Lo gridiamo, con la nostra poca voce, da anni. Ma ora comincia ad essere evidente a tutti che le politiche che hanno definitivamente stravolto il mercato del lavoro in Italia – lungo un tracciato infame che va dal “pacchetto Treu” del 1997 al Jobs Act renziano e dintorni – avevano come unico obiettivo quello di abbassare il livello del salario medio fin quasi al limite della sopravvivenza, e spesso anche sotto.
La via scelta – unitaria sempre, alla faccia dell’alternarsi di governi di “controdestra” o di “centrosinistra” – è stata quella di creare due diversi mercati del lavoro: uno che conservava parte delle antiche regole e uno completamente precario, strutturato su ben 46 forme contrattuali diverse, tutte senza alcun diritto esigibile.
In questo modo i governi – tutti – hanno evitato un conflitto frontale con l’insieme del mondo del lavoro, ottenendo in cambio (da sindacati che chiamare “complici” è quasi un complimento) il sostanziale via libera alla precarietà universale. Il punto centrale di tutte le garanzie di un lavoratore era l’art. 18, che impediva i licenziamenti “senza giusta causa” (ossia ad arbitrio del padrone) imponendo il reintegro. Eliminato anche questo – dal “sinistro” Renzi, dopo il clamoroso fallimento di Berlusconi nel 2003 – di fatto non esiste più alcuna differenza sostanziale tra un contratto precario e uno a tempo indeterminato.
Continua…