Più dell’ora solare, più dell’avvicinarsi delle feste, più del freddo e delle piogge (peraltro assenti ingiustificati finora), l’inverno italiano ormai si associa sempre di più ad altro: all’emergenza smog.
Tanto nel 2015, quanto l’anno scorso, quanto questo, i mesi finali dei dodici che compongono un anno solare sono stati caratterizzati da sirene legate alla bassa qualità dell’aria nelle metropoli italiane. La crisi nera, o meglio, grigia, in questi giorni attanaglia Torino, il capoluogo piemontese, che deve vedersela anche con un brusco incremento di incendi boschivi, e che, oramai da alcune settimane, si trova a vivere in una situazione non troppo dissimile dalle più catastrofiche immagini di repertorio che, di tanto in tanto, i media italiani amano riproporci, di Pechino e dei suoi abitanti costretti a passeggiare e fare spesa con una mascherina ad addobar loro il volto; quasi a voler consolare il nostro inconscio che sono gli orientali ad avere un problema con l’aria che respirano, non certo chi vive nell’industrializzato triangolo industriale italiano.
Purtroppo però, l’allarme è più che concreto e la giunta torinese le ha tentate tutte per cercare di rispondere alla crisi: dal blocco delle auto (comprese le diesel Euro 5) che ha posto la città sotto la seria minaccia di ritrovarsi coinvolta al centro di una nuova Rivoluzione d’Ottobre, con gli automobilisti al posto dei soviet operai del 1917, fino all’avvertimento di tenere le finestre chiuse che ha suscitato l’ilarità della rete e il parallelo risentimento del sindaco Chiara Appendino, ma nulla sta cambiando. Le cause del problema? Sempre le stesse che ormai conosciamo più a memoria del Padre Nostro o di San Martino di Carducci: assenza di vento e pioggia e quindi mancanza di quella pulizia dell’aria da residui degli scarichi di automobili e ciminiere; perché seppure sia l’uomo a sporcare, è poi la natura a dover ripulire, logica davvero lungimirante. Eccesso di smog e surriscaldamento globale come Il Gatto e La Volpe che incastrano l’essere umano – Pinocchio dunque, peccato che sia proprio quest’ultimo a mettersi in difficoltà, perché se il naso gli si allunga la colpa è solamente la sua. Ma nessuno fa nulla per trarsi d’impaccio da questo Paese dei Balocchi, nessuno si attiva davvero per limitare la diffusione delle polveri sottili e di tutte quelle fastidiose sigle che le classificano ed ecco che, puntuali come uno di quei variopinti orologi svizzeri, ogni volta che le precipitazioni si fanno attendere, le pm si presentano di buona lena alla nostra porta. Cucù. A proposito di orologi svizzeri.
Invisibili, instancabili ed incorruttibili, le polveri viaggiano, mosse dal vento, si posano nei luoghi della nostra quotidianità, ci fanno compagnia e diventano persino parte di noi, accasandosi nelle mucose del nostro corpo, respirate dalle nostre vie respiratorie o dai follicoli della pelle, di cui sono più piccole, dimorando nei nostri polmoni.
Ma in quanti stiamo davvero attrezzandoci per cambiare il nostro stile di vita e ridurre l’inquinamento che produciamo individualmente e la nostra impronta ecologica? Chi ha preso realmente consapevolezza della distruttiva direzione nella quale stiamo andando? Probabimente, saranno di più coloro i quali si stanno documentando sulla danza della pioggia.