sia la peggiore generazione di egoisti, di pentiti e di opportunisti e psicopompi che l’Italia abbia mai conosciuto. So però che volevano mandare al potere l’immaginazione, la loro immaginazione. E che molti han dovuto vedere le proprie buone intenzioni rovesciarsi in cattivi effetti. Che li consoli un po’ di buona letteratura. Kafka, per esempio: ‘Non ci fa tanto male ricordare le nostre malefatte passate, quanto rivedere i cattivi effetti delle azioni che credevamo buone’. […] E’ qui, a Milano trent’anni dopo, che inciampo ancora nel corpo del mio essere sociale, lo rivolto con la punta del piede e lo trovo splendidamente decomposto. Al punto giusto per ritornare verso le portinerie delle case dalle finestre munite di solide inferriate e lampeggianti segnali pronti a dare ancora l’allarme; e i videocitofoni e gli orologi e le telecamere agli angoli di certe strade del centro con le banche vigilate notte e giorno; e poi le scale e gli uffici delle amministrazioni e delle Ussl disinfettate all’alba, tutti i santi giorni, con impiegate in preda a sogni agitati ‘un attimino’ e burocrati, leghisti di mezza età o ex-compagni di un tempo sopravvissuti a tutti i cambiamenti, anche a Tangentopoli, seduti su poltroncine in pelle, anche umana, girevoli, che ti offrono un sigaro con un sorriso brillante come un getto di napalm…”, GIANNI DE MARTINO, I CAPELLONI, CASTELVECCHI, ROMA 1997.