#PotereAlPopolo. L’assemblea di Roma, a un mese dal primo appuntamento, lancia la lista alternativa al Pd e suoi derivati
di Checchino Antonini
Potere al Popolo, stavolta erano anche di più. Più degli 800 che erano arrivati al Teatro Italia ventinove giorni fa. Più di mille, stavolta, a gremire l’Ambra Jovinelli dopo aver prodotto un’ottantina di assemblee locali le cui immagini, ingrandite, scorrono sul maxischermo alle spalle della presidenza. Sugli spalti anche gli striscioni multilingue del corteo del giorno prima.
Potere al popolo, nel frattempo, è diventato il nome della lista. C’è un simbolo, ora, essenziale, con le sue mezzelune rosse e quella stella sghemba e rossa come se fosse scritta su un muro, di corsa, durante una giornata di lotta. Programma e manifesto politico stanno già circolando in rete. Il programma è credibile, radicale, radicalmente riformista ma riesce a far venire in mente parole che sembravano desuete e vengono pronunciate da molti oratori: rivoluzione, passione e anche popolo nella sua accezione di mondo degli umili, degli esclusi, degli sfruttati, senza l’ambiguità del grillismo e di ogni populismo. Per i candidati, verrà detto alla fine, saranno gli ambiti territoriali a compilare le liste prima del rush finale della raccolta di firme. Intanto, anche per squarciare la congiura del silenzio della stampa per bene, la lista si manifesterà già il 26 dicembre volantinando davanti ai centri commerciali aperti.
L’assemblea di Roma doveva imprimere lo slancio a militanti e attivisti venuti un po’ da tutte le parti, molti restati in città dopo la manifestazione Diritti per tutti. E così è stato. Bisognava ufficializzare i risultati di un lavoro di tessitura e socializzazione che in quattro settimane ha mutato il paesaggio a sinistra dopo l’eutanasia del percorso, per altro non esaltante e ambiguo fin dall’inizio del Brancaccio, perché potesse nascere la lista Grasso “pompata” da Repubblica e manifesto come sedicente antidoto al Pd.
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Uno sguardo ravvicinato su questo teatro rivela che «c’è del metodo in questa follia», per rubare le parole ad Eleonora Forenza, l’eurodeputata Prc/Altra Europa. E’ stata una cerimonia, insomma, con il passaggio di testimone importante dalle generazioni di una sinistra che ha visto vittorie e sconfitte alle nuove leve. Apre Haidi Giuliani, la mamma di Carlo ma anche ex deputata del Prc al tempo del secondo Prodi, seguirà l’adesione appassionata di Nicoletta Dosio, storica esponente del movimento No Tav che interviene dopo i saluti degli ospiti internazionali (Monereo di Podemos, Amard di France Insoumise e Maite Mola di Izquierda Unida). «Non sembra proprio un’assemblea elettorale», osserva la docente di greco in pensione venuta dalla Valle che continua a resistere. Molte voci prima e dopo spiegheranno che questa storia non si consumerà con le elezioni, che è un’irruzione di lunga durata per non lasciare la sinistra nelle mani degli autori del massacro sociale degli ultimi vent’anni e per rompere con la stagione del neoliberimo che «ha insegnato al popolo a odiare sé stesso»: Giorgio Cremaschi di Eurostop, Maurizio Acerbo, segretario Prc («Noi siamo l’unica vera lista di sinistra, nata dal basso, che nulla ha a che vedere coi vari D’Alema e Bersani e tantomeno col PD»), l’omologo del Pci, Mauro Alboresi e Franco Turigliatto di Sinistra Anticapitalista che ha scelto questo percorso rispetto a una lista più identitaria con Pcl e Scr. «Stiamo facendo la cosa giusta – ha detto Turigliatto – era necessario farlo dal punto di vista sociale e dal punto di vista politico: sarebbe stato drammatico lasciare che la presunta ricostruzione della sinistra avvenisse da parte di personaggi come D’Alema e Bersani che sono esattamente il nostro problema. Sono quelli che hanno creato le condizioni e hanno gestito la sconfitta del movimento dei lavoratori, che hanno imposto il jobs act, abolito l’articolo 18. La manifestazione di ieri ha dimostrato che si può ricostruire l’unità degli sfruttati con quello che è il nuovo proletariato migrante. La sfida è unire al di sopra delle frontiere. La sfida è dire basta con le deleghe, solo le lotte delle classi subalterne possono ottenere risultati. Vogliamo costruire un nuovo movimento di massa protagonista del cambiamento. La costruzione dell’unità è anche la costruzione dell’unità tra le generazioni. Il problema è che domina la valorizzazione del capitale e non tornerà alcuna età dell’oro, dobbiamo riattivare la “vecchia” lotta di classe perché le nostre vite devono valere più dei loro profitti».
In presidenza, ancora una volta, due donne di Je so’ pazz, il centro sociale napoletano che ha occupato l’ex Opg e che, dopo l’eutanasia del Brancaccio, ha riempito e dilatato lo spazio che Mdp, Si e Possibile avrebbero voluto saturare e ridurre al silenzio.
Si alternano al microfono, con pari dignità, le voci delle lotte, le testimonianze dai nodi locali – da Lampedusa alla Valle di Susa, dalla ThyssenKrupp ad Almaviva, e i volti più noti delle organizzazioni politiche. Parlerà lo scrittore Christian Raimo che sta conducendo un’inchiesta su studenti e politica, e, ad infiammare la platea prima delle conclusioni, Francesca Fornario, popolare autrice satirica ormai frequentatrice abituale di Potere al Popolo. Lei conosce un sacco di donne che «sono state innamorate ma poi hanno sposato Giovanni». Ora è il tempo di non votare Giovanni, di stare «dove ci batte il cuore».
L’INTERVENTO DI MAURIZIO ACERBO
«Abbiamo accettato tutti insieme la sfida – commenta al termine Je so’ pazzo – e insieme la porteremo avanti fino in fondo. Perché è vero che non abbiamo soldi e non abbiamo grandi nomi, che non usciamo per il momento sui giornali e che la televisione ci ignora. Ma abbiamo qualcosa di unico. Abbiamo la sicurezza di poter contare su ognuno di noi. Perché noi non riempiamo i teatri, i circoli e le strade con autobus prezzolati o personaggi famosi. Ognuno di noi, e già siamo migliaia, è libero da ogni interesse e da ogni paura. Affronteremo questa battaglia con le armi che abbiamo e che i nostri nemici non possono neutralizzare. Casa per casa, università per università, sui luoghi di lavoro , nelle lotte e in ogni provincia noi andremo avanti a portare le idee per le quali ci battiamo. Che sono semplici, oltre i tecnicismi di programmi infiniti, e sono quelle che uniscono tutti: lavorare senza essere sfruttati, non essere costretti a emigrare e vivere in territori che non vengano sfruttati e deturpati. Perché questa è una follia cominciata per queste elezioni ma che non si fermerà un giorno di marzo con una percentuale. Capiranno veramente che siamo così folli da continuare fino alla vittoria».
L’INTERVENTO DI FRANCO TURIGLIATTO