Le scelte vanno fatte in base a ciò che ci si prefigge, all’obiettivo che si vuole raggiungere e che ci si è dati al momento della fondazione di un partito, di una forza politica.
Alcune di queste intenzioni, che sono poi programmi che nascono da analisi dello stato della società, possono essere considerati ambiziosi, altri superati, altri ancora invece impossibili da concretizzare anche semplicemente nella quotidianità del presente.
Dunque, le scelte politiche dovrebbero basarsi su programmi concreti con un legame anche ideologico ad una prospettiva di società da costruire, alternativa a quella attuale nel caso in cui si tratti di forze che si ritengono in qualche modo “rivoluzionarie” e di mero miglioramento dello standard di vita contingente nel caso in cui si tratti di forze “moderate” che aspirano a quelle che un tempo venivano chiamate le “riforme di struttura”, quindi non al sovvertimento dello stato di cose presente ma all’accettazione dei princìpi del mercato capitalistico, dello stare dentro alle compatibilità del sistema.
Già questo è un primo elemento di distinzione che una sinistra seria, degna di questo nome, dovrebbe porsi per comprendere legittimamente i propri confini di prospettiva e su questi fondare una unità rispettosa delle distinzioni singole, capace di cementarsi su dei minimi comuni denominatori per affrontare le sfide del tanto celebrato “presente”. Insomma, hic Rhodus, hic salta, avrebbero sentenziato gli antichi romani.
Gli incontri tra MDP e Campo progressista, quindi tra Speranza, Bersani, D’Alema da un lato e Pisapia dall’altro, sembrano aver rimesso a posto una frattura che pareva aver incrinato l’alleanza formatasi prima del periodo estivo. Si traccia un percorso di costituzione di un nuovo soggetto politico volto alla creazione di un’area di centrosinistra, quanto meno immaginaria visto che nel riscontro reale del Paese questa dimensione è completamente scomparsa, assorbita dal monolitismo renziano di un PD “partito della nazione” e dallo scontro tra altri due aggregati politici di destra come il Movimento 5 Stelle e le vere, le originali destre di Berlusconi, Meloni e Salvini.
Si tratta, dunque, di un progetto non di sinistra ma di centrosinistra: questo il primo punto dolente.
Si tratta, poi, di capire come si possa considerare oggi il PD un interlocutore all’altezza di valori egualitari, che dovrebbero essere l’unica espressione in ogni campo della vita moderna (come anche di quella passata, della nostra storia politica e sociale), davanti alle palesi ineguaglianze sviluppate dalle tante politiche governative portate avanti in questi ultimi anni e che hanno penalizzato i settori più fragili e indigenti della società italiana proteggendo al contempo i privilegi della grande finanza, del padronato e stabilito un rapporto di subordinazione con le istituzioni economico-politiche di Bruxelles.
Ma, evidentemente, l’equivalenza che per noi è evidente tra destra politica e destra economica (trasformatasi anche in destra antisociale con i decreti di Orlando e Minniti e con le politiche di quest’ultimo in materia di migrazioni), per Giuliano Pisapia e per Pierluigi Bersani non è così trasparente e oggettiva.
Del resto, il fatto che in Parlamento MDP sia in maggioranza e voti i provvedimenti del governo assicurandogli pieno sostegno su materie che invece dovrebbero vedere l’esplicita opposizione di una qualsiasi forza di sinistra, anche moderata che fosse, la dice lunga sul rapporto che gli scissionisti del PD hanno mantenuto con, quanto meno, l’esecutivo a guida PD con dentro elementi di destra popolare. Uno schema che si ripete anche in Sicilia: PD – Alfano uniti per rappresentare un impossibile “centrosinistra” di nuova generazione.
A questo punto è l’ora, il momento anche cruciale delle scelte: Rifondazione Comunista questo passaggio lo ha fatto e, del resto, non riscuote – per fortuna – simpatia dalle parti di MDP e tanto meno da quelle di Pisapia che, con sprezzo, ci etichetta come “nostalgici” o “settari”, comunque “minoritari”.
E’ un termometro che segna giusta la temperatura politica dell’essenza vera di ciò che siamo: fa bene Pisapia a definirci così, perché noi abbiamo nostalgia di politiche pubbliche che il suo centrosinistra non intende seguire e abbiamo in noi un settarismo buono, quello che non ci fa perdere la trebisonda nel riconoscere i valori da non disperdere nel costruire una soluzione politica da proporre alla gente per dare una alternativa alle tre destre politiche in campo: PD, Cinquestelle e destre classiche.
E per dare una alternativa anche a quelle presunte sinistre che si vogliono trasformare ancora una volta, infelicemente, in “centrosinistra” e pensare, senza avere alcun centro per le mani, di poter essere alternativi a Renzi e al PD e poter poi gestire un raccogliticcio consenso, che si fa spazio tra il nostro “minoritarismo” e il “maggioritarismo” del partito di governo, come elemento di trattativa parlamentare per “incidere” nel cammino politico di un nuovo governo liberista.
E’ questa la funzione progressista della sinistra? E’ questo il ruolo anche solo riformatore che ci dobbiamo dare? Snaturare valori, idee, programmi in nome del governismo, quindi non dell’arte del governo ma di uno sterile tatticismo subordinato alla forza vera dell’esecutivo, quella di rappresentare i poteri forti, la borghesia imprenditoriale e quella dell’alta finanza a scapito dei diritti sociali, anche di quelli civili, in generale dell’argine di tutele a protezione delle fasce più proletarizzate della società moderna di questo Paese.
Noi, dicevo, la scelta come comunisti l’abbiamo fatta. Ora tocca a chi, come Sinistra Italiana e Possibile, non l’ha ancora fatta e guarda con simpatia all’esperimento di Pisapia facendosi supportare dall’argomentazione dello “sbarrare la strada alle destre”.
E’ proprio dando forza ad un nuovo snaturamento della sinistra di alternativa, ad un nuovo depotenziamento di elementi che vorrebbero dare vita ad un progetto completamente differente da quelli sino ad ora “scesi in campo” e fatti discendere come novità assoluta, che si creano nuovi spazi di malcontento e si impedisce un rilancio della riconoscibilità della sinistra stessa nella popolazione.
L’invisibilità della sinistra di alternativa nasce, cresce e si radica dentro al vuoto che essa si crea intorno quando si fa altro da sé stessa, quando pensa di essere minoritaria e sposa il maggioritario o la maggioranza che può vincere, lasciando indietro l’obiettivo della ricostruzione di un comune sentire popolare sui temi di maggiore interesse proprio per quello stesso popolo che sopravvive quotidianamente dentro il contesto delle ruberie liberiste.
Dunque, vanno fatte delle scelte e presto. Subito. Non si può trascinare un moribondo per lungo tempo. Bisogna o dargli degna sepoltura quando sarà cadavere o provare a rianimarlo.
A voi la scelta, compagne e compagni di Sinistra Italiana e Possibile. Ma soprattutto, a voi la scelta cittadine e cittadini italiani: provate a riconoscere dietro ai proclami di rinnovamento le vere intenzioni di chi vi promette il paese di Bengodi e vi regala solo lacrime e sangue, nuova precarietà, meno pubblico e sempre più privato.
Le destre si riconoscono anche così: non portano tutte vecchi cimeli del ventennio fascista. Alcune vestono bene, elegantemente o anche in moderni stili “casual” con jeans e camicia bianca e provano ad incantarvi con battute e con promesse che non mantengono mai. Non possono mantenerle perché non possono coniugare gli interessi degli sfruttati con quelli degli sfruttatori.
Provate a guardarli bene e la scelta, se ancora un dubbio vi è rimasto, la farete naturalmente. Secondo il vostro status sociale riconoscerete chi davvero vuole battersi per voi e non chi vi usa come specchietti per le allodole…
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