Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna (si seppe poi in seguito che era il Vesuvio): nessun’altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la figura e la forma. Infatti slanciatasi in su come se si sorreggesse su di un altissimo tronco, si allargava poi in quelli che si potrebbero chiamare dei rami; credo che il motivo risiedesse nel fatto che, innalzata dal turbine subito dopo l’esplosione e poi privata del suo appoggio quando quello andò esaurendosi, o anche vinta dal suo stesso peso, si dissolveva allargandosi: talora era bianchissima, talora sporca e macchiata, a seconda che aveva trascinato con sé terra o cenere.
L’ultima grande eruzione del Vesuvio è stata nel marzo del ’44, mentre il mondo era sconvolto da una minaccia ben più terribile e pericolosa, mentre viveva il dramma dell’Olocausto: qualcosa stava evidentemente già cambiando nel profondo del rapporto tra gli uomini e la natura.
Chissà come racconterebbe oggi questa storia il povero Leopardi? Il “villanello” non lavora più i campi e i vigneti, ma è al soldo della camorra e brucia dove i boss gli dicono di bruciare. E attorno a quelle terre bruciate gira un’economia, girano i soldi di chi vuole trasformarle in discariche o in aree edificabili, di chi deve progettare, di chi deve bonificare, di chi deve costruire, dei politici e dei tecnici che prenderanno delle tangenti su quei lavori, delle banche che faranno a tutti loro dei prestiti e che comunque custodiranno i loro illeciti guadagni. Chissà da quale banca, da quale consiglio di amministrazione, da quale lussuoso ufficio è partito l’ordine di bruciare quelle terre. Chissà quanti diventeranno ancora più ricchi vedendo quella nube innaturale che si leva dal Vesuvio.
Non possiamo più permetterci di avere paura del vulcano, perché il vero pericolo viene dagli uomini, dalla loro avidità, dalla loro rapacità, dalla loro ferocia. E anche quando il Vesuvio si risveglierà – non se, ma quando, perché prima o poi si risveglierà – le donne e gli uomini moriranno non per la furia della natura compressa sottoterra, ma per colpa degli uomini che hanno costruito dove non avrebbero dovuto costruire, che vivono dove non dovrebbero vivere. Lo “sterminator Vesevo” è diventato una vittima e anche quando deciderà di vendicarsi la sua ira colpirà altre vittime, perché i responsabili sono ben lontani da lì; non possiamo neppure evocare l’ira della natura, perché i veri stupratori della natura sono al sicuro, mentre noi soffriamo insieme ad essa.