di ELISABETTA FORNI E EMANUELE NEGRO
Una meraviglia della storia e della cultura, divenuta oggetto di uno scandalo, iniziato dai governi di centrosinistra, che prosegue indisturbato con la giunta M5s. In calce il link a un’ampia illustrazione del caso
In un articolo su il manifesto del 7 marzo 2017 intitolato Pareggio di bilancio, la ‘rivoluzione’ mancata di Chiara Appendino, Maurizio Pagliassotti ha tracciato un’analisi sconfortante della Amministrazione comunale pentastellata che si conclude così:
«Da questo percorso emergono alcuni cardini culturali del M5S in salsa sabauda: la post ideologia pentastellata – non siamo di destra né di sinistra – è neo liberismo mimetizzato, dato che il dogma è rappresentato dal pareggio di bilancio da raggiungere attraverso l’austerità. In tal senso l’elettorato di movimento, dagli animalisti agli sfrattati, passando per quelli che non vogliono la privatizzazione dei beni comuni, è tutto sacrificabile. Rimane la prospettiva di lungo termine, il punto di fuga della propaganda via internet permanente, fatto di sempre nuove promesse per un futuro sempre più lontano e sempre più radioso».
Difficile non condividere l’analisi del giornalista torinese, buon conoscitore del cosiddetto ‘Sistema Torino’ e difficile sottrarsi al dovere di documentarla con un contributo di pensiero critico relativo ad un caso emblematico e complesso, quello della Cavallerizza Reale.
Già iniziammo a parlarne su questo sito insieme a tre autorevoli urbanisti, Riccardo Bedrone, Paolo Berdini e Paola Somma, lo scorso anno quando a Palazzo Civico siedeva ancora la Giunta PD guidata da Piero Fassino, ma il caso resta tutt’ora aperto come una ferita infetta e apparentemente insanabile, nonostante l’esplicita promessa di salvataggio contenuta nel programma elettorale dei 5S, laddove nel capitolo dedicato all’urbanistica recita testualmente: “Interruzione del processo di vendita della Cavallerizza Reale . Pianificazione del processo di riacquisizione dell’immobile al fine della trasformazione dello stesso, attraverso un processo partecipativo che coinvolga i cittadini, in polo culturale sotto il controllo pubblico”.
Il “processo di vendita” al quale si fa riferimento è quello avviato nel 2010 dalla Giunta Chiamparino e proseguito con zelo dalla Giunta Fassino, osteggiato dalla allora consigliera 5S Chiara Appendino; contrastare quel processo è divenuto uno dei cavalli di battaglia del Movimento, tanto da essere esplicitamente citato nel programma che li ha portati alla schiacciante vittoria nel giugno del 2016.
Il compendio della Cavallerizza Reale è la Zona di comando dell’immenso complesso che dalle Porte Palatine, cuore della città romana, si è sviluppato a partire dalla metà del Seicento attraverso piazza Castello fino all’edificio della Zecca in via Verdi, a pochi isolati da dove sorge la Mole Antonelliana e dal fiume Po. Esso costituisce nel suo insieme unitario e tuttora esistente la eccezionale testimonianza materiale della nascita dello Stato unitario italiano, realizzato per mano dei migliori architetti dell’epoca, tra i quali Amedeo di Castellamonte e Benedetto Alfieri. Il compendio comprende diversi corpi di fabbrica per un totale di circa 40.000 mq nei quali avevano trovato spazio l’Accademia militare, le Cavallerizze, le scuderie e la Regia Zecca.
Non a caso l’intero complesso risulta iscritto dal 1997 nella lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO come insieme seriale delle Regge Sabaude. Destinato a funzioni di servizio prevalentemente improprie e svilenti col passaggio di proprietà dalla casa Savoia allo Stato italiano, è stato poi ripensato a fine anni Novanta per la rinascita postindustriale torinese in versione culturale, come emblema dell’apertura e dello status internazionale della città e come occasione di ricomposizione funzionale dell’intero Complesso, in parte già destinato a spazi museali, conservativi e istituzionali (Palazzo Reale, Galleria Sabauda, Prefettura, Archivio di Stato, Teatro Regio). L’unico intervento di recupero, coerente con questa logica, è stato la realizzazione della nuova Aula Magna dell’Università nel Maneggio Chiablese, confinante con la ex Regia Zecca, inaugurata nell’autunno 2014 su progetto di Agostino Magnaghi.
La concessione di questo edificio all’Università è stata deliberata prima che il Comune di Torino decidesse di rinunciare al progetto, partito nel 2003, di progressiva acquisizione di tutto il compendio dal Demanio (un primo blocco di circa 20.000 mq e uno successivo di analoghe dimensioni) per realizzarvi le attività istituzionali e culturali previste dalla legge e prima che, nel 2010, utilizzasse nella forma più discutibile e cruda il cosiddetto ‘federalismo demaniale’.
A causa dei resti tossici della ‘finanza creativa’ tremontiana, cristallizzata nelle “Disposizioni urgenti in materia di privatizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico” (L. 410/2001) ed al non riconoscimento dell’inalienabilità del bene in quanto appartenente al patrimonio culturale NAZIONALE (L.42/2009, art.19) che lo avrebbe messo al riparo dalla possibilità di vendita, la Giunta Chiamparino ha potuto completare la cartolarizzazione della parte di sua proprietà del Compendio (compreso l’edificio della ex Zecca), ossia ne ha decretato la morte come bene comune e ne ha affidato la vendita sul mercato immobiliare ad una sua società, la Cartolarizzazioni Città di Torino (CCT).
Ciò ha aperto la strada alla successiva rinuncia della Giunta Fassino ad acquisire l’altra metà del Compendio ancora in capo al Demanio militare (all’incirca altri 20.000 mq.) che invece è stata comprata obtorto collo nel dicembre 2014 da un Fondo Speculativo di Cassa Depositi e Prestiti.
Se la società di cartolarizzazione CCT non è finora riuscita nell’intento di vendere la sua parte di Cavallerizza, come se si trattasse di un edificio qualunque, anche il destino della parte comprata da CDP, ibrida istituzione a cavallo tra pubblico e privato, è rimasto avvolto nella più totale incertezza. Tuttavia, il senso dell’operazione nel suo complesso lo si capisce nel quadro della sciagurata politica prima statale e poi locale di ‘valorizzazione’ intesa come privatizzazione del patrimonio storico-architettonico italiano. CDP infatti ha puntato sulla ‘valorizzazione’ dell’immobile, collocando il bene nel fondo immobiliare speculativo FIV. E’ l’ultima tappa della strategia neo-liberista di estrazione del valore dai beni comuni storico-architettonici di un Paese le cui città, volenti o nolenti, si trovano a far cassa con i propri gioielli di famiglia, capitolazione che vediamo oggi in atto in Grecia.
Se, come purtroppo sembra stia accadendo, la Giunta Appendino, disattendendo i suoi impegni elettorali, non tratta con CDP la retrocessione di quei 20.000 mq alla proprietà pubblica (per un valore pari a circa 12 milioni di €) la CDP, stanca di attendere un segnale concreto e credibile di un progetto culturale unitario e con esso di recupero del capitale investito, andrà senz’altro avanti nel suo autonomo progetto di ‘valorizzazione’, e di sicuro otterrà dal Comune la delibera necessaria ad intervenire sulla parte di sua proprietà per realizzarvi un qualche tipo di struttura alberghiera che vanificherà per sempre la possibilità di una ricomposizione unitaria.
Altra conferma che è proprio vero, come scriveva Pagliassotti, che il dogma del pareggio di bilancio è quello che detta anche la politica dei 5S.
Ma se è così, per quale ragione è stato preso l’impegno di ‘riacquisizione dell’immobile’? Alla allora consigliera Appendino non mancavano certo i dati sul debito della Città, essendo vicepresidente della Commissione Bilancio! Per non svelare la contraddizione, si sta invece tentando di ‘spacciare’ per ‘progettazione partecipata’ quello che altro non è se non un accordo sulle operazioni immobiliari di CDP presentate come coerenti con le destinazioni culturali della Cavallerizza. Ma i guai non finiscono qui.
Andiamo dunque a vedere quello che sta succedendo nell’altra metà del compendio, quella cartolarizzata, e nel Maneggio Reale, l’unica parte del bene che per un necessario maquillage del bilancio della CCT è stata de-cartolarizzata da Piero Fassino nel dicembre del 2015.
Se, per fortuna, la crisi del mercato immobiliare ha ostacolato la CCT nella ricerca di uno speculatore disposto ad accollarsi l’onere di un complesso intervento di recupero di tutto l’insieme (come prescritto dal P.U.R. del 1995), l’operazione di ulteriore spezzettamento del bene, tentata col Masterplan (di cui abbiamo scritto a giugno 2016) voluto dalla giunta Fassino, è finita troppo a ridosso delle elezioni comunali per tradursi in delibera e diventare operativa prima del voto. Anche per non alienarsi il consenso elettorale di quella non piccola parte della cittadinanza contraria alla vendita del bene, la Giunta ha ritenuto meglio aspettare la scontata rielezione e poi procedere nel programma: una volta spezzettato il compendio della Cavallerizza in 10 unità indipendenti (una delle quali corrispondente all’ intera proprietà di CDP) sarebbe stato più facile trovare subito dei compratori, almeno per le parti più ghiotte, quali l’edificio della ex Zecca o il lungo corpo di fabbrica con lo splendido affaccio sui Giardini Reali o la corte che affaccia su via Verdi. Il riacquisto (de-cartolarizzazione), infine, del Maneggio Reale (da destinare necessariamente, a norma di legge, ad attività istituzionali e/o culturali) ha tentato di dimostrare all’opinione pubblica la sensibilità del PD per il tema della salvaguardia dell’uso pubblico della Cavallerizza. Peccato che si sia trattato di soli 1.000 mq su un totale di 40.000: non un gran risultato. Con tante belle mappe colorate Fassino ha cercato di narrare al cittadino inesperto la favola di uno spazio pubblico che sembrava sovrapponibile in toto alla superficie lorda calpestabile del compendio (anche se non lo era affatto, come il nostro citato dossier ha messo in evidenza).
L’equilibrismo pentastellato sembra ora andare sostanzialmente nella stessa direzione, con però l’immancabile tocco di retorica sulla ‘democrazia dal basso’ e una complice strizzatina d’occhio al gruppo di occupanti che da oltre tre anni, era il maggio 2014, si è insediato nel compendio per denunciare le mire speculative del Comune.
Da occupazione temporanea di denuncia ad occupazione perpetua per usucapione o, per dirla in versione contemporanea più cool, per uso civico, il passaggio è stato segnato dalla tolleranza sia di Piero Fassino (e del suo Assessore al Bilancio Gianguido Passoni, forse consapevole che il marketing urbano oggi è fatto anche di fenomeni squatt-culturali o pseudo-culturali) sia di Chiara Appendino: nessuno dei due ha mai richiesto lo sgombero per il rischio che corrono sia gli edifici storici fatiscenti sia le persone che vi abitano stabilmente o che li frequentano, nonostante due incendi già scoppiati e l’allarmato sopralluogo di un docente del Politecnico di Torino che ha chiesto serie verifiche (mai fatte) sull’agibilità delle uniche scale di accesso ai piani superiori, delle quali l’Assessore all’Urbanistica Guido Montanari ha “sconsigliato in via precauzionale l’uso” inventandosi una formula elusiva della responsabilità della Amministrazione pubblica dalla valenza giuridica opinabile.
Alcuni Consiglieri comunali 5S molto vicini agli occupanti hanno, a fine luglio 2017, presentato una mozione che, se approvata da Sindaca e Giunta, permetterebbe di riconoscere agli occupanti, al di fuori di ogni sensata e oggettiva valutazione pubblica delle qualifiche e competenze necessarie, il diritto esclusivo alla progettazione del futuro della Cavallerizza, oltre alla gestione delle attività e degli spazi occupati, in nome di una loro auto-proclamata rappresentanza della cittadinanza torinese.
Negli ultimi proclami degli occupanti, che si firmano Assemblea 14:45, non c’è più traccia di rivendicazioni per la restituzione dell’intero complesso (facente capo a CDP e CCT) alla Città, Regione o Stato come conditio sine qua non per abbandonare la lotta .
La partita ora si gioca sul piano molto più prosaico del chiedere (genericamente e sul lungo periodo) molto per ottenere subito (per sé) almeno un pezzettino (il Maneggio Reale e spazi annessi), mentre è chiaro che tutto il resto, in nome del “neo-liberismo mimetizzato” servirà (inutilmente) a tappare una piccola falla nella voragine del debito pubblico e a far felici alcuni developers, forse locali o forse cinesi o del Quatar.
Il tutto con buona pace dei Movimenti dal basso, della Sindaca né di destra né di sinistra e degli Assessori al Bilancio e all’Urbanistica, uno di destra e uno di sinistra per fare media e non scontentare nessuno (o scontentare tutti).
Per chi si domandasse quale alternativa si potrebbe contrapporre ad un simile esito, la risposta la può trovare nel dossier dettagliato allegato. In esso, accanto ad una più articolata presentazione del caso, abbiamo avanzato idee sul metodo da seguire, sugli esempi più istruttivi e convincenti a cui ispirarsi. Tutti aspetti ampiamente e pubblicamente illustrati ai suddetti Assessori ma apparentemente non raccolti e non recepiti neppure dalla stessa Sindaca. Ogni contributo di chi ci legge con esperienza politica, professionalità e perfino semplice buon senso sarà benvenuto.
La Cavallerizza Reale è un bene comune di rilevanza nazionale, europea e mondiale (UNESCO) e come tale va trattata. Come ha dichiarato Gustavo Zagrebelsky nel 2015 «Abbiamo un complesso monumentale straordinario che va dal Duomo all’Antico Macello: Palazzo Reale, Archivio di Stato, Teatro Regio, Zecca, Università, ex Accademia militare, scuderie….E’ un complesso straordinario collocato in una linea strategica. Io mi chiedo se i nostri amministratori sappiano quali siano questi palazzi, uno collegato all’altro. Sarebbe davvero un obbrobrio pensare che lì in mezzo si facciano delle case di abitazione private».
Elisabetta Forni ed Emanuele Negro, La Cavallerizza di Torino
http://www.eddyburg.it/2017/08/ne-di-destra-ne-di-sinistra-la.html