Di Andre Vltchek

 

Un tavolo era apparecchiato per due, era un tavolo per fare pubblicità, un tavolo una foto di un tacchino enorme, due piatti eleganti e una bandierina americana che spuntava fuori.

“Festa del Ringraziamento al Café Royal di Angkor”, si leggeva su un volantino. E: “23 novembre, unitevi a noi per il tradizionale banchetto del Ringraziamento”.

Questo era in uno degli alberghi internazionali a Siem Reap, una città cambogiana vicino ai tesori architettonici di Angkor Wat e all’antica capitale Khmer, Angkor Thom.

Lo stesso giorno ho letto una mail inviatami dagli Stati Uniti dai miei amici Americani Nativi, dove c’era un link a un saggio pubblicato da MPN News, che si chiama: “Guida al Giorno del Ringraziamento: come festeggiare una storia indecente”. Cominciava con una sintesi:

“Mentre milioni di Americani questa settimana si preparano a entrare nello spirito

delle feste, cominciando con il Ringraziamento, quanti sono pronti a guardare la giornata attraverso una lente precisa? Mentre per molti Americani questa festa serve per ricordarsi di ringraziare, da innumerevoli altre persone è vista come un giorno di lutto. La verità è che i migranti europei hanno brutalmente ucciso gli Americani Nativi, hanno rubato la loro terra, e oggi continuano ad agire così”.

Quel giorno è diventato giornata ufficiale festiva nel 1637, per celebrare il massacro di oltre 700 persone della tribù Pequot.

In un albergo, mi sono avvicinato a un allegro responsabile francese della ristorazione, e gli ho chiesto: si rende conto di che cosa suggerisce si debba celebrare in uno dei suoi ristoranti?

“Oh, lo so, lo so,” ha risposto, ridendo. “E’ un pochino discutibile, non è vero?”

“Un pochino discutibile?” mi sono chiesto. “Sembra che lei inviti le persone a celebrare un genocidio, un olocausto, con vino che scorre liberamente ed un tacchino gigante.”

“Sto cercando di vedere le cose in modo positivo,” continuò, sorridendomi. Poi ha sintetizzato: “Suppongo quindi che non si unirà a noi stasera? Che peccato…”

“Che peccato”, ho pensato, “che peccato.” Non mangerò quella famosa torta americana e il tacchino e chissà che cos’altro, proprio perché non sono affatto entusiasta di celebrare i massacri e gli accaparramenti di terre perpetrati dall’Impero.

Il manager non poté fare a meno di chiedermi: “Di dove è lei?”

Sapevo che me lo avrebbe domandato. Nessun europeo direbbe ciò che stavo dicendo.

“Sono russo,” ho risposto.

“Oh, capisco,”; mi fece il tipo di sorriso ‘avrei dovuto capirlo’.

“Russo-americano,” ho aggiunto.

Sono convinto che il manager francese fosse sinceramente inconsapevole di quello che affermavo. Dopo tutto, ci sono ‘i nostri genocidi’, e ‘i genocidi degli altri’. ‘I nostri genocidi’, quelli che abbiamo innescato o commesso, non dovrebbero essere mai discussi. La maggior parte delle persone non li conosce neanche, comprese molte delle vittime. D’altra parte, i genocidi commessi dagli altri, in particolare dagli avversari dell’Occidente, sono ampiamente discussi, pubblicizzati, analizzati, gonfiati e molto spesso perfino inventati (tutto questo è descritto in dettaglio nel mio libro di 840 pagine: Exposing the Lies of the Empire” – Rivelare le bugie dell’Impero).

La Cambogia è un esempio da manuale dell’ultimo tipo di genocidi. Qui, vari decenni fa, gli Stati Uniti e i loro alleati hanno dapprima appoggiato il governo di Phnom Penh  estremamente corrotto e brutale, allo stesso tempo innescando una campagna mostruosa di bombardamenti a tappeto sulla campagna cambogiana, principalmente vicino al confine con il Vietnam. Si ipotizzò che questo impedisse al paese di ‘diventare comunista’, o, almeno, ‘comunista nello stile di Ho Chi Minh’. Centinaia di migliaia di abitanti dei villaggi furono uccisi dalle bombe. Milioni furto costretti a mettersi in marcia, lasciando le loro abitazioni, dato che la campagna si era trasformata in un gigantesco campo minato, coperto da ordigni inesplosi. Altre centinaia di persone morirono di fame e di malattie. Furiosa, impazzita per le sofferenze, i Cambogiani si sollevarono contro i collaboratori dell’Occidente a Phnom Penh. Pol Pot e i suoi Khmer Rossi presero la capitale praticamente incontrastati. Di recente, nel profondo della giungla, ho parlato con le ex guardie personali di Pol Pot. Ho chiesto loro, a bruciapelo, se sapevano qualchecosa sul Comunismo. “Assolutamente nulla,” mi hanno detto. “Gli Stati Uniti stavano ammazzando le nostre famiglie, senza nessuna ragione. Le élite corrotte stavano vendendo il paese all’Occidente. Eravamo tutti indignati e pronti alla vendetta. Avremmo seguito chiunque chiedeva vendetta.” Tuttavia, fino a questi giorni, l’Occidente sta facendo passare gli avvenimenti come “genocidio comunista”.

Il Ruanda è un altro ‘caso’ di narrazione distorta. Ho girato un intero documentario, in versione integrale – Rwanda Gambit (Lo stratagemma del Ruanda)  – su questo argomento. In quel caso, l’Occidente ha ribaltato la storia, riducendo tutta la tragedia a una narrazione primitiva e facile da digerire di Hutu cattivi che uccidevano i Tutssi buoni. Tuttavia, perfino l’ex ambasciatore americano Robert Flatten, mi ha detto che il suo paese preparava, armava e sosteneva l’RPF (Fronte Patriottico Ruandese), per lo più l’esercito Tutsi, che prima del 1994 aveva fatto incursioni letali nella campagna ruandese arrivando dall’Uganda, confinante, incendiando i villaggi e uccidendo i civili. Mentre un ex avvocato australiano e un investigatore dell’ONU , Michael Hourigan, mi fornivano informazioni sull’abbattimento dell’aereo, che, nell’aprile 1994 uccise sia il Presidente del Ruanda Juvenal Habyarimana, e il presidente del Burundi Cyprien Ntaryamira, durante l’avvicinamento finale all’aeroporto di Kigali. Gli ordini di abbattere l’aereo furono dati dal leader dell’RPF Paul Kagame, a sua volta appoggiato dall’Occidente. Questo avvenimento ha innescato il terribile bagno di sangue nel 1994. L’anno successivo, il 1995, l’esercito ruandese entrò nella Repubblica Democratica del Congo RDC) e partecipò all’uccisione di almeno 9 milioni di persone, per lo più civili, per conto dei governi occidentali e delle compagnie multinazionali, facendo di questa azione il crimine peggiore dell’umanità nella storia recente.

Di fatto, tutti i maggiori genocidi commessi dall’Occidente o dai suoi alleati nella storia moderna, sono ‘genocidi silenziosi’, compresi quelli in Iraq, Siria, Iran, Papua Occidentale, Timor Est, Repubblica Democratica del Congo (DRC), Indonesia, Afghanistan, Angola e molti altri luoghi sfortunati in tutto il mondo.

I genocidi orribili commessi dall’Occidente in tutto il mondo, durante gli scorsi 2000 anno, ma specialmente quelli degli scorsi 500 anni, non sono mai definiti come tali, mai come ‘genocidi’. In tutta la storia, i paesi europei hanno distrutto sistematicamente la maggior parte delle culture su tutti i continenti del Pianeta, riducendo, praticamente, in schiavitù tutte le nazioni non-bianche, depredando e saccheggiando le sue colonie (leggete: quasi tutte le nazioni non-bianche del mondo), allo stesso tempo sterminando centinaia di milioni di uomini, donne e bambini. Il bilancio delle vittime è andato aumentando, accumulandosi, raggiungendo quasi 1 miliardo, secondo la testimonianza di uno dei miei amici, un esperto statistico dell’ONU.

Tornerò presto a trattare della ‘storia cambogiana’, sulle pagine di questa rivista. E tornerò a trattare, ripetutamente, di tutti i genocidi commessi dall’Europa e dal Nord America, praticamente dovunque. A meno che la storia non venga capita  e ammessa, il mondo non ha futuro e non ci possono essere soluzioni ai terribili problemi che deve affrontare la nostra umanità.

Per il momento, però, permettete che concluda questo breve saggio, dicendo che non ho partecipato alla consumazione  del tacchino e delle torte di zucca, per la Festa del Ringraziamento, nella città cambogiana di Seam Reap.

I miei pensieri sono andati a quelle 700 persone della tribù Pequot che si ribellarono, furono determinati e morirono per la libertà, quasi 400 anni fa. Questi furono alcuni dei primi combattenti contro l’imperialismo occidentale. Questi erano gli ‘Americani’ che ammiro, questa è l’America che era stata terribilmente danneggiata, ma non ancora completamente distrutta. Nessuna parola troppo zuccherosa, sentimentale, vuota poté soffocare completamente la sua essenza, come nessuna ghiottoneria e orgia di cibo ha potuto mai far tacere completamente le urla di dolore di coloro che sono morti nelle mani degli invasori europei, durante e dopo la conquista di quello che è stato così cinicamente battezzato il ‘Nuovo Mondo’.

Pubblicato per la prima volta da New Western Outlook (NEO).

Andre Vltchek è un filosofo, romanziere, regista e giornalista d’inchiesta. Ha scritto articoli sulle guerre e i conflitti in dozzine di paesi. Tre dei suoi libri più recenti sono il suo tributo alla Grande Rivoluzione Socialista di Ottobre: il romanzo rivoluzionario “Aurora”, e un’ opera di successo di saggistica:  “Exposing Lies of the Empire” [Rivelare le menzogne dell’Impero]. Guardate altri suoi libri su: http://andrevltchek.weebly.com/books.html. Guardate Rwanda Gambit (Lo stratagemma del Ruanda),  il suo documentario rivoluzionario  sul Ruanda e la Repubblica Democratica del Congo e il suo film/dialogo con Noam Chomsky su. “Il terrorismo occidentale. Dopo aver vissuto in America Latina, in Africa  e in Oceania, Vltchek attualmente risiede  in Asia Orientale e in Medio Oriente  e continua a lavorare in tutto il mondo. Può essere raggiunto sul suo sito web http://andrevltchek.weebly.com/ e sul suo twitter:https://twitter.com/AndreVltchek

Nella foto: gli Khmer Rossi.

Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://www.counterpunch.org/2017/12/01/genocidal-united-states

Originale: NEO

Traduzione di Maria Chiara Starace

Traduzione © 2017 ZNET Italy – Licenza Creative Commons  CC BY NC-SA 3.0

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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