Come voi ho visto la foto: un ministro, un paio di presidenti di regione, un rettore, qualche altro notabile, in tutto sette maschi seduti a parlare su un palco, e dietro di loro sette donne che reggono gli ombrelli per riparare le loro teste, prima da un improvviso scroscio d’acqua e poi dal sole. Come voi ho letto le reazioni indignate e le giustificazioni, a volte imbarazzate, a volte insolenti dei protagonisti – parlatene male, purché ne parliate, ha detto uno di loro, anzi proprio il “padrone di casa” di quel convegno.
Di quella scena molti hanno denunciato, in maniera sacrosanta, il maschilismo della nostra società, perché è “normale” che tra i notabili non ci sia una donna e perché è altrettanto “normale” che le persone impegnate nell’ingrato compito di tenere gli ombrelli siano donne. A me ha fatto veramente arrabbiare che sette persone, al di là del loro sesso, siano state usate in questo modo: mancava solo qualcuno che facesse loro aria, come gli schiavi in Totò e Cleopatra.
Però la cosa che mi spaventa davvero più di tutto è la stupidità, contro cui mi pare stiamo sempre più velocemente soccombendo. Stupidi sono quelli che hanno organizzato quella manifestazione all’aperto senza tener conto che poteva piovere – succede, a volte, a fine giugno – o che poteva esserci il sole – anche questo succede a fine giugno. E comunque o piove o c’è il sole, tertium non datur. Sarebbe bastato noleggiare un paio di ombrelloni e di quel convegno non avremmo mai parlato, come succede di migliaia di convegni inutili che si svolgono ogni mese nel nostro paese. Stupidi sono quelli che hanno pensato di risolvere il problema chiedendo a sette donne lì presenti di tenere gli ombrelli, senza rendersi conto di quello che quel gesto avrebbe potuto significare. E stupide sono anche quelle sette donne – mi dispiace dirvelo, care signore, so che voi siete parte lesa, ma siete anche complici – che hanno accettato, pare volontariamente, di esporsi al ridicolo per salvare quel convegno o per far fare bella figura a qualcuno degli organizzatori o per mettersi in buona luce, visto l’alto “lignaggio” dei partecipanti. Stupidi sono i relatori che sono rimasti lì a parlare, sotto quegli ombrelli infingardi e stupido è l’attento e numeroso pubblico – il pubblico è sempre tale – che, in attesa dell’immancabile buffet che chiude un appuntamento del genere, è rimasto lì, guardando quella scena insultante, probabilmente senza rendersene conto.
Questo è uno dei casi in cui l’etimologia serve molto: nell’aggettivo stupidus c’è la radice stu – la stessa che troviamo anche in statua – che significa stare fermo. Lo stupido è uno che sta fermo, l’immagine esatta di quel convegno dove ognuno stava fermo – e stupido – al proprio posto. Se quelle donne avessero gettato quegli ombrelli o uno dei relatori avesse rifiutato quell’imbarazzante situazione si sarebbe rotto l’equilibrio ipocrita che domina troppe situazioni, in politica e non solo. Ci sono cose che non è bene dire, che non è corretto dire. Salvo poi che arriva qualcuno che sembra non rispettare queste convenzioni e tutti gli dicono bravo, magari lo votano, come è successo a Trump, votato anche perché così platealmente scorretto. Solo che poi non si guarda alla sostanza e infatti Trump è uno che si fa reggere l’ombrello per non bagnarsi quella cosa pelosa che ha in testa.
Immagino che adesso ci saranno quelli che diranno: ma perché arrabbiarsi tanto per quegli stupidi ombrelli, con tutti i problemi che ci sono in Italia. Oppure che diranno: ma perché ne dobbiamo parlare ancora? Ne dobbiamo parlare perché il problema non è un altro, ma è proprio questo: una società in cui abbiamo smesso di pensare, in cui preferiamo imitare, fare come fanno gli altri. Vediamo che gli altri hanno messo la bandiera arcobaleno e anche noi mettiamo la bandiera arcobaleno. Vediamo che gli altri si indignano per la notizia di giornata e anche noi ci indigniamo per quella notizia, senza neppure verificare se sia vera, e spesso non lo è, ma tanto ormai non ce ne importa nulla. C’è un’altra cosa per cui indignarsi o piangere o esprimere solidarietà. E stiamo fermi. E non è perché ci siamo imborghesiti, perché abbiamo messo da parte un po’ di roba e abbiamo paura di perderla. Succede anche a chi non ha nulla, anzi anche di più a chi non ha nulla. Siamo fermi perché ci hanno insegnato a essere stupidi, ci vogliono stupidi. Perché quando ci dicono di comprare il nuovo modello di telefono lo compriamo subito e diciamo che ne avevamo proprio bisogno, quando ci dicono di guardare un film, lo guadiamo e diciamo che ci piace, quando ci dicono per chi votare, lo votiamo, senza chiederci cosa quel voto comporti.
Naturalmente il fatto che qualcuno si sia arrabbiato per quella scena è il segno che facciamo un po’ di resistenza a farci uccidere, tutti gli animali dimostrano questo istinto, ma noi noi rimaniamo lì, impietriti dallo sguardo di Medusa, statue stupide. Reggendo il nostro bravo ombrello.
 se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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