Come mai la povertà nazionale aumenta? Come mai la ricchezza nazionale (sintetizzata nel celebre acronimo PIL) aumenta? C’è qualcosa che non va… Lungi dal voler esprimere qui analisi economiche, mi limito ad una critica quasi esterna alla politique politicienne propriamente detta, perché in essa non riesco a trovare nulla che supporti la contraddizione tra pauperismo moderno tremendemente avanzante nelle impetuose cifre dell’Istat e benessere economico invisibile eppure constatabile dal segretario nazionale del PD, già presidente del Consiglio, Matteo Renzi.
Sarebbe frutto dei “Mille giorni” del governo dell’ex sindaco di Firenze se le previsioni economiche sono state smentite in positivo.
Ciò dimostrerebbe la bontà delle “riforme” (le virgolette sono necessarie quando la parola viene utilizzata impropriamente anche da un ex presidente del Consiglio) degli ultimi esecutivi che hanno retto la Repubblica.
Smentisce Mario Monti che, in una odierna intervista, attacca proprio il metodo di mancato confronto tra Renzi e il resto del mondo.
Più delle evidentissime contraddizioni tra aumento dei milioni di poveri in Italia e aumento, parimenti, della ricchezza della nazione, è interessante constatare come le parole di Monti sul comportamento politico di Renzi siano disvelatrici di come anche una certa borghesia imprendiatoriale e chi la rappresenta sul fronte istituzionale si sia accorta che il “disco rotto” non può girare molto ancora sul piatto del grammofono.
Sostiene Monti sul Corriere della Sera: “Dibattere con il presidente Matteo Renzi è, purtroppo, impossibile. Le argomentazioni degli altri non gli interessano. Come un disco rotto, ormai ripete senza fine i suoi slogan e le sue accuse. Il rumore e la rissosità crescono esponenzialmente. L’impatto, in Italia e all’estero, tende asintoticamente a zero. Pari a zero è anche il suo rispetto per gli interlocutori e per la realtà“.
Tralasciando la guerra dei liberisti che ne viene fuori, è molto interessante notare la spaccatura che si crea su temi che riguardano esclusivamente il protezionismo dei privilegi economici di una classe sociale ben definita: il Fiscal compact è sul banco degli accusati, come altri provvedimenti approvati dai cosiddetti “governi tecnici”.
Punto e contrappunto si susseguono nell’intervista e nelle risposte di Renzi su Twitter.
Almeno lo stile di Mario Monti è più sobrio, elegantemente borghese nel rivolgersi ad un grande quotidiano nazionale. Pur essendo un avversario a tutto tondo, lo si legge volentieri perché il taglio è quello del professore, dell’accademico che analizza concretamente – dal suo punto di vista, si intende – la realtà attuale e quella appena trascorsa in questi lustri vicini temporalmente a noi.
L’incipit è ciò che fa da corollario necessario alle analisi economiche: l’assoluta impermeabilità della “narrazione renziana” rispetto a tutto il resto. Con frasi piene di vuoto si prova a rendere l’Italia un paese delle Mille e una notte piuttosto che un paese dei “Mille giorni”. Meraviglioso, con grandi prospettiva davanti a sé; con, certo, alcuni problemucci che derivano da contraddizioni insanabili come la riduzione dei costi dei settori sociali più importanti, ma perché rovinare una bellissima e immaginaria storia con la cruda realtà del presente?
E fa bene Mario Monti a riportare tutto anche sul terreno del “rispetto politico”, ma pure del rispetto in senso generale: ce ne è molto poco. L’arroganza del potere acceca e il potere acquisito a colpi di esautorazione sistematica degli avversari mostrandosi democraticissimi nella scalata a partiti e governi è anche questo una cartina di tornasole che avrebbe dovuto far aprire orecchie e occhi a molti, a sinistra, quando a Letta si sostituì Renzi.
I “Mille giorni” del governo dell’ex sindaco di Firenze sono stati la prorompente avanzata di politiche liberiste che hanno provato a convincere le persone della bontà della restrizione del campo pubblico a favore ancora una volta di quello privato, piegando sanità, scuola e lavoro al variabilismo dell’andamento dell’economia dei grandi numeri borsistici: uno sguardo a Bruxelles, un asse con Angela Merkel e Mario Draghi (autori di quel Fiscal compact che proprio Renzi rimprovera a Mario Monti), Jobs act, Buona scuola, grande fallimento democratico nella controriforma costituzionale e, infine, con il governo Gentiloni, prosecuzione dello stesso impianto filosofico-economico-politico delle “riforme” (continua il necessario uso delle virgolette) con reintroduzione dei voucher previo evitamento del referendum della CGIL che, molto probabilmente sarebbe riuscito ad abolirli per davvero e definitivamente.
Quindi, detto tutto ciò, oggi facciamo un piccolo, straordinario (perché credo irripetibile), elogio a Mario Monti: non per ciò che ha fatto in passato, non per ciò che rappresenta ancora oggi, ma per aver detto con grande sincerità ciò che pensa della dialettica politica renziana e del metodo con cui questa non cerca alcun dialogo con amici e avversari.
Va per la sua strada, indefessamente, senza guardarsi intorno, con lo scopo precipuo di ritornare a Palazzo Chigi per mostrarci come siano belle, splendenti e ricche le rovine sociali dove viviamo e di cui siamo circondati.