Quando Aleppo fu presa dopo mesi di assedio, in una battaglia infernale tra forze governative ed alleati e ribelli mescolati agli islamisti di Al Qaeda, i media di tutto il mondo si concentrarono sull’orrore che la città aveva vissuto. Una vera e propria carneficina, in cui ai numerosi morti si univa la distruzione di una città, ormai completamente perduta, e dove la vita sembrava essersi fermata con la guerra e destinata a non ritornare più. Aleppo fu uno degli strumenti con cui la stampa decise di attaccare Assad e l’alleato russo per la guerra in Siria. Marce, appelli, “pray for Aleppo” e dichiarazioni pubbliche si mescolavano in un complesso sistema di denuncia di una carneficina intollerabile, come se la guerra, purtroppo avesse mai ammesso sconti. In sei anni di guerra in Siria e in Iraq gli orrori sono stati indicibili e il sangue, da una parte e dall’altra, è stato un fiume: eppure, per l’Occidente, solo Aleppo meritava di essere segnalata, perché in quel caso era Assad a compiere il massacro.
Si dirà che è stato giusto così, che la tragedia di Aleppo andava denunciata. Ed è stato sacrosanto, perché di fronte a migliaia di morti, profughi, violenze e distruzione, il mondo non poteva rimanere a guardare. E ben vengano denunce e richiami internazionali, se servono effettivamente a dare un barlume di speranze di fronte all’oscurità di una tragedia in corso. Ma ben venga soprattutto la buona fede di chi denuncia quei fatti quando è pronta a denunciare ogni orrore perpetrato da ogni attore in campo in una guerra. Che è orrenda, sempre, e che proprio per questo va sempre denunciata.
Continua…
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