La storica fabbrica dei pandori, proprio quella che nel 1894 registrò come brevetto la ricetta dolciaria del Pane d’oro, salvata dagli operai in alleanza con i consumatori «solidali». Sembra proprio una buona novella natalizia con una montagna di zucchero a velo sopra, invece quella della Melegatti di San Giovanni Lupatoto, provincia di Verona, è una storia di lotta sindacale e di banche che fanno tutt’altro rispetto al loro precipuo compito, che sarebbe quello di sostenere e finanziare le aziende che investono.
«Certo che si può dire che la fabbrica Melegatti è stata salvata dai lavoratori, è proprio così», scandisce Maurizio Tolotto dell’esecutivo Fai-Cisl di Verona. E racconta che due giorni fa, quando è ripresa la linea di produzione dopo che è stato scongiurato il ricorso alla cassaintegrazione ordinaria proprio sotto Natale, c’era una lunga fila di acquirenti al freddo davanti allo spaccio aziendale.
Le scatole azzurre e oro uscivano da lì ancora calde e profumate per essere impilate sui camion e trasferite di corsa ai punti vendita dove stavano ad attenderle i consumatori «sensibili», quelli che hanno recepito il messaggio inviato sui social dai lavoratori con l’hashtag #NoiSiamoMelegatti. Perché quest’anno i pandori Melegatti vanno letteralmente a ruba, in una sorta di gara della solidarietà, come certifica anche Antonio Comerci dell’ufficio comunicazione istituzionale dell’Unicoop Firenze, il gigante coop della distribuzione nel Centro Italia.
«Quando è partita la campagna dei lavoratori della Melegatti abbiamo iniziato a ricevere lettere dei soci che ci chiedevano quale posizione intendevamo prendere su questa azienda in crisi – spiega Comerci – ci siamo immediatamente attivati mettendoci in contatto con i responsabili dell’azienda per cercare di ottenere i prodotti che c’erano, purtroppo la produzione è ancora ai minimi e. Comunque i pandori Melegatti appena arrivati sugli scaffali sono spariti, segno di una grande attesa da parte dei consumatori e dei soci in rapporto a tutti gli altri marchi».
La Melegatti era a rischio fallimento, con crediti deteriorati con i fornitori e soprattutto esposta per circa 50 milioni di euro con le banche (Mps, Unicredit, Bnl, Bpm) non più disposte a finanziarla. L’azienda, per salvarsi dalle oscillazioni del mercato dei prodotti stagionali – Natale e Pasqua – aveva aperto una nuova fabbrica di merendine, impiantata a Como e poi trasferita a S. Martino Buon Albergo, sempre nel Veronese. Ma non avendo nuove linee di credito aveva dovuto finanziare questa nuova impresa con la cassa corrente. Da lì, il tracollo.
Quando un ragioniere della zona esperto in curatele ha trovato il fondo maltese Abalone Asset Management (con base nel paradiso fiscale delle Isole vergini ) disposto a entrare nella partita si è potuto iniziare a ristrutturare i debiti almeno in parte e garantire la sopravvivenza dell’azienda e i posti di lavoro (70 fissi, 14 a tempo determinato, più altrettanti interinali per i picchi di lavorazione). Si è così avviata una procedura di concordato preventivo in cui a decidere tutto sono i liquidatori nominati dal Tribunale.
I tempi però a quel punto erano risicati sia per attivare gli ordini sia per acquistare burro e altre materie prime oltre quelle in deposito senza andar dietro alla rincorsa dei prezzi con l’avvicinarsi delle festività. Né si poteva correre il rischio di tanto invenduto. Così è stata data licenza di produrre solo 1 milione e mezzo di dolci natalizi, poi – giovedì scorso – si volevano mandare tutti in Cig prima di avviare i lotti pasquali.
Ma gli operai, forti della ripresa di visibilità del marchio con la loro campagna, hanno votato no in assemblea e i liquidatori incontrando i sindacati Cgil Cisl e Uil hanno accettato di togliere la Cig e riattivare la produzione anche se, per ora, solo per lo spaccio aziendale.
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