E’ passato un anno da quel 4 dicembre. Ed è passato invano.

Non sono pentito del mio NO. Anzi. Sono sempre più convinto che quel voto sia stato importante: non oso pensare cosa sarebbe successo se in quel momento avessero avuto l’opportunità di stravolgere la Costituzione. Meglio che non lo abbiamo sperimentato.

Capita a volte che Davide sconfigga Golia, ma perché la storia finisca con vera vittoria – come avviene nella leggenda biblica – occorre che Golia venga ucciso. Altrimenti alla lunga il più debole è destinato a soccombere. Golia non è affatto morto, anzi in qualche modo è stato rafforzato da quella sconfitta, e noi non abbiamo saputo sfruttare le possibilità che quella vittoria ci avrebbe potuto concedere. E quindi, nonostante tutto, siamo noi gli sconfitti del 4 dicembre.

Dobbiamo in qualche modo ringraziare renzi, perché probabilmente se non fosse stato per la sua arrogante presunzione avremmo rischiato di perdere. Immagino abbiano imparato la lezione e la prossima volta il loro attacco alla Costituzione sarà meno volgare, ma non meno violento. Hanno visto che in fondo alle persone importa poco della Costituzione, alla maggioranza bastava dare un calcio in culo a renzi e, ottenuto il risultato, sono stati tutti contenti e se ne sono tornati tranquilli a casa.

Sapevamo che il NO era un fronte eterogeneo, che non avremmo mai potuto sommare pere e mele, ma perché servisse a noi, alla sinistra di questo paese, avremmo dovuto dire che da lì cominciava una pagina nuova, radicalmente diversa. Non lo abbiamo fatto. Di fronte al più violento attacco che il capitalismo abbia sferrato contro le istituzioni democratiche del paese, dopo le stragi di stato degli anni Settanta, noi avremmo dovuto impostare la battaglia su basi nuove: riconoscere il nemico, accettare lo scontro e agire di conseguenza. Avremmo dovuto accettare che il mandante di renzi – e quindi il nostro vero nemico – era il capitalismo che, con lo stravolgimento dei principi fondamentali della Costituzione del ’48, voleva anche simbolicamente segnare un cambiamento d’epoca, la fine delle democrazie nate al termine del secondo conflitto mondiale e del primato della politica, a favore della possibilità del capitalismo di rompere gli argini in cui era stato costretto e scatenare tutta la sua smodata violenza. Quelle costituzioni rappresentano il nostro baluardo, forse l’unico, e quindi la loro abrogazione segnerà la fine della guerra di classe con la vittoria del capitalismo. Invece siamo stati un anno a discutere di nulla e alla fine abbiamo deciso che il problema non è il dominio del capitale, ma il modo in cui in questi vent’anni abbiamo tentato di rapportarci a esso, il modo in cui siamo venuti a patti con esso. E infatti siamo ancora qui che pensiamo come il capitalismo possa essere mitigato.

Paradossalmente – e lo vediamo purtroppo in questi giorni con la nascita dell’ennesimo “nuovo” centrosinistra – abbiamo deciso di riportare indietro le lancette dell’orologio di una ventina d’anni. E’ come se di fronte al bandito a cui abbiamo messo in mano la pistola e che con quella ci ha ucciso chiedessimo di rivivere quel momento, ma solo per scegliere un’altra arma e un altro punto in cui indirizzare quello sparo, che per noi sarà sempre e comunque mortale. Non esiste un capitalismo buono, non esiste un modo per temperarne gli esiti, non possiamo continuare a offrire al nemico che ci vuole uccidere l’occasione di farlo, dobbiamo pensare come noi possiamo uccidere lui.

Naturalmente spero che capiate che io uso una metafora quando dico che noi dobbiamo uccidere il capitale: la soluzione non è sparare a un banchiere o a un presidente di una corporation. E’ il tragico errore che fecero gli anarchici tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, perché per ogni re ucciso ce n’era un altro pronto a prenderne il posto. E così, ucciso un banchiere, altri ne prenderanno il posto. Ma non è affatto una metafora dire che il capitale ci uccide, lo fa letteralmente, perché ad esempio continuando su questa strada, continuando a privatizzare selvaggiamente la sanità, le cure mediche saranno una possibilità solo per quelli che se le possono permettere, mentre i poveri saranno lasciati morire. Continuare ad aumentare l’età in cui le persone possono andare in pensione significa accettare che ci saranno più morti sul lavoro. Far crescere la povertà – e non è un caso che uccidere etimologicamente significhi tagliare – vuol dire uccidere le persone. Nel Mediterraneo già oggi sono sepolte migliaia di persone uccise dal capitalismo. Loro ci uccidono e noi non facciamo nulla. O al massimo cerchiamo di curare le ferite dei superstiti. Non ci può bastare. A me non basta più.

Io per queste ragioni ho votato NO il 4 dicembre dell’anno scorso. E lo rifarei. Forse è l’ultima cosa che noi che portiamo la responsabilità storica di aver ucciso la sinistra, possiamo fare. Altri dovranno fare quello che noi non abbiamo saputo fare.

 

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

Un pensiero su “Un anno passato invano”
  1. Cosa rosa: Grasso, D’alema, Bersani & soci. Siamo di fronte allo scontro tra due PD, quello di Renzi e quello di Grasso, D’alema, Bersani & soci.

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