L’uccisione di quattro soldati illustra il crescente militarismo in tutto il continente

Non c’è stata alcuna discussione sostanziale all’interno dei media statunitensi controllati dalle corporazioni e dal governo, sul perché Washington stia accelerando la sua presenza nello stato dell’Africa occidentale del Niger.

Le notizie sulla morte di quattro Berretti Verdi si concentrano esclusivamente sulle nozioni di una “guerra al terrorismo” che ormai sta raggiungendo il continente africano. Successivamente la controversia si è spostata su una serie di accuse su quanto è stato detto durante una telefonata dal Presidente Donald Trump alla famiglia del soldato afro-americano ucciso, il Sergente La David Johnson, 25 anni.

Il Capo dello Staff della Casa Bianca, il Generale John F. Kelly, ha difeso Trump, sostenendo che il capo dello Stato ha agito in modo appropriato nelle sue dichiarazioni alla vedova di Johnson. La Rappresentante della Florida al Congresso Frederica Wilson, è stata poi insultata da Trump dopo aver accusato il presidente di essere stato insensibile e insincero nei suoi rapporti con la famiglia del soldato afroamericano ucciso.

Eppure, la questione di fondo che non è mai stata sollevata è: perché un afroamericano è stato ucciso nella sua terra d’origine mentre svolgeva operazioni militari per il governo degli Stati Uniti? Inoltre, perché i politici afroamericani al Congresso non sfidano il militarismo imperialista in Africa delle varie amministrazioni che si sono susseguite, che è stato disastroso sia per i popoli del continente che per quello degli Stati Uniti?

Questo incidente si è verificato nel bel mezzo delle tensioni razziali in aumento nel paese, dove Trump ha parlato in modo dispregiativo dei professionisti del football che si inginocchiano durante l’inno nazionale come azione di protesta contro le uccisioni arbitrarie degli afroamericani per mano della polizia e dei vigilantes. L’uso della forza letale nei confronti dei popoli oppressi degli Stati Uniti rimane costantemente impunito, fornendo incentivi ai sistemi legali e giudiziari per proseguire questo stesso processo di violenza a sfondo razziale sponsorizzato e condonato dallo stato.

Questa situazione che oggi prevale negli Stati Uniti serve come base morale per una giustificata non-partecipazione degli afroamericani e di altre persone coscienziose alle operazioni militari del Pentagono in Africa e in altre regioni geopolitiche. L’escalation di invasioni militari e occupazioni ha solo peggiorato le condizioni sociali che affrontano le comunità nazionalmente oppresse e i lavoratori in generale, fin dall’inizio del secolo scorso.

Il ruolo delle truppe del Pentagono in Niger è parte integrante della strategia del Comando americano in Africa (l’AFRICOM) per dominare il continente per conto degli interessi finanziari di Wall Street. Creato all’inizio del 2008 sotto la direzione di George W. Bush, l’AFRICOM è stato ampliato durante i due mandati del presidente Barack Obama.

L’AFRICOM, come sua prima operazione a pieno regime, ha coordinato la guerra aerea e terrestre contro i popoli della Libia nel 2011, dove sono state organizzate migliaia di missioni per bombardare siti infrastrutturali e residenziali, con la conseguente morte e ferimento di decine di migliaia di persone, l’esodo di milioni di persone e la creazione dello stato più instabile della regione. La situazione in Libia rimane afflitta da crisi umanitarie, e migliaia di persone ogni mese sono vittime dei traffici attraverso il Mediterraneo.

Nei giorni scorsi, dopo la morte dei soldati americani in Niger, il Pentagono ha rivelato alcuni aspetti della sua presenza militare nel paese. Anche se l’amministrazione Trump dice che la sua preoccupazione principale è quella di ridurre il cosiddetto “terrorismo islamico”, questi stessi gruppi di “estremisti” si sono rafforzati, armati, addestrati e coordinati in Libia, in Siria e in Yemen, così come in altri paesi che stanno assistendo a conflitti militari architettati dagli imperialisti.

Inquadrare la posizione del pubblico statunitense

Per quanto riguarda la posizione ufficiale del Pentagono, un articolo pubblicato di recente da Bloomberg fornisce una spiegazione per le operazioni dell’AFRICOM in Niger e in tutta la regione dell’Africa occidentale. Con la scusa della crescente violenza “jihadista” da parte di una serie di organizzazioni che sono apparentemente influenzate da Al-Qaida e lo Stato Islamico dell’Iraq e del levante (ISIS), la gente negli Stati Uniti viene preparata per un’altra campagna a lungo termine nel continente africano.

 

L’AFRICOM nel Sahel.
I rapporti di Bloomberg affermano:

“Se c’è qualcosa da capire dal disgustoso attacco del Presidente Donald Trump alla credibilità della vedova di un soldato delle Forze Speciali statunitensi ucciso in Niger, è che gli americani stanno finalmente diventando consapevoli della missione statunitense in espansione contro la violenza estremista che si sta diffondendo nella regione africana del Sahel. Il Capo dello Stato Maggiore Congiunto Joseph Dunford ha dichiarato lunedì (23 ottobre) che il ruolo degli Stati Uniti negli ultimi dieci anni è stato cruciale: aiutare le nazioni locali a sconfiggere una varietà di minacce armate. Queste includono gli affiliati di Al-Qaida e dello Stato Islamico, i gruppi estremisti locali come Boko Haram, i trafficanti di migranti e armi, le organizzazioni criminali e i ribelli tribali. Questi gruppi hanno obiettivi diversi, ma spesso lavorano insieme. Il loro impatto si estende oltre l’Africa, alle guerre del Medio Oriente e alle politiche migratorie dell’Europa. E con lo Stato Islamico quasi eliminato in Iraq e in Siria, probabilmente questo sposterà gran parte della sua attenzione verso l’Africa” (26 ottobre).
Questi sono gli stessi triti argomenti che sono stati utilizzati ripetutamente dall’inizio dell’invasione e dell’occupazione dell’Afghanistan nel 2001. Tuttavia, le forze degli Stati Uniti e della NATO continuano a rimanere nello stato dell’Asia centrale, e Trump ha recentemente annunciato che verranno dispiegate più truppe.

Dopo 16 anni in Afghanistan e Pakistan, il “terrorismo”, che è stato il motivo dell’invasione, rimane. Pertanto, questa presunta “guerra al terrorismo” può essere giudicata solo come un fallimento assoluto.

Questo stesso post di Bloomberg istruisce il Congresso degli Stati Uniti su come affrontare questo pericolo attuale in Africa:

“Il Congresso può fare la sua parte emanando una nuova autorizzazione alla guerra, per evitare missioni segrete e dare una forte base giuridica alle operazioni contro il terrorismo lontano dai campi di battaglia originari in Afghanistan e in Iraq. Finalmente i fatti sulla malaugurata missione di Niger verranno alla luce, proprio come Trump alla fine perderà interesse per la sua faida con la vedova del Sergente La David Johnson. Idealmente, sia il Pentagono che il presidente incorporeranno ciò che hanno imparato all’interno di strategie migliori. Ma non c’è bisogno di aspettare per affrontare il rischio del crescente estremismo in Africa”.
Quello che più colpisce di queste parole è la loro mancanza di creatività. Il pensiero strategico degli Stati Uniti è apparentemente un approccio “taglia e incolla” in cui i postulati più vecchi e screditati legati alla politica militare vengono periodicamente riciclati.

Le questioni dell’uranio, dell’imperialismo francese e della guerra permanente

Il Niger è il quarto produttore più grande del mondo di uranio, un componente chiave della tecnologia nucleare, in particolare delle armi. Le risorse di uranio sono ampiamente controllate dalla Francia, che ha colonizzato il territorio a partire dalla fine del 19° secolo durante la “Spartizione dell’Africa”.

 

La regina guerriera Sarraounia del popolo nigerino degli azna, che combatté l’imperialismo francese negli anni ’90 dell’800.
Le forze militari francesi dichiararono una guerra di conquista al popolo del Niger alla fine degli anni ‘90 dell’800, e si scontrarono con la feroce resistenza del popolo hausa tradizionalmente non islamico degli azna, guidati dalla loro regina Sarraounia. Dopo essersi ritirata nelle foreste per via dei pesanti cannoneggiamenti da parte delle forze francesi della Missione Voulet-Chanoine, dopo la Battaglia di Lougou, Sarraounia e i suoi combattenti continuarono una campagna di guerriglia contro Parigi per molti anni. La regina guerriera Sarraounia non venne mai catturata dai colonizzatori.

Areva, l’azienda francese che coordina l’estrazione mineraria dell’uranio nel paese, è interessata a mantenere il suo controllo neo-coloniale del paese. Il Niger ha ottenuto l’indipendenza nel 1960, tuttavia, è rimasto all’interno della sfera politica ed economica di Parigi.

L’attuale leader del Niger, il Presidente Mahamadou Issoufou, ha preso il potere nel 2011, dopo una lunga lotta politica. Ha ereditato un paese devastato dai saccheggi neo-coloniali, che hanno causato un enorme debito col Fondo Monetario Internazionale (FMI) e altre istituzioni finanziarie occidentali.

Il Niger è fortemente dipendente dall’assistenza del capitale finanziario internazionale. Di conseguenza, è soggetto a interferenze economiche, politiche e militari sia di Parigi che di Washington.

Gli USA stanno costruendo basi per i droni nel paese, e stanno collaborando con la Francia nelle sue operazioni militari. La rivista Economist ha descritto Issoufou come un amico intimo dell’Occidente.

Pertanto, come avviene in altri stati africani, la dipendenza continua dall’Occidente è alla fonte dell’attuale crisi. Gli stati africani non potranno mai godere di un’autentica indipendenza e sovranità fino a quando il popolo non assumerà il controllo delle risorse naturali, del territorio e dell’apparato militare del governo.

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Articolo di Abayomi Azikiwe pubblicato su Global Research il 27 ottobre 2017.

Traduzione in italiano a cura di Raffaele Ucci per SakerItalia.

http://sakeritalia.it/africa/svelate-le-mire-imperialiste-americane-in-niger/

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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