SOHA BECHARA: RESISTENZA,
la mia vita per il Libano
da Capitolo 4:  La guerra è follia

“Dopo la primavera del 1975, i combattimenti tra Israele e l’OLP (Organizzazione per La liberazione della Palestina) si intrecciarono con la guerra civile libanese, scoppiata dopo un lungo periodo di conflitti intermittenti che già avevano progressivamente sgretolato le strutture politiche e le istituzioni del Libano.
In Occidente la guerra fu considerata un conflitto fra Cristiani e Musulmani, ma la mia famiglia, come molte altre, non la visse in quel modo. Personalmente posso descriverla secondo un’altro dualismo: la Destra contro la Sinistra.

Nella Destra c’erano naturalmente quei partiti detti cristiani: la Falange di Pierre Gemayel e il Partito della Liberazione Nazionale di Camille Chamoun, sostenuti principalmente dalla comunità dei Maroniti. Ma noi, Greco-Ortodossi, che non eravamo certo meno cristiani, eravamo generalmente alleati con il campo opposto.

La Sinistra consisteva, secondo la mia famiglia, nel Partito Comunista e in quello Socialista alleati con PLO, oltre ad alcune organizzazioni di musulmani libanesi. Perlomeno era così all’inizio del conflitto. Ai due campi, però, si aggiungeva la Siria il cui sostegno fluttuava: Damasco metteva i due campi l’uno contro l’altro assicurandosi un equilibriuma suo vantaggio.

Nuovi partiti emersero dalla guerra civile. Erano soprattutto musulmani sciiti, il che rifletteva l’aumento di peso demografico di questa sezione della società libanese): AMAL,  il Movimento dei Diseredati di Musa Sadr e, più tardi, Hezbollah.

La vita quotidiana era contrassegnata da innaturali alleanze interne e divisioni in fronti instabili.
Dopo alcuni anni, in parte a causa dell’immenso vantaggio che ciò portava a pochi profittatori e trafficanti, la guerra cominciò ad  autosostenersi perdendo di vista le dispute politiche che avevano causato il suo inizio. Ciò fu particolarmente vero dopo l’uscita delle forze dei Palestinesi, scacciate dall’esercito di Israele durante le operazioni Pace in Galilea.

Per nostra sfortuna la follia della guerra immediatamente spazzò via il nostro stesso esercito, che si supponeva dovesse esistere per difendere e proteggere noialtri dagli attacchi stranieri. Incapace di stare al di sopra delle polemiche e delle dispute politiche e militari, l’ Esercito ottusamente rispecchiò le qualità suicidarie della società libanese.
I militari si scelsero dei fronti da sostenere dimenticando il loro dovere di protettori del paese nel suo complesso. Si tuffarono nella guerra scegliendo un campo o un altro. Questo rapidamente li frammentò in piccole bande al servizio dei signori della guerra che regnavano sulla distruzione di Beirut. Ben presto realizzai che il conflitto fratricida fu un tremendo disastro, la guerra civile nient’altro che un enorme inganno.

[…] Qual’era l’ideale che mi attirò verso il Partito Comunista? Non la lotta di classe, sebbene questa fosse una ragione per cui il Partito si era coinvolto nella guerra. Paradossalmente era un’idea di Nazione perchè il Partito non aveva mai cercato di dividere la società libanese secondo le appartenenze religiose. Aveva sempre parlato e continuato a parlare di un paese per tutti,  nel quale ogni cittadino avesse uguali diritti e uguali doveri.
Era una prospettiva nazionale e repubblicana che mi toccava profondamente, risvegliando parti di me a lungo intorpidite dagli slogan fratricidi e dal vociare delle manifestazioni. Lo accettai istintivamente con tutto il mio essere. Io non ero una cristiana libanese, io ero prima di tutto una libanese, ed ero nata da una famiglia Greco-Ortodossa. ”

***

Soha (Souha) Bechara  
souha-bechara-libanoOggi è una scrittrice e una testimone delle ferite inferte al Libano dalla guerra civile dal 1975 al 1990. In quegli anni Soha, come la sua famiglia, era impegnata politicamente. Agì come attivista dell’Unione dei Giovani Democratici del Partito Comunista Libanese e affrontò tutto ciò che il momento suggeriva necessario: dall’assistenza ai feriti all’attentato contro un simbolo della rovina del Libano: il generale Lahad che comandava l’ELS, Esercito Libanese del Sud, alleato di Israele nella seconda occupazione  del sud del Libano (1982-2000).
Per questa azione fallita, compiuta nel 1988, Soha venne richiusa nell’infame prigione di Khiyam, tristemenete famosa per le condizioni di detenzione e le tortture. Ne uscì dieci anni dopo grazie ad una mobilitazione internazionale in suo favore.
Il libro Resistance, pubblicato nel 2003 (Soft Skul Press, Brooklyn, NY | 2003) nell’ambito del programma culturale dell’Ambasciata di Francia negli USA, è la sua testimonianza di quegli anni, e dei precedenti avvenimenti collettivi e personali, nella lotta per liberare il Libano dall’occupazione israeliana.  Nel 
 2006 ricevette il Premio svizzero  Donna in Esilio,  nel2014 con Cosette Ibrahim – anche lei ex prigioniera-  ha pubblicato il libro The Window – Khiam Camp (Ed Elyzad) sulla vita delle detenute donne nella prigione.

In questo video, in francese, il suo vibrante racconto dell’impegno nella resitenza all’occupazione israeliana.

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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