Sda, da giorni si sciopera contro una coop che vuole applicare il jobs act. Ieri l’aggressione di una squadraccia ai lavoratori del presidio di Carpiano. La stizza del Pd. La posta in gioco
di Ercole Olmi
Il picchetto dei lavoratori Sda di Carpiano aggredito da una squadraccia di padroncini al grido «Vogliamo lavorare». Si definiscono “gli eroi di Salerno”, un viaggio di settecento chilometri per la spedizione punitiva contro la settantina di lavoratori presenti al presidio davanti ai cancelli. Erano 200, dicono i testimoni, venivano anche da Caserta e Bari. Un lavoratore del presidio è stato investito con un’auto lanciata a tutta velocità, e ha subito lesioni a un piede; un altro lavoratore è stato accoltellato a una mano e ha subito lesioni a un occhio. Solo la pronta e coraggiosa reazione di autodifesa degli operai ha evitato il peggio e costretto gli aggressori a ritirarsi. A leggere l’Ansa si parla solo di “Tensione e tre feriti durante la manifestazione di lunedì sera davanti all’hub di Carpiano (Milano)… Le tensioni, sfociate anche in brevi colluttazioni, hanno causato tre feriti lievi”. Gli scioperanti sono stati aggrediti da squadre filopadronali che si sarebbero organizzate anche su facebook con una lista zeppa di messaggi inneggianti al duce con tutto l’armamentario razzista e fascistoide. I lavoratori da giorni protestano contro la decisione dell’azienda di mantenere l’appalto con una cooperativa subentrata nella gestione del lavoro che ha comunicato di non voler rispettare gli accordi presi con il sindacato. Uno sciopero che s’è allargato nei magazzini di Brescia, Bologna, Piacenza e Roma e sconta il tentativo di serrata dell’azienda e gli anatemi del Pd e del governo che ci ha messo la faccia di Esposito Stefano, senatore del partito del Tav, che ama le grandi opere almeno quanto odia chi agisce il conflitto sociale dal basso, come sa bene la popolazione della Val Susa occupata da truppe di reduci delle missioni di guerra a guardia del cantiere dell’alta velocità. «Sda Express, a causa di una serie di scioperi di Cobas, Solcobas e Sicobas sta rischiando di perdere una serie di commesse, mettendo a repentaglio il futuro dell’azienda e di migliaia di lavoratori diretti e dell’indotto… La situazione all’interno dell’azienda è di una guerra tra poveri, tra i lavoratori che vogliono continuare ad astenersi dal lavoro e chi invece teme per il futuro e vuole riprendere. Sda Express cura le spedizioni di aziende importanti, a partire da Amazon, in un settore in cui ritardi e carenze sono puniti dal mercato».
E’ un paradosso cinico e feroce che la guerra tra poveri venga evocata da chi la costruisce da anni con le politiche di frammentazione contrattuale e i tagli dovuti all’austerità. Ma quelli di Esposito e del Pd non sono argomenti che sembrano far presa su chi si spezza la schiena nei magazzini. La lista fb che avrebbe organizzato le squadracce sarebbe la stessa che, due anni fa, a Roma, fomentò l’aggressione di un gruppo di crumiri contro lavoratori Sda in sciopero, 4 finirono all’ospedale tra cui uno gravemente ferito. Uno dei capetti della squadra di picchiatori risultò essere anche iscritto Cgil.
“Ste merde rosse”, “se vogliono il barcone è già pronto a Lampedusa”, “tornateve nei vostri paesi affamati”: l’antologia che se ne ricava svela il degrado delle relazioni tra lavoratori dopo vent’anni di attacchi e concertazione. C’è chi scrive che bisogna andare a Carpiano o Piacenza contro gli operai in sciopero e chi si augura che a fare il lavoro sporco siano SDA e Polizia. Missione compiuta. Ma lo sciopero continua.
La storia è sempre la stessa: si tenta con lo stratagemma del cambio appalto di cancellare le conquiste ottenute dai facchini con anni di dure lotte, e di far rientrare dalla finestra il Jobs Act, la libertà di licenziamento indiscriminato coniata da Renzi e Poletti in nome dell’occupazione (anche la guerra si fa in nome della pace!).
Sda, da parte sua, ha bollato come «strumentale» la protesta che s’è dilatata negli altri centri di smistamento e distribuzione. «organizzata dai dipendenti dei fornitori che operano per l’azienda, ha impedito la lavorazione ordinaria e l’accesso dei dipendenti nelle strutture adibite al recapito dei pacchi». Come il partito di governo, anche l’azienda soffia sul fuoco della guerra tra poveri e questo spiegherebbe la spedizione punitiva: lo sciopero metterebbe «a repentaglio il lavoro di migliaia di maestranze dirette e indirette dell’indotto dell’e-commerce e comporta, inoltre, danni certi per il blocco delle attività produttive per Sda e la conseguente interruzione del servizio pubblico postale». L’azienda ha già denunciato alle Procure i comportamenti che ritiene «al di fuori del perimetro del diritto sindacale». «Sda lavora in stretta e continua collaborazione con le Istituzioni e le Forze dell’Ordine affinché si possa immediatamente risolvere la situazione consentendo il ritorno alla normalità». Un altro deputato dem, Emiliano Minnucci, con toni analoghi, evoca il pugno duro e invoca Minniti «per scongiurare episodi di disordine pubblico come quelli che si sono verificati in questi ultimi giorni davanti gli stabilimenti di Roma e Bologna».
Denuncia il SiCobas, una delle sigle più combattive della logistica:
«Si tratta di una aggressione organizzata e preannunciata da qualche giorno sulla lista chiusa di Facebook “SDA Express Courier”, nella quale sono presenti anche dirigenti e capi SDA, oltre a padroncini di furgone, con un forte livore razzista contro gli immigrati e contro le lotte operaie e i cobas (uno di loro ha la foto di Mussolini sul proprio profilo), e provenienti da diverse province, soprattutto del Sud e del Centro. Come abbiamo denunciato, a questa lista è iscritto anche il capo del Sol Cobas Fabio Zerbini, che in un post li istigava a intervenire annunciando che lunedì il Sol Cobas avrebbe cercato di forzare il blocco coi suoi iscritti (in realtà gli operai in sciopero non hanno mai impedito a chi voleva di entrare a lavorare). Si tratta di una gravissima aggressione il cui obiettivo era sgomberare il presidio con i tipici metodi della violenza fascista, colpire i lavoratori in prima fila e demoralizzare gli altri, per indurli a e rientrare al lavoro senza le garanzie richieste (innanzitutto il mantenimento della non applicazione del jobs act in materia di licenziamenti). Questo nell’imminenza delle trattative tra la cooperativa subentrante e il SI Cobas dopo che domenica Poste e SDA avevano diffidato la cooperativa dal trattare con il SI Cobas. Vanno chiariti i rapporti tra i dirigenti SDA e gli autori dell’aggressione, e le loro responsabilità. In realtà lunedì la SDA (una controllata di Poste Italiane) ha attuato una serrata, tenendo chiusi i cancelli, non solo a Carpiano, ma anche a Bologna, dove ai lavoratori che, sospeso lo sciopero, si sono recati a lavorare, non è stato permesso di entrare, in violazione della legge».
1.500 lavoratori diretti e 7mila indiretti, di cui 4.500 sono corrieri e gli altri facchini, SDA, un’azienda semipubblica già al collasso, utilizzata da Poste Italiane per ripianare i bilanci in rosso di Cassa Depositi e Prestiti, i cui fondi sono destinati ad alleggerire il debito pubblico per rispettare ciò che impone l’Unione Europea sui parametri fiscali, di fronte al pericolo di ulteriori perdite ha già fatto sapere che è disposta a trattare e fare concessioni.
Se a Carpiano passa la libertà indiscriminata di licenziare attraverso il cambio appalto, si creerà un precedente pericolosissimo in tutti i magazzini e su tutte le filiere. La posta in gioco è duplice: da un lato il Pd tenta di mettere in crisi l’anomalia di un settore in cui il Jobs Act in molti casi non è ancora applicato; dall’altro prova a sferrare l’attacco finale al diritto di sciopero contro il quale si sta preparando il prossimo sciopero generale del sindacalismo di base.
Nulla di fatto, finora, ai tavoli ma Ucsa, il fornitore subentrato all’improvviso al consorzio Cpl, starebbe rivelando alcuni segnali di cedimento sul nodo dell’applicazione del jobs act, ma ha affermato che riconoscerà ai lavoratori l’anzianità di magazzino. Ma SOL cobas, di cui il SiCobas denuncia il ruolo ambiguo, ha firmato un accordo che riconosce l’anzianità pregressa, ma non disapplica esplicitamente il Jobs Act, e quindi legalmente lo rende valido anche per i lavoratori con 10 anni di anzianità di magazzino. Per questo molti lavoratori, anche del SOL cobas di Carpiano, si sono rifiutati di firmare il passaggio con UCSA. Finora hanno firmato 120 facchini su 400.
Ucsa è stata costretta a dichiarare in un comunicato interno che non intende applicare il Jobs Act. «ma è chiaro – avverte Sicobas – che il comunicato non vale nulla: vale solo se questo punto è scritto nero su bianco nell’accordo di cambio appalto, come chiediamo». SDA su questo punto dice che deve sentire Poste e che non sa se può accettare. La trattativa è ancora più complessa sui nodi del pagamento delle competenze di fine rapporto e sull’applicazione di altri accordi.
C’è un filo rosso tra questa lotta e quella che, ieri mattina a Napoli, ha visto i licenziati CONATECO e SOTECO, organizzati dal SiCobas, cominciare un presidio all’interno del Porto di Napoli. Anche lì, grazie al Jobs Act, e come in Sda, continua la campagna padronale di licenziamenti di lavoratori con contratti a tempo indeterminato per sostituirli con contratti a tutele crescenti, cioè ricattabili e con salari da fame. Pasquale Legora De Feo, Amministratore dei Terminal Conateco e Soteco del Porto di Napoli, non fa eccezione a questa regola. «Con motivazioni strumentali, e talvolta persino ridicole, getta per strada padri di famiglia noncurante di come possano poi questi garantire un futuro per sé e per i propri figli», spiega ancora il sindacato.
I licenziati hanno consegnato un dossier al Prefetto per palesare quali siano le condizioni a cui sono costretti i lavoratori, esposti continuamente al rischio di farsi male o morire, come già successo in passato. Negli ultimi mesi hanno messo in campo iniziative di blocco delle merci, momenti di agitazione, presidi e cortei, che hanno strappato l’apertura del tavolo di trattative. Parallelamente alle iniziative di lotta i lavoratori hanno portato la battaglia anche sul piano legale. Il 27 settembre (ore 11:30, Tribunale ordinario di Napoli sito in Piazza Cenni) ci sarà l’udienza della prima causa per uno dei licenziati. È un appuntamento molto importante sia per la riconquista del lavoro sia perché De Feo è, assieme ad Aponte, proprietario di MSC e suo principale fornitore di commesse, uno di quei padroni che tengono in ostaggio le economie dei porti di mezzo mondo.