Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, è in vigore da oggi il Codice del Terzo settore. Si tratta del decreto legislativo più corposo (104 articoli) tra i cinque emanati dopo la legge delega per la riforma del Terzo settore (106/2016). E avrà bisogno a sua volta, entro il prossimo anno, di ben 20 decreti ministerialiperché funzioni, nella pratica, tutto quanto previsto.
La parola riordino, usata più volte anche dal sottosegretario Luigi Bobba, “padre” della riforma, è la più appropriata per indicare lo scopo principale del Codice. Tre esempi sono sufficienti a farne comprendere la portata.
PRIMO: vengono abrogate diverse normative, tra cui due leggi storiche come quella sul volontariato (266/91) e quella sulle associazioni di promozione sociale (383/2000), oltre che buona parte della “legge sulle Onlus” (460/97).
SECONDO: vengono raggruppati in un solo testo tutte le tipologie di quelli che da ora in poi si dovranno chiamare Enti del Terzo settore (Ets). Ecco le sette nuove tipologie: organizzazioni di volontariato (che dovranno aggiungere Odv alla loro denominazione); associazioni di promozione sociale (Aps); imprese sociali (incluse le attuali cooperative sociali), per le quali si rimanda a un decreto legislativo a parte; enti filantropici; reti associative; società di mutuo soccorso; altri enti (associazioni riconosciute e non, fondazioni, enti di carattere privato senza scopo di lucro diversi dalle società).
Restano dunque fuori dal nuovo universo degli Ets, tra gli altri: le amministrazioni pubbliche, le fondazioni di origine bancaria, i partiti, i sindacati, le associazioni professionali, di categoria e di datori di lavoro. Mentre per gli enti religiosi il Codice si applicherà limitatamente alle attività di interesse generale di cui all’esempio successivo.
Gli Enti del Terzo settore saranno obbligati, per definirsi tali, all’iscrizione al Registro unico nazionale del Terzo settore (già denominato Runts…), che farà quindi pulizia dei vari elenchi oggi esistenti. Il Registro avrà sede presso il ministero delle Politiche sociali, ma sarà gestito e aggiornato a livello regionale. Viene infine costituito, presso lo stesso ministero, il Consiglio nazionale del Terzo settore, nuovo organismo di una trentina di componenti (senza alcun compenso) che sarà tra l’altro l’organo consultivo per l’armonizzazione legislativa dell’intera materia.
TERZO: vengono definite in un unico elenco riportato all’articolo 5 le “attività di interesse generale per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale” che “in via esclusiva o principale” sono esercitati dagli Enti del Terzo settore. Si tratta di un elenco, dichiaratamente aggiornabile, che “riordina” appunto le attività consuete del non profit (dalla sanità all’assistenza, dall’istruzione all’ambiente) e ne aggiunge alcune emerse negli ultimi anni (housing, agricoltura sociale, legalità, commercio equo ecc.).
Gli Ets, con l’iscrizione al registro, saranno tenuti al rispetto di vari obblighi riguardanti la democrazia interna, la trasparenza nei bilanci, i rapporti di lavoro e i relativi stipendi, l’assicurazione dei volontari, la destinazione degli eventuali utili.
Ma potranno accedere anche a una serie di esenzioni e vantaggi economici previsti dalla riforma: circa 200 milioni nei prossimi tre anni sotto forma, ad esempio, di incentivi fiscali maggiorati (per le associazioni, per i donatori e per gli investitori nelle imprese sociali), di risorse del nuovo Fondo progetti innovativi, di lancio dei “Social bonus” e dei “Titoli di solidarietà”.
Senza contare che diventano per la prima volta esplicite in una legge alcune indicazioni alle pubbliche amministrazioni: come cedere senza oneri alle associazioni beni mobili o immobili per manifestazioni, o in comodato gratuito come sedi o a canone agevolato per la riqualificazione; o incentivare la cultura del volontariato (soprattutto nelle scuole): o infine coinvolgere gli Ets sia nella programmazione che nella gestione di servizi sociali, nel caso di Odv e Aps, “se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato”.
Una parte consistente del Codice (sei articoli, dal 61 al 66, pari al 14% dell’estensione del testo) è dedicata ai Centri di servizio per il volontariato (CSV), interessati da una profonda revisione in chiave evolutiva che ne riconosce le funzioni svolte nei primi 20 anni della loro esistenza e le adegua al nuovo scenario. A cominciare dall’allargamento della platea a cui i CSV dovranno prestare servizi, che coinciderà con tutti i “volontari negli Enti del Terzo settore”, e non più solo con quelli delle organizzazioni di volontariato definite dalla legge 266/91 (anche se in realtà era già cospicua la quota di realtà del terzo settore “servite” in questi anni).
I Centri – che dovranno essere di nuovo accreditati – verranno governati da un inedito Organismo nazionale di controllo (Onc) e dalle sue articolazioni territoriali (Otc), le cui maggioranze saranno detenute dalle fondazioni di origine bancaria. Sarà inoltre ridotto il numero complessivo dei Centri in riferimento ad alcuni parametri territoriali. Nella governance dei CSV potranno entrare tutti gli Ets (secondo il cosiddetto principio delle “porte aperte”), lasciando però al volontariato la maggioranza nelle assemblee. Saranno previsti nuovi criteri di incompatibilità tra la carica di presidente di un CSV e altre cariche, ad esempio ministro, parlamentare, assessore o consigliere regionale o di comuni oltre i 15 mila abitanti. I CSV, insieme alle Reti associative nazionali, potranno essere autorizzati dal ministero delle Politiche sociali all’“autocontrollo degli Enti del Terzo settore”. Viene infine centralizzato e ripartito a livello nazionale il fondo per il funzionamento dei CSV, che continuerà ad essere alimentato da una parte degli utili delle fondazioni di origine bancaria e da un credito di imposta fino a 10 milioni, a regime, che queste ultime si vedranno riconoscere ogni anno
Ecco un primo commento dell’Arci
Codice del Terzo Settore: si apre ora una lunga fase di transizione che ne determinerà il segno
È in vigore da oggi il Codice del Terzo Settore, pubblicato in Gazzetta Ufficiale: oltre 100 gli articoli presenti nel decreto collegato alla riforma del Terzo Settore, che introduce una serie di novità.
Di sicuro affronteremo nei prossimi periodi una fase di transizione, nonostante si sia iniziato a parlare di riforma del Terzo Settore già nel 2014 con l’obiettivo di riformare un settore molto ampio che secondo l’Istat incide per il 3,4% sul Pil ed è composto da oltre 300mila organizzazioni.
La nostra storia di associazione di promozione sociale è contenuta in soli due articoli (35-36) in cui vengono disciplinate le A.P.S. (Associazioni di Promozione Sociale) e questo poco spazio corrisponde forse ad una mancata piena valorizzazione di una colonna storica del terzo settore italiano. Uno dei temi centrali del Codice è il Registro unico del Terzo Settore (articoli dal 45 al 54) che finalmente va a cancellare la miriade di registri esistenti.
Di certo i tempi di attuazione non saranno brevi e, dopo che il Ministero avrà decretato la procedura d’iscrizione (si è dato tempo un anno) vi saranno 6 mesi a disposizione delle regioni e delle provincie autonome per disciplinare a loro volta le modalità di iscrizione/cancellazione, con la speranza che queste modalità siano il più possibili omogenee. Altri aspetti del Codice sono altrettanto centrali per la vita associativa: dal consiglio del terzo settore ai centri di servizio, dai titoli di solidarietà al social lending, per non parlare della parte dedicata al regime fiscale.
Insomma tanto lavoro e apprendimento da fare, alcuni temi sicuramente da correggere e migliorare; di certo, grazie ad un importante attivismo della nostra associazione a tutti i livelli, delle A.P.S. nazionali e del Forum del Terzo Settore, si è riuscito quantomeno a tutelare la dimensione mutualistica e partecipativa dell’associazionismo popolare.
Auspichiamo che adesso venga riconosciuto il nostro ruolo di risorsa per la democrazia nel paese.
Da un lato dobbiamo senza dubbio cogliere delle opportunità, dall’altro dobbiamo fare un lavoro utile a far pesare di più culturalmente e politicamente l’impatto sociale dei nostri numerosissimi circoli e delle loro attività. Si apre oggi un lungo percorso di transizione che ci consentirà di giudicare davvero come questa riforma sia servita a sviluppare o meno il Terzo Settore.