Si elevava una nube, ma chi guardava da lontano non riusciva a precisare da quale montagna (si seppe poi in seguito che era il Vesuvio): nessun’altra pianta meglio del pino ne potrebbe riprodurre la figura e la forma. Infatti slanciatasi in su come se si sorreggesse su di un altissimo tronco, si allargava poi in quelli che si potrebbero chiamare dei rami; credo che il motivo risiedesse nel fatto che, innalzata dal turbine subito dopo l’esplosione e poi privata del suo appoggio quando quello andò esaurendosi, o anche vinta dal suo stesso peso, si dissolveva allargandosi: talora era bianchissima, talora sporca e macchiata, a seconda che aveva trascinato con sé terra o cenere.

E’ il racconto, in una celebre lettera a Tacito, che Plinio il giovane fa dell’eruzione del Vesuvio che nel 79 d.C. distrusse Pompei, Ercolano, Oplonti, Stabia e in cui perse la vita, tra i moltissimi altri, suo zio, anch’egli Plinio, comandante della flotta di Miseno e raffinato intellettuale. L’autore della Naturalis historia morì proprio per la sua curiosità di vedere da più vicino possibile quel fenomeno così straordinario, che non riuscì a raccontare. Da allora quel vulcano non ha mai interrotto la propria attività.
Il “formidabil monte sterminator Vesevo” è anche il protagonista della penultima lirica di Giacomo Leopardi, La ginestra; in questa poesia il vulcano diventa il simbolo della natura contro la cui forza distruttrice l’uomo non può fare nulla, ma, come fa appunto quel fiore, dovrebbe accettare il proprio destino mortale, senza superbia e senza viltà.
L’ultima grande eruzione del Vesuvio è stata nel marzo del ’44, mentre il mondo era sconvolto da una minaccia ben più terribile e pericolosa, mentre viveva il dramma dell’Olocausto: qualcosa stava evidentemente già cambiando nel profondo del rapporto tra gli uomini e la natura.
Anche in questi giorni il Vesuvio, presenza minacciosa e inquietante, ma in qualche modo amata e rispettata da chi è vissuto e vive nella più grande città del Mezzogiorno, torna a fumare. Ma non è il vulcano che minaccia di risvegliarsi, questa volta sono gli uomini che bruciano le terre intorno al cratere: quasi un tragico contrappasso, l’uomo che uccide la natura con lo stesso strumento con cui essa ha ucciso Plinio e tutti quelli che nei secoli sono morti intorno al Vesuvio.
Chissà come racconterebbe oggi questa storia il povero Leopardi? Il “villanello” non lavora più i campi e i vigneti, ma è al soldo della camorra e brucia dove i boss gli dicono di bruciare. E attorno a quelle terre bruciate gira un’economia, girano i soldi di chi vuole trasformarle in discariche o in aree edificabili, di chi deve progettare, di chi deve bonificare, di chi deve costruire, dei politici e dei tecnici che prenderanno delle tangenti su quei lavori, delle banche che faranno a tutti loro dei prestiti e che comunque custodiranno i loro illeciti guadagni. Chissà da quale banca, da quale consiglio di amministrazione, da quale lussuoso ufficio è partito l’ordine di bruciare quelle terre. Chissà quanti diventeranno ancora più ricchi vedendo quella nube innaturale che si leva dal Vesuvio.
Non possiamo più permetterci di avere paura del vulcano, perché il vero pericolo viene dagli uomini, dalla loro avidità, dalla loro rapacità, dalla loro ferocia. E anche quando il Vesuvio si risveglierà – non se, ma quando, perché prima o poi si risveglierà – le donne e gli uomini moriranno non per la furia della natura compressa sottoterra, ma per colpa degli uomini che hanno costruito dove non avrebbero dovuto costruire, che vivono dove non dovrebbero vivere. Lo “sterminator Vesevo” è diventato una vittima e anche quando deciderà di vendicarsi la sua ira colpirà altre vittime, perché i responsabili sono ben lontani da lì; non possiamo neppure evocare l’ira della natura, perché i veri stupratori della natura sono al sicuro, mentre noi soffriamo insieme ad essa.
se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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