Scade l’interdizione dai pubblici uffici per alcuni poliziotti condannati dopo i fatti della Diaz di Genova durante il G8 del 2001
di Checchino Antonini
Scadrà tra pochi giorni l’interdizione dai pubblici uffici scattata con le pene inflitte cinque anni fa ad alcuni poliziotti condannati dopo i fatti della scuola Diaz di Genova e la vicenda dell’introduzione nell’edificio delle false molotov durante il G8 del 2001. La notizia è stata anticipata da Secolo XIX e Repubblica a poche ore dall’inizio delle iniziative per gli anniversari di quel luglio. Alcuni sono già in età pensionabile, mentre altri potranno essere reintegrati. Tra questi l’ex capo dello Sco Gilberto Caldarozzi, l’ex dirigente della Digos genovese Spartaco Mortola e il funzionario di polizia Pietro Troiani mentre Massimo Nucera, il poliziotto che raccontò di aver ricevuto una coltellata, è già stato reintegrato. Scaduti i cinque anni di interdizione anche per Filippo Ferri, il più giovane dei dirigenti condannati, figlio dell’ex ministro e fratello del sottosegretario alla giustizia, capo della squadra mobile di Firenze al momento in cui scattò l’interdizione. Ferri ora è responsabile della sicurezza del Milan, non si sa se mollerà l’incarico, ma è tornato sui giornali sia come angelo custode di Balotelli sia, nel 2015, per essere stato scortato allo stadio del capoluogo toscano da una pattuglia della locale Digos. Suo fratello Cosimo, sottosegretario (berlusconiano) ininterrottamente da Letta a Gentiloni passando per Renzi, è quello che in parlamento prova a togliere le castagne dal fuoco alla penitenziaria quando ci sono interrogazioni su presunte violenze in carcere.
Le condanne scattarono solo per il reato di falso, relativo alla firma sotto al verbale in cui si dichiarava che all’interno della scuola erano presenti alcune molotov, in realtà introdotte da alcuni agenti di polizia. A sedici imputati sono state inflitte pene tra i 2 e i 14 anni, la gran parte per 3 anni e 8 mesi. Vennero colpiti anche alcuni tra i massimi dirigenti di allora finiti per un certo tempo ai domiciliari, come Francesco Gratteri e Giovanni Luperi. Dei 16 condannati la metà ha potuto andare in pensione, mentre per gli altri è concreta la possibilità di rientrare in servizio.
E’ lo strascico di tutte le strategie messe in atto dai piani alti del Viminale durante e dopo l’immenso cumulo di crimini commessi da centinaia di uomini in divisa nelle giornate del luglio del 2001. Con la copertura del governo di centrodestra e dell’allora Ds, antenato del Pd, De Gennaro e i suoi sono riusciti a sottrarre la maggior parte dei colpevoli all’eventualità di un processo (erano travisati, mascherati come nei film western all’assalto della diligenza), hanno ostacolato le inchieste come hanno lamentato spesso i pm della Diaz e Bolzaneto, sono riusciti a dilatare i tempi dei processi “inevitabili”. Insomma non solo hanno limitato i danni ma sono riusciti a impedire che venissero messe in atto due-tre cose banali in una democrazia avanzata: il codice alfanumerico (ma siamo impazziti? dicono, ci volete marchiare come le bestie?!), una vera commissione d’inchiesta su quei fatti che Amnesty definì come la più grave violazione dei diritti umani in Occidente dopo la seconda guerra mondiale, una legge decente contro la tortura incassando, anzi, una norma che pare suggerire modalità di supplizio tali da non incappare nella definizione di tortura alla faccia della convenzione per i diritti umani che l’Italia firmò quasi trent’anni fa. Di contro, la polizia ha “solo” dovuto sacrificare un pezzo della catena di comando preparata da De Gennaro per succedergli al Viminale. Da parte loro anche per i carabinieri il bilancio post G8 è più che positivo: nessun processo pubblico per chi si accusò di aver ucciso Carlo Giuliani, un’archiviazione che lasciò sconcertato il popolo di Genova con l’invenzione del sasso che avrebbe deviato il proiettile e tanti buchi neri che Giuliano Giuliani, il papà di Carlo, ha messo in fila in un video che resta una pietra miliare. Per De Gennaro una brillante carriera da manager di Stato dopo un passaggio alla guida delle barbe finte. Per le forze dell’ordine il solito tran tran di opacità, abusi e cariche contro lavoratori, studenti, attivisti sociali e migranti.
«Non siamo sorpresi – dicono Lorenzo Guadagnuccie Vittorio Agnoletto – semmai avviliti per lo stato di salute della democrazia italiana. Il possibile rientro in polizia di alcuni agenti e funzionari condannati per le violenze e i falsi nella scuola Diaz, ci fa venire in mente due passaggi della sentenza con la quale la Corte europea per i diritti umani ha condannato l’Italia nel 2015, qualificando le operazioni di polizia alla scuola Diaz come un caso di tortura:
1) “Per quanto riguarda le misure disciplinari, la Corte ha dichiarato più volte che, quando degli agenti dello Stato sono imputati per reati che implicano dei maltrattamenti, è importante che siano sospesi dalle loro funzioni durante l’istruzione o il processo e che, in caso di condanna, ne siano rimossi”;
2) “La Corte si rammarica che la polizia italiana si sia potuta rifiutare impunemente di fornire alle autorità competenti la collaborazione necessaria all’identificazione degli agenti che potevano essere coinvolti negli atti di tortura”».
Nel 2001 Agnoletto era portavoce del Genoa social forum e Lorenzo Guadagnucci dormiva alla Diaz al momento dell’irruzione. Da allora è attivo nel comitato Verità e giustizia per Genova. Insieme hanno scritto “L’eclisse della democrazia. Le verità nascoste del G8 2001 a Genova”.
«La rimozione da parte dei vertici della polizia degli agenti condannati non c’è stata – continuano – infatti oggi è possibile il loro rientro in servizio, ma non possiamo sorprenderci di questo, visto che stiamo parlando di un corpo di polizia che si è “rifiutato impunemente” di collaborare con i magistrati. Le ferita aperta col G8 di Genova è dunque ancora aperta e la notizia di oggi non aiuta certo la polizia di stato a recuperare la credibilità perduta. I responsabili politici di questa penosa condizione sono ben conosciuti: portano i nomi e cognomi dei ministri degli Interni e dei capi di governo che si sono succeduti dal 2001 a oggi. Lavorare in polizia ed in particolare in ruoli dirigenti è cosa completamente diversa dal prestare la propria opera ad un’azienda privata; significa lavorare per garantire il rispetto dei valori previsti dalla Costituzione e dalle nostre leggi. Considerando che i dirigenti di polizia condannati non hanno mai riconosciuto le proprie responsabilità e chiesto pubblicamente scusa per i loro comportamenti e che diverse delle condanne sono relative al reato di falso ci chiediamo come i cittadini possano sentirsi tutelati nei loro diritti costituzionali da chi ha commesso tali reati e non ha mai riconosciuto le proprie responsabilità».
Che le ferite di Genova siano tali solo nella società e non dentro caserme, carceri e commissariati, è testimoniato da una pletora di fatti di cronaca nera che hanno punteggiato la storia recente.
È stato condannato, pochissimi giorni fa, a due anni e quattro mesi Dario Pinchera, 31 anni, agente di polizia penitenziaria accusato di avere picchiato a Marassi un detenuto e di avere mentito sulla vicenda. Pinchera è accusato di falso, lesioni gravi e abuso di autorità. L’inchiesta, coordinata dal pm Giuseppe Longo, era partita lo scorso anno dopo la denuncia dello stesso detenuto, un genovese di 37 anni, che aveva raccontato di essere stato aggredito e picchiato da un agente che aveva usato anche un manganello. Le indagini avevano portato all’iscrizione nel registro degli indagati di altre 11 persone, tra agenti e medici che operano all’interno della casa circondariale genovese. A finire nei guai anche la dottoressa Marilena Zaccardi, medico della Asl genovese, già condannata per le torture alla caserma di Bolzaneto durante il G8 del 2001 di Genova. Per i cinque medici, il pm ha chiesto e ottenuto l’archiviazione mentre sono ancora indagati quattro agenti penitenziari (tra i quali anche Massimo Di Bisceglie, comandante delle guardie di Marassi) a cui sono contestati, a vario titolo, l’omessa denuncia, favoreggiamento e falso. Pinchera in un primo momento raccontò che il detenuto si era fatto male cadendo, poi di essere stato aggredito e di averlo colpito per quello. La vittima disse anche di essere stato visitato dal personale medico ma che nessuno denunciò l’accaduto. L’agente era stato arrestato nel 2007 a Cassino perché aveva gambizzato due persone. I feriti erano due suoi amici che erano stati sospettati insieme a Pinchera di avere lanciato un masso di 41 chili sull’autostrada A1, in provincia di Frosinone, uccidendo una persona.
Anche Maurizio Acerbo, segretario nazionale di Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, dichiara: «Proprio nei giorni dell’anniversario della mattanza cilena del luglio 2001, quando a Genova le forze dell’ordine commisero la più grave sospensione dello Stato di diritto dal secondo dopoguerra a oggi, arriva la notizia dei rientri in polizia di chi commise quei reati. E’ una vergogna, uno schiaffo alla democrazia: gli agenti, i funzionari e i dirigenti che si macchiarono di quelle violenze non dovrebbero più rappresentare lo Stato, in un Paese civile. E’ un’offesa alla memoria di Carlo Giuliani e di tutte le persone massacrate di botte, private delle loro libertà, alla Diaz e a Bolzaneto, a quel movimento che scese in piazza e fu torturato, a tutte le persone che credono nella Costituzione e nella democrazia. I responsabili della “macelleria messicana” hanno goduto della solidarietà esplicita o di fatto dei governi di centrodestra e centrosinistra. Il 20 luglio Rifondazione Comunista tornerà a Genova in piazza Alimonda, come era a Genova a manifestare 16 anni fa, a chiedere sempre e comunque verità e giustizia».