#piazzaindipendenza. Cinquemila, almeno, i partecipanti al corteo contro gli sgomberi, il razzismo e per il diritto all’abitare. Un presidio di rifugiati resta a Piazza Venezia
di Checchino Antonini, foto Massimo Lauria
I materassini arrivano quando è buio da un pezzo e i manifestanti sono andati via, per il gazebo dovranno aspettare dopo mezzanotte quando arriverà in piazza assieme a latte, acqua e biscotti, un po’ di frutta. I turisti quasi non si accorgono dei due grandi striscioni da un pino all’altro della grande aiuola tra i fori e la “macchina da scrivere”, ai bordi di piazza Venezia. Passano vocianti e ignari in mezzo al quadrato dove Aziza, Ermian, Abdul e gli altri srotolano i materassini sul brecciolino dell’aiuola. Dormiranno in strada un’altra volta, la settima da quando sono stati sgomberati dal palazzo di via Curtatone. Sgomberati con cattiveria e risgomberati cinque giorni dopo dalle radure secche e polverose di piazza Indipendenza che a Roma vengono chiamate giardinetti. La battaglia tra robocop pasciuti in assetto antisommossa ha fatto il giro del mondo, gli idranti schizzati contro donne e bambini terrorizzati, la resistenza orgogliosa, la volgarità delle parole catturate agli operatori dell’ordine pubblico. Chi voleva spaccargli le braccia, chi li chiamava topi, chi li mandava a fare in culo colpendoli come potevano con manganelli sulle mani, le ginocchia, umiliandoli e umiliandole mentre la politica metteva in scena la solita commedia degli equivoci di distinguo, proclami, retorica per contendersi quanto più di quella fetta di opinione pubblica stordita dalla crisi permanente e universale che ci ha incattivito quasi tutti.
Non è solo lo sconcerto del Vaticano di fronte alle violenze di polizia («Quelle immagini non possono che provocare sconcerto e dolore, soprattutto dalla violenza che si è manifestata. La violenza non è accettabile da nessuna parte»., ha detto monsignor Parolin), se Minniti, ministro di polizia in corsa per succedere a Gentiloni, sembra fare un passo indietro (“mai più sgomberi senza senza soluzioni abitative alternative “). Il dietrofront apparente si deve anche alla resistenza ostinata di queste donne e uomini che sono scampati a traversate del deserto, prigionie, ricatti, torture, sbarchi, naufragi, trafficanti, poliziotti e soldati, per fuggire dalle dittature e dalle guerre. Vivevano in via Curtatone, palazzo di pregio tenuto sfitto in attesa di operazioni speculative. 2 bagni per ciascuno dei corridoi in cui dormivano anche cento persone. In fondo al corteo che, due giorni dopo le cariche, ha coinvolto oltre cinquemila persone solidali o senza casa proprio come loro, militanti politici, attivisti sociali, sindacati di base, volontari, famiglie migranti o solo cittadini indignati. Una volta giunti in piazza hanno detto che non se ne sarebbero andati prima che di attivare un tavolo in prefettura. La prefetta è in ferie ma, dopo una trattativa, si strappa un appuntamento lunedì per stabilire ordine del giorno e composizione della delegazione. Ma fino ad allora il gazebo, tra l’Altare della Patria e Palazzo Valentini, sede della prefettura, sarà lì a mostrare volti e corpi di donne e uomini che reclamano un diritto per tutti, il diritto all’abitare.
E’ stato un agosto terribile per Roma: l’emergenza idrica e la crisi dell’Atac che annunciano una nuova aggressione a beni comuni e servizi pubblici, tre sgomberi violenti di occupazioni abitative e l’ennesimo rimpasto di giunta in Campidoglio, in alto a sinistra rispetto al gazebo di Aziza. La lotta del movimento romano per il diritto alla casa è una cosa sola con quella dei rifugiati africani sgomberati da via Curtatone e potrebbe essere tutt’uno con quella dei movimenti per i beni comuni e dei lavoratori.
Dall’altra parte di Piazza Venezia, sotto il portico di una chiesa dormono una sessantina di persone sgomberate a Cinecittà, la blindatura invalicabile serve a impedire che la piccola folla di piazza Indipendenza si incontri con loro. Era dai tempi della buon’anima di Raimondo D’Inzeo (che caricò le magliette a striscie del giugno ’60) che non si vedevano cavalli in assetto antisommossa. E’ questo il decoro al tempo di Minniti. Il cronista – è quasi mezzanotte – non fa domande ai dieci che si preparano a dormire. L’industria dell’infotainment li ha già spremuti e ora i giornali per bene si giocano la carta dell’”ombra del racket degli affitti”. Anche questa è una replica estiva.
«In Italia ci sentiamo in carcere. Abbiamo documenti regolari ma non possiamo andare in altri paesi», si sentiva dal megafono durante il corteo. E, ancora, «Sui giornali insinuano che noi pagavamo un affitto per vivere in quel palazzo – ha aggiunto al megafono un altro migrante – non è vero. Nessuno ha mai pagato se non per lavori di manutenzione o pulizia della propria casa». «Non abbiamo mai pagato un affitto per abitare nel palazzo di via Curtatone. Raccoglievamo soldi ogni tanto quando si rompeva qualcosa per ripararla». In è stata aperta un’inchiesta, la Procura attende la relazione della Digos che acquisirà elementi forniti dalla proprietà, fra cui ricevute che comproverebbero il pagamento di affitti da parte degli occupanti e il ritrovamento in un pc di un programma per fare dei badge da fornire agli occupanti. “Elementi, questi, che fanno pensare a una gestione e un’organizzazione dell’occupazione”, battono le agenzie recependo con diligenza la velina dell’autorità costituita. Lo stesso tipo di fango gettato in passato sull’esperienza del centro sociale «Angelo Mai» e contro esponenti dei movimenti per la casa. Passaggio di denaro per ottenere l’alloggio o almeno garantirne la permanenza a tante famiglie arrivate in Italia per sfuggire, in molti casi, agli orrori della guerra. Non troveranno nulla anche stavolta ma quei titoloni sull’”ombra del racket” faranno il loro dovere in settori di opinione pubblica capace di credere a stronzate come quella sui 35 euro al giorno e gli alberghi a 5 stelle destinati ai migranti.
I primi destinatari della nuova dottrina Minniti sono prefetture e questure come ‘diramazioni’ del Viminale sul territorio. Ma anche gli enti locali devono fare la loro parte, chiamati in causa già dal pacchetto Minniti-Orlando sulla sicurezza varato tra aprile e febbraio: quel testo in caso di occupazioni abusive affida ai prefetti la gestione della sicurezza e a regioni e comuni il compito di garantire i «livelli assistenziali degli aventi diritto» e la «tutela dei nuclei familiari in situazioni di disagio». Una circolare del Viminale per definire regole più stringenti potrebbe intervenire partendo da qui e andando oltre. Al momento dal Viminale fanno sapere che non è stata preparata una direttiva. Questo non esclude che arrivi nei prossimi giorni. In ogni caso le interlocuzioni con i prefetti e i comitati provinciali per l’ordine e la sicurezza possono essere anch’esse sede idonea per indicare linee guida.