Ilva, inaccettabili i piani dell’azienda che l’ha rilevata con la complicità del governo. Parla Bellavita (Usb): «Calenda? Solo un gioco delle parti in vista delle elezioni»
di Checchino Antonini
E’ terminato lo sciopero di 24 ore all’Ilva di Taranto proclamato da Fim, Fiom, Uilm e Usb contro i 4200 esuberi e il peggioramento dei livelli retributivi annunciati da Am Investco (cordata costituita da Arcelor Mittal e Marcegaglia, che s’è aggiudicata la gara per l’acquisto dell’Ilva). La trattativa sul piano è stata interrotta ieri dal ministro dello Sviluppo Economico, Carlo Calenda, che ha ritenuto la proposta dell’acquirente irricevibile sul piano della riduzione del costo del lavoro.
Che cosa sta succedendo adesso negli stabilimenti Ilva, soprattutto a Taranto. Questa è la prima domanda che poniamo a Sergio Bellavita, responsabile Industria nell’esecutivo confederale di Usb.
«A Taranto è riunito il consiglio di fabbrica per discutere se e come continuare la moblitazione dopo lo sciopero riuscitissimo di ieri. Ovviamente ci sono pareri diversi: c’è soprattutto Fim-Cisl che utilizza la questione posta dal ministro Calenda per tenere bassi i toni e favorire la ripresa della trattativa. Anche a Genova lo sciopero è andato benissimo, come a Racconigi e in tutti gli stabilimenti del gruppo. Ma le condizioni dell’accordo hanno ricadute diverse: l’85% degli esuberi (3600 su meno di 10mila occupati) ricade su Taranto, punto nevralgico per la produzione, l’unico stabilimento dove si produce acciaio; a Genova funzionano solo lavorazioni a freddo, lì difendono un accordo di programma già siglato. E’ Taranto che si gioca il futuro.
E che clima si respira in fabbrica?
C’è fermento vero, inizia a emergere una volontà di mobilitazione dopo un anno di gestione commissariale che sembrava mettere al riparo i lavoratori, come se fossero ancora un’azienda pubblica. In queste ore ci sono comizi dei delegati, presìdi, in molti spingono per un livello più alto di mobilitazione, come lo sciopero a oltranza che ieri chiedevano molti lavoratori. E che noi stiamo proponendo agli altri sindacati. Quello che non vogliamo è aspettare il giorno del ricatto senza fare niente, chiediamo al governo di dichiarare esaurita la trattativa perché non garantisce la salvaguardia di lavoro e ambiente, vogliamo riaprire la partita della nazionalizzazione della siderurgia: Piombino è ferma, Ast/Thyssen Krupp di Terni s’è fusa con l’indiana Tata e sta chiudendo un pezzo alla volta i suoi investimenti in Italia. Quindi c’è bisogno di un piano industriale per una nuova produzione in mano pubblica. Per noi nulla è escluso compresa l’occupazione della fabbrica.
Abbiamo chiesto anche l’allargamento del tavolo ai sindaci del circondario, dieci dei quali hanno espresso la contrarietà all’accordo, e al presidente della Regione Puglia, Emiliano (all’epoca sostenitore dell’opzione Jindal che, per via di una posizione di inferiorità sul mercato mondiale avrebbe avuto più interesse a investire a Taranto che, con Arcelor rischia di diventare un centro servizi con una liquidazione della siderurgia), ma Calenda ci ha detto che non considera utili quelle presenze a un tavolo sindacale “puro”. Invece sono necessarie visto che si parla di popolazioni, e che la mortalità non è scesa nemmeno dopo gli interventi fatti dal 2012. Di tradizionale in questa vicenda non c’è assolutamente nulla. Queste mosse stanno facendo passare i giorni (formalmente 25 gg a contare da venerdì quando è stata formalizzata la proposta): si rischia la nottata del grande ricatto.
Che cosa significa davvero questo protagonismo di Calenda?
L’atteggiamento del ministro ha dato la stura a tutti quelli che sottovalutavano l’importanza strategica della produzione dell’acciaio. Emblematico l’editoriale del Corsera che sottolinea l’impatto dell’acciaio sul Pil. Le sue dichiarazioni hanno irritato il management dell’azienda. Il vero problema è che il governo ha la responsabilità di aver concesso loro quelle condizioni. E’ evidente che il governo si gioca la faccia e che l’Ilva di Taranto non è Piombino.
Perché cosa è successo a Piombino?
Lì un accordo tra i confederali e una multinazionale algerina, l’Aferpi, ha cancellato ogni aumento conquistato con l’anzianità con una perdita di 250 euro al mese netti, senza peraltro che la produzione sia ripartita. Lo stabilimento è fermo e la multinazionale sparita. Questo tipo di accordo, in deroga al codice civile, è stato possibile solo grazie alla firma di Fim-Fiom-Uilm ed è molto simile a quello proposto per Taranto. Quella di Calenda è una risposta parziale e inadeguata rispetto al massacro che il piano industriale prevede: i lavoratori verrebbero riassunti col jobs act e non avrebbero più alcuna tutela contro i licenziamenti anche se hanno 15-20 anni di anzianità. E su questo il governo non dice nulla, così come non c’è una parola per quello che riguarda l’indotto. Più in generale, il governo considera positiva l’offerta di 10mila assunzioni senza prendere in considerazione i 4200 licenziamenti e il fatto che i 10mila posti sono comunque virtuali, essendo le assuzioni “progressive”, ossia assoggettate all’andamento del mercato, virtuale). E nemmeno si considera un punto di caduta quello delle mancate garanzie sul piano ambientale. Insomma non si ha intenzione di battere davvero i pugni sul tavolo. Consideriamo importante, ha detto Usb, la presa di posizione di Calenda ma parziale e inadeguata. Inoltre, potrebbe avere degli aspetti negativi in in negoziazione potrebbe essere un boomerang, si fa la voce grossa per poi cancellare ogni margine di vera trattativa.
Insomma una sorta di gioco delle parti anche a scopo pre-elettorale!
Nel momento in cui Mittal dovesse “piegarsi” alla linea del ministro, accettando le condizioni sui salari, il governo potrebbe vantarsi di aver fatto la sua parte contro una multinazionale, ma Arcelor potrebbe considerarla come ai sindacati verrebbe consigliato di non tirare troppo la corda se no ArcelorMittal andrebbe via. Va detto che questo accordo sul progetto di Am Investco Italy è stato secretato dal Mise così come è segreto il contratto della cessione di Ilva ad Arcelor Mittal. Il decreto con cui il governo ha concesso Ilva ad Arcelor poteva essere impiugnato di fronte al Tar ma, non essendo mai stato depositato, non è impugnabile. E’ una storia anche di trasparenza mancata, con tratti veramente oscuri.
Da un lato Calenda, chiede la garanzia per 10mila posti e sui livelli salariali ma lo dice dopo decine di trattative, come quella di Piombino, dove quei livelli (scatti di anzianità, indennità, superminimi collettivi) sono stati cancellati con un ruolo complice e attivo dei ministri nell’azzeramento di 40 anni di contrattazione. Ma io credo che ci siano soprattutto le elezioni dietro la sua mossa che, come nel caso Fincantieri vorrebbe indicare che il governo italiano non si fa bistrattare.
Quali sono ora i rapporti con altri sindacati?
Fin da subito la Cisl è stata tra i sostenitori, assieme a pezzi del governo, della cordata Arcelor Mittal. C’è stato un periodo di fronteggiamento tra due cordate, Mittal e Jindal, il Pd s’è diviso e c’è stato uno scontro che è arrivato anche nelle istituzioni e al tavolo sindacale dove qualcuno sosteneva ipotesi di Jindal di gassificazione dei forni per abbattere l’inquinamento, mentre Renzi, Calenda e la Cisl appoggiavano l’ipotesi Arcelor Mittal. Abbiamo apprezzato il comunicato Fiom che moltiìo simile al nostro quando dice che non sono negoziabili le condizioni poste dall’azienda ma Uilm e soprtattutto Fim e Cisl sono orientate a riaprire la trattativa e arrivare a un accordo che non è vincolante da un punto di vista giuridico se non per le deroghe al codice civile. Questo, in teoria, è un elemento a favore del sindacato ma la prassi deleteria a perdere di questi anni, ne fa uno strumento di ricatto per padroni e governo come in Alitalia quando il governo ha minacciato di non metterci più una lira. Tutto ciò ha delle ripercussioni nelle rsu e tra i lavoratori, non ci nascondiamo che per qualche sindacato c’è solo la preoccupazione per il sostegno al reddito degli esuberi che solo in parte verrebbero impiegati nella bonifica di cui non si sa ancora nulla. Per la maggior parte ci potrebbe essere, ad esempio, una cassa integrazione forse “ritoccata” con progetti di formazione comunque fuori dallo stabilimento. Stiamo parlando di una popolazione mediamente giovane per cui sono impossibili soluzioni di prepensionamento come succedeva una volta. I licenziamenti toccano la carne viva.
http://popoffquotidiano.it/2017/10/10/ilva-ecco-perche-e-giusto-nazionalizzarla/