Catalogna. “Decidere è un diritto democratico: appoggiamo il referendum”. Politici e intellettuali dello stato spagnolo in appoggio al referendum
La situazione in Catalogna ci interessa e riguarda tutte e tutti noi. Per il prossimo 1° ottobre in Catalogna è convocato un referendum per esercitare un diritto legittimo, un diritto sancito dalla Nazioni Unite, riconosciuto a molti popoli del mondo ma che è tuttavia negato al popolo catalano e ai popoli sottoposti allo Stato spagnolo.
Con la sua tradizione storica, le sue mobilitazioni e le sue rivendicazioni il popolo catalano ha dimostrato di essere una nazione e, pertanto, di avere il diritto di decidere liberamente e democraticamente il proprio futuro e i suoi rapporti con i popoli che oggi compongono lo Stato spagnolo.
La rivendicazione del diritto a decidere non è rivolta contro nessuno, non contro le classi lavoratrici o i territori che compongono il Regno di Spagna. Il rispetto e la solidarietà fra i popoli è indice di democrazia. Porre i popoli uno contro l’altro è la politica più antisolidale che vi sia.
Le libertà si conquistano e si consolidano esercitandole. Il diritto di sciopero s’è conquistato scioperando. Il suffragio universale è una conquista democratica che ha richiesto molte lotte e molti scontri con la legalità allora vigente. Gli attuali detentori del potere modificano legalità e Costituzione quando ne vedono l’interesse. Battiamoci affinché il popolo catalano possa esercitare effettivamente il proprio diritto all’autodeterminazione.
Non abbiamo alcun dubbio sul fatto che questa maggioranza che vuole decidere preferirebbe farlo in base a un accordo con il governo spagnolo: ma quest’ultimo ha opposto un netto rifiuto. Dialogare e dare la parola alla cittadinanza è il modo migliore di risolvere un problema politico.
Nel nostro Paese vi sono sintomi allarmanti di degradazione democratica: vi sono sempre meno meccanismi di controllo democratico del potere; le élite si arricchiscono a spese dell’impoverimento della maggior parte della popolazione; la corruzione è giunta a livelli insopportabili; si varano leggi che eliminano diritti; e ora si vuole impedire a un popolo di decidere circa la propria sovranità.
Vogliamo che tutte le nazioni e tutti i popoli si trovino su un piede di eguaglianza, senza che nessuno goda di privilegi a scapito degli altri. Per questo motivo sosteniamo il diritto del popolo catalano a votare nel referendum. La solidarietà e la fraternità si conseguono trattandosi da eguali e aiutandosi reciprocamente quando necessario.
Il movimento sovranista e indipendentista catalano è un movimento pacifico, democratico e repubblicano con un largo seguito popolare, espresso dalla società civile e rappresentato da organizzazioni politiche e sociali. Buona parte di questo movimento sociale rivendica interventi che favoriscano la parte di popolazione più colpita dalla crisi. Pertanto, è un alleato di tutti i popoli di Spagna e di coloro che lottano per sconfiggere la politica del Partido Popularbe del governo Rajoy.
Ci opponiamo e continueremo a opporci a qualunque forma di repressione giuridica o poliziesca del governo spagnolo contro coloro che esercitano i propri diritti democratici e contro le/i rappresentanti e le istituzioni legittimamente eletti dal popolo catalano.
Noi firmatari di questo manifesto, a prescindere dalle singole opzioni politiche, ci sentiamo impegnati nel diritto a decidere del popolo catalano, sosteniamo la convocazione referendaria del 1° ottobre e ci auguriamo che vi sia il massimo di mobilitazione e di partecipazione, in modo che sia nota e riconosciuta la volontà della maggioranza.
Primi firmatari
Xosé Manuel Beiras, fondatore di Anova [“Rinascita”: partito nazionalista di sinistra galego]
Manuel (“Manolo”) Rivas, scrittore e giornalista [galego; di lui sono stati tradotti in Italia, tutti da Feltrinelli, Il lapis del falegname (2000), La lingua delle farfalle (2005) eI libri bruciano male (2009)]
Jordi Cuixart, presidente di Omnium Cultural [Catalogna]
Maddalen Iriarte Okiñena, portavoce di Euskal Herria Bildu nel Parlamento basco
Teresa Rodríguez, deputata nel Parlamento di Andalusia [dirigente di Podemos eAnticapitalistas]
Ana Pontón Mondelo, portavoce del Bloque Nacionalista Galego
Adolfo Araiz Flamarike, portavoce di Euskal Herria Bildu nel Parlamento di Navarra
Jaime Pastor Verdú, professore di Scienze politiche alla UNED, editore della rivista «Viento Sur» [dirigente di Anticapitalistas]
Seguono altri firmatari, il cui elenco si può trovare nel sito
https://www.manifiesto1octubre.org/
dove è possibile anche aderire all’appello.
da Movimento Operaio
http://popoffquotidiano.it/2017/09/25/catalogna-perche-appoggiamo-il-referendum/
“Credo che la questione nazionale per un marxista non possa essere slegata da quella sociale.
Premettendo che il Principio di autodeterminazione è inalienabile e che bisogna sempre riconoscerlo, i casi non sono tutti uguali, e la preoccupazione di una persona di sinistra deve essere sempre quella di valutare se l’esito di questo processo porta giovamenti ai più poveri e i più indifesi oppure no.
La Catalogna è la regione più industrializzata della Spagna e la più ricca. Il 20% circa del Pil spagnolo viene prodotto dalla Catalogna. La Catalogna nei confronti del resto della Spagna conta un enorme avanzo, pari a 17,5 miliardi di euro, che equivale all’ 8,6% del suo Pil, e un disavanzo nei confronti dell’Unione Europea e mondiale di 12,7 miliardi di euro.
Bastano questi pochi dati per capire che questo è un divorzio egoista, dove è il più ricco che se ne va.
Ma non è solo questo il punto. Se da una parte il governo del PP di Mariano Rajoy ha stancato per gli scandali e per la sua prostrazione al governo centrale europeo facendo pagare duramente questo prezzo ai lavoratori spagnoli, non sono da meglio i partiti al governo in Catalogna, Generalitat e i suoi alleati di PDeCAT (Partito democratico europeo catalano), ERC (Sinistra Repubblicana di Catalogna) e la CUP (Candidatura di Unità Popolare) che hanno creato falsi in bilancio per convincere i cittadini catalani che “la Spagna ci deruba” buttando benzina sul fuoco, e dando la prova che anch’essi sono altrettanto falsi e corrotti. Nei fatti costoro dichiaravano una cifra pari a 16 miliardi all’anno (8,5% del PIL catalano). Ma successivamente sono stati smentiti non dall’alta Corte costituzionale ma dal loro stesso consigliere economico del governo della Generalitat, Màs Collel, che la ridimensiona a circa 3,3 miliardi, ovvero 1,5% del Pil catalano!
Si tratta di partiti liberisti senza scrupoli che con una secessione non miglioreranno certo le condizioni dei lavoratori. Questi cambierebbero solo padroni.
Artur Mas con il suo partito Generalitat e la borghesia liberista indipendentista, che dirige la Catalogna negli ultimi anni, a partire dal 2009 quando la crisi si è manifestata in tutta la sua portata, sono stati furbi e scaltri nello sfruttare il malcontento sociale del rigore economico imposto da Bruxelles e gli scandali del PP per ribaltare la questione sociale e di classe in questione nazionale.
L’ipocrisia del governo di Artur Mas raggiunge l’apice quando iniziava la campagna in difesa della sovranità di Catalogna e per il ” diritto di decidere ” mentre il suo gruppo parlamentare al Congresso dei deputati votava a favore della Legge organica di stabilità, in attuazione delle direttive UE, che conferiva allo Stato spagnolo poteri per intervenire sui governi autonomi nel caso di mancato adempimento degli obiettivi di deficit e debito assegnati, agevolando nei fatto la ri-centralizzazione dello Stato spagnolo.
Questo per chiarire da chi viene promossa l’indipendenza.
In secondo luogo.
Qualcuno potrebbe obiettare che con una eventuale secessione questa costituirebbe almeno uno smacco all’UE. No, state tranquilli che non sarà cosi’.
Nella recente proposta di legge di “Transitorietà giuridica e fondativa della Repubblica”, l’art. 14, dall’emblematico titolo “Continuità del diritto dell’Unione europea”, cita testualmente:
“1) Le norme dell’Unione europea vigenti in Catalogna al momento dell’entrata in vigore della presente legge continueranno ad applicarsi per gli obblighi che riguardano le istituzioni catalana e di quelli che si applicano nel territorio catalano da parte delle istituzioni dell’amministrazione centrale dello Stato spagnolo, nelle stesse condizioni stabilite dal diritto dell’Unione europea.”
Ma quella che cala la mannaia è il punto 2):
“Le norme dell’Unione europea che entrino in vigore posteriormente all’entrata in vigore della presente legge si integreranno automaticamente nell’ordinamento giuridico della Catalogna, per quanto riguarda gli obblighi che siano di applicazione in Catalogna, nelle stesse condizioni stabilite dal diritto dell’Unione europea.”
Una dichiarazione di servilismo. E’ chiaro a tutti quindi che siamo davanti una farsa.
Non puo’ esistere una vera indipendenza se non c’è sovranità economica e politica.
Questa è una mascalzonata e un inganno giocato sulla pelle dei lavoratori ai quali non si risparmieranno, pari pari come il governo centrale di Madrid, tagli e sacrifici ai più deboli. Con l’aggravante di un referendum vincolante, che cioè per decidere non avrà bisogno nemmeno del 50% degli elettori! Insomma una fuga in avanti che lascia ben intendere che gli interessi in gioco sono grossi e non sono certo quelli operai e degli strati più deboli, visto che a sentito dire dagli amici di Izquierda Unida e Podemos la stragrande maggioranza di persone scese finora in strada sono rappresentanti della media borghesia, dalla piccola borghesia urbana e rurale, classi medie, eccetera. Sono pronti a scommettere che la maggioranza della classe lavoratrice si manterrà distante e non si lascerà utilizzare come carne da cannone nell’avventura indipendentista. Troppo vivo è il ricordo del tradimento trasversale di quasi tutti i partiti all’asservimento europeo, con eccezione di Izquierda Unida e alcune formazioni della sinistra radicale, che è costato alla Spagna lacrime e sangue, con circa 5 milioni di posti di lavoro bruciati in pochi anni.
En passant, è doveroso ricordare la brutale repressione del governo di destra nazionalista catalano in piazza della Catalogna nei confronti dei manifestanti degli Indignados nel settembre del 2011 quando questi scesero in strada per protestare contro la controriforma costituzionale dell’articolo 135, varata dal governo centrale del PP e del PSOE.
Allora a chi gioverebbe questa indipendenza?
La Catalogna oggi con un debito pubblico di 75 miliardi di euro, a cui bisognerebbe aggiungere, in caso di secessione, la parte che le corrisponderebbe del debito dello Stato spagnolo, più la parte del debito esterno (privato e pubblico) che arriva quasi 2 miliardi di euro, si vedrebbe ancora più pressata dall’UE e rischierebbe di essere dominata come la Grecia. I suoi leaders liberisti non si farebbero il minimo scrupolo a scaricare sui lavoratori tutti i sacrifici. Calerebbero anche le loro esportazioni verso la Spagna, giacché questa soffrirà pesantemente dopo la scissione della sua parte più ricca, e cio’ di conseguenza avrebbe ricadute sull’occupazione interna in Catalogna. Senza contare poi dal punto di vista sociale, che fine faranno le minoranze in Catalogna. Le tensioni tra i più poveri di qua e di la del confine si esaspereranno sotto la guida di regimi nazionalisti e tutto cio’ non gioverà al movimento operaio.
Se per i lavoratori catalani non si presige nulla di buona, per la Spagna andrebbe molto peggio. Gli strati più indifesi della popolazione che già da diversi anni risentono della grave crisi economica si vedranno ulteriormente penalizzati dalle casse del proprio Stato che languirebbero gravemente. Infine, la lotta dei lavoratori tutti, catalani, castigliani, andalusi, galiziani, baschi, ecc. ne subirebbe un grave autogol.
Davanti questo scenario credo che la posizione più auspicabile sia quella paventata dal compagno Diosdado Toledano, membro del coordinamento generale di Cataluña en Comu e portavoce di Socialismo XXI. Diosdado propone come alternativa a questo scenario di ipocrisia, truffa politica, frustrazione e impotenza, di creare un’alleanza dei popoli dello Stato spagnolo, che permetta di recuperare la sovranità economica e politica per realizzare la democrazia, sviluppare politiche di superamento della crisi, recuperare i diritti sociali e del lavoro eliminati superando le leggi ingiuste. Per tutto ciò è necessario rompere con l’Unione europea e l’euro.
Questo processo implicherebbe l’apertura di un processo costituente, la rottura con il regime monarchico e l’elaborazione di una Costituzione federale di libera adesione, che riconosca il diritto di autodeterminazione dei popoli. In questo modo si creeranno le condizioni di fratellanza e dialogo che faciliteranno la collocazione delle diverse nazioni presenti in Spagna in un progetto comune liberamente condiviso.
Parallelamente propone la costruzione di un progetto di collaborazione con altri paesi dell’Unione europea, specialmente quelli del sud, basato sull’uguaglianza, la giustizia, la solidarietà.
Del resto per combattere contro i giganti se invece di unirti ti fai a pezzi hai meno possibilità di vincere.”
Giuseppe Di Ponte