Esattamente in che modo Luigi Di Maio è stato scelto come candidato premier del Movimento Cinque stelle? La domanda non è oziosa e credo dovrebbe interessare anche chi non simpatizza per quel partito, anche chi non lo voterà mai, perché c’è la possibilità, non solo teorica, che Di Maio diventi il prossimo presidente del consiglio e quindi il modo in cui è stato scelto coinvolge tutti noi.
Ovviamente non sarà scelto dal popolo dei militanti attraverso il voto in rete: queste baggianate lasciamole alla propaganda di partito. Il popolo pentastellato è chiamato a ratificare una decisione politica presa in un’altra sede, così come non furono le primarie del centrosinistra dell’ottobre 2005 a scegliere Romano Prodi come candidato premier del nostro schieramento: la decisione era stata presa dai partiti e i militanti furono chiamati a ratificarla.
Ed è giusto che sia così: se la politica rinuncia a uno dei propri compiti più importanti, ossia quello di selezione la classe dirigente, non si capisce cosa ci stia a fare. Nei partiti che conoscevamo noi c’erano degli strumenti e delle sedi per definire una scelta del genere, a volte questi criteri erano più democratici e trasparenti, molto spesso le scelte erano opache e demandate a poche persone, ma comunque riuscivi, con un po’ di pazienza, a capire come una candidatura era nata, chi l’aveva sostenuta e soprattutto cosa rappresentava. Nella post-democrazia in cui viviamo questa analisi è praticamente impossibile. Hanno deciso Grillo e Casaleggio? Hanno deciso altri al posto loro? Non è voglia di cercare per forza un retroscena, è che proprio non si capisce; e il fatto di non riuscire a capire è un elemento di preoccupazione per la democrazia.
Ma il caso del giovane deputato campano è a suo modo emblematico, perché non valgono le regole che fino ad ora avevamo seguito. Di Maio non si è certamente imposto per il suo carisma o per le sue doti superiori alla media. Di Maio è diventato il candidato del Movimento perché per mesi gli organi di informazione hanno alimentato questa immagine, credo anche al di là della stessa volontà dei vertici di quel partito.
All’indomani delle elezioni politiche del 2013, che hanno sancito la nascita del tripolarismo italiano, gli organi di informazione, e in particolare quelli televisivi, avevano bisogno di un personaggio che in qualche modo rappresentasse quel nuovo partito. Abbiamo smesso – e anzi non vogliamo più farlo – di raccontare la politica come uno scontro di idee, ci basta lo scontro tra le persone e quindi non può più esistere un partito senza leader, mentre esistono leader senza partito, come renzi. Il centrodestra aveva il suo leader indiscusso e i suoi personaggi televisivi di contorno che garantivano la copertura mediatica di quello schieramento, il centrosinistra aveva la consueta folla dei suoi capetti, più o meno nuovi, e il meccanismo delle primarie che garantiva uno spettacolo continuo, di una certa audience, i Cinque stelle avevano sì Beppe Grillo, ma siccome lui non partecipava ai talk show, c’era bisogno di qualcuno che lo sostituisse. E così è cominciato il casting per scegliere il “leader televisivo” dei Cinque stelle. E ha vinto Di Maio. Però capite che così siamo più o meno al Grande fratello della politica. Di Maio è la profezia che si autoavvera, è la bugia che, a forza di essere ripetuta, diventa una specie di verità. Per mesi ci hanno detto che Di Maio sarebbe stato il candidato e alla fine si è convinto anche lui, soprattutto si sono convinti i militanti di quel partito.
Chi ha deciso? In quale sede? E se fosse stato un caso? Francamente io credo sia andata così, che non ci sia un misterioso burattinaio, ma semplicemente che la politica sia così debole che una serie di accidenti può determinare una scelta di questa importanza. A me questa debolezza preoccupa molto, anche più di una trama oscura. Questo sistema di scegliere le candidature è diventato un criterio: ma ci basta? Nella post-democrazia evidentemente sì, visto che ormai siamo tutti qui a prendere per buona questa candidatura, ad analizzarla, ma qualcosa non funziona nel sistema.
Non ho una particolare antipatia per la persona, e non voglio neppure giudicarlo – mi limito a non votarlo – ma mi preoccupa molto una candidatura nata dalle decisioni di chi redige le scalette dei talk show. Ma prima di tutto dovrebbe preoccupare il candidato così casualmente baciato dalla fortuna.

 

 

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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