Traduzione dell’articolo di Carys Roberts, dell’Institute for Public Policy Research, pubblicato su Red Pepper con il titolo “Wealth inequality isn’t inevitable – it’s a political choice” (21 novembre 2017).
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I Paradise Papers, resi noti recentemente, hanno riportato l’attenzione sulla ricchezza posseduta dai più ricchi nella società britannica e su come, anche in una società democratica, le regole variano in base a chi sei. I Papers riflettono le conclusioni di un nuovo documento di discussionedella Commissione sulla giustizia economica dell’Institute for Public Policy Research (think tank di sinistra, con base a Londra, che si occupa di politiche economiche e politica pubblica in generale, n.d.R.). Il documento sottolinea che il Regno Unito è una nazione ricca, ma che la ricchezza è distribuita in modo diseguale. […] Nel frattempo, il British Medical Journal ha pubblicato uno studio secondo il quale oltre 152.000 persone sono morte per gli effetti dell’austerità.
Le statistiche ufficiali molto probabilmente sottostimano la ricchezza reale posseduta dai più abbienti, precisamente perché questi la nascondono […]. Escludendo quanto è nascosto offshore, secondo alcuni calcoli, lo 0,01% più ricco possiede il 3,3% della ricchezza del Regno Unito. Ma – in base alle stime di alcuni ricercatori – si arriverebbe al 5,1%, se si includessero i possedimenti offshore. Una proporzione aumentata negli ultimi cinquant’anni.
Oltre alle disuguaglianze verticali fra gli individui, nel Regno Unito ci sono anche grosse disuguaglianze orizzontali […]. In primo piano nel dibattito politico troviamo le disuguaglianze fra generazioni. Dai baby boomer in poi, ogni generazione ha accumulato meno ricchezza rispetto alla generazione precedente. L’altro grosso divario è rappresentato dall’area del paese in cui una una persona vive […]. Le disuguaglianze economiche persistono anche sulla base del genere, dell’etnia e della classe.
Le cose, inoltre, stanno peggiorando. Mentre le disuguaglianze economiche sono diminuite per buona parte del XX secolo, dagli anni ’80 in poi hanno cominciato ad aumentare sia le disuguaglianze economiche che la concentrazione di ricchezza. […]
Ci sono meccanismi insiti al nostro sistema economico che comportano i suddetti squilibri di ricchezza.
In primo luogo, la ricchezza genera entrate sotto forma di affitti […], distribuzione dei dividendi e interessi. Se il capitale fosse equamente distribuito nel sistema economico, o se i salari crescessero alla stessa velocità dei profitti, la ricchezza, di per sé, non genererebbe disuguaglianze. Tuttavia, come ha descritto meticolosamente Thomas Piketty, i redditi da capitale adesso eccedono i redditi di lavoro. In questo caso, il totale del reddito nazionale va agli aumenti di capitale e se il capitale è distribuito in maniera diseguale, coloro che possiedono il capitale diventano più ricchi. […]
È probabile che due trend tecnologici – l’automazione e l’aumento delle piattaforme digitali – accrescano la quota di reddito nazionale che va al capitale. Il Fondo Monetario Internazionalestima che metà del crollo della quota salariale dagli anni ’80 in poi sia stato causato dai cambiamenti tecnologici. In un mondo dove aumenta il lavoro svolto dai robot diventa sempre più importante chi li possiede, quei robot. L’ascesa delle piattaforme digitali rischia anche di concentrare la ricchezza, in particolare con i network più potenti che tendono a diventare monopoli, generando ricompense sempre più grandi per un piccolo numero di aziende ‘super star’ e per i loro fondatori.
Seconda cosa, i beni patrimoniali crescono e diminuiscono di valore. Questo genera vincitori e perdenti. Ma quando beni distribuiti in maniera diseguale crescono notevolmente di valore, in generale le disuguaglianze economiche aumentano. […]
Di fronte a grosse differenze nella ricchezza e meccanismi innati che comportano tali divergenze, la disuguaglianza economica può apparire inevitabile. Ma la causa ultima delle disuguaglianze economiche è al contempo motivo di rabbia e di ottimismo. Ossia: sono le scelte politiche che hanno esacerbato queste disuguaglianze.
Investimenti pubblici squilibrati hanno contribuito alle differenze sui costi delle case nelle diverse regioni […]. Le politiche abitative sul fronte della domanda, come Help to Buy, hanno aumentato i prezzi e aiutato coloro che avevano già accesso all’alloggio, mentre il collasso nell’edilizia pubblica ha ridotto l’offerta e aumentato i prezzi. Le entrate da dividendi e la plusvalenza sono tassate meno rispetto al reddito da lavoro […]. Inoltre, il nostro sistema fiscale permette ai ricchi di tramandare fortune senza dover pagare la tassa di successione […].
Ma se le scelte politiche […] possono accrescere le sempre più grandi disuguaglianze economiche, possono anche aiutare a diminuirle. […] La soluzione sta nel creare una ricchezza ampiamente diffusa e redistribuire quella esistente.
La chiave è allargare maggiormente la proprietà dei settori produttivi. Nuovi modelli di partecipazione finanziaria dei dipendenti che includano fondi fiduciari per i lavoratori – nelle singole aziende o in interi settori – distribuirebbero i redditi da capitale e riconoscerebbero il contributo dei lavoratori alla produzione economica. […]
Ma per contrastare le disuguaglianze economiche nel Regno Unito, radicate da generazioni, c’è bisogno anche di riformare il sistema fiscale. […]
Le disuguaglianze economiche non sono una legge di natura, ma sono state create attraverso un arcaico sistema classista, un fisco che permette di evadere le tasse, i privati che beneficiano delle rendite degli investimenti pubblici e un mercato immobiliare guasto. Il fatto che le scelte politiche abbiamo esacerbato il problema dimostra come il livello di disuguaglianza economica che abbiamo nella nostra società sia una scelta politica e che, quindi, risolverlo, sia un problema politico. Difficilmente il Ministro delle Finanze farà i passi necessari nel prossimo budget, ma la sinistra dovrebbe pensare a soluzioni per arrivare a una ricchezza ampiamente diffusa e a creare la volontà politica per implementarle.