“La morsa del ricatto delle multinazionali sui paesi poveri e sulle loro materie prime”. Il domenicale di Controlacrisi, a cura di Federico Giusti
Mentre in Italia ci si prepara alla ennesima missione di guerra, questa volta in terra africana per controllare i corridoi attraverso i quali si snodano rifornimenti energetici e il flusso dei migranti in direzione Libia, negli Usa si iniziano a comprendere le linee guida della politica estera Trump.
Dopo Gerusalemme capitale di Israele, per aggirare l’isolamento diplomatico, l’amministrazione Usa è passata alle contromisure iniziando proprio dai tagli dei fondi destinati, e già pattuiti, all’Onu. Poi sono seguiti i ricatti imposti ad alcuni paesi perchè sposarssero acriticamente e supinamente la politica estera Usa. Non va per il sottile il presidente repubblicano, promette aiuti militari ed economici anche a chi ha vinto le elezioni con le reiterate proteste degli osservatori internazionali per brogli.
E’ di pochi giorni fa l’ulteriore decisione che lascia basiti, l’ennesimo taglio di risorse ai paesi emergenti, il Congresso Usa ha fatto scadere il programma che azzerava i dazi sui prodotti di ben 120 paesi.
E’ di poche settimane fa l’approvazione della riforma fiscale americana che di fatto favorisce i grandi capitali abbassando loro la tassazione delle plusivalenze, una linea che piace a molti anche in Italia. Sempre dentro la riforma del Fisco si trova quella norma che non prevede piu’ l’obbligo di sottoscrivere una assicurazione sanitaria, un obbligo che ha permesso di abbassare i costi, per altro elevati per garantire una minima copertura a una fascia di popolazione priva di ogni welfare e prestazione sanitaria.
Siamo certi che i risultati di questa decisione si manifesteranno nei prossimi anni e in maniera assolutamente negativa perchè già oggi, con la privatizzazione della sanità, sono milioni gli americani che rivendicano copertura e assistenza sanitaria.
Il rafforzamento del capitale, e dei capitalisti, è stato seguito dalle ultime decisioni che hanno un preciso scopo: liquidare quanto resta della politica Usa di aiuto, pur interessato, ai paesi piu’ poveri, per esempio il Trade act in vigore dal 1976 che a scanso di equivoci ha permesso all’industria Usa di avere forniture a bassissimo costo e parliamo di materie prime, semilavorati e molto altro ancora. Questi accordi se portavano merci a basso costo a uso e consumo dell’industria americana consentivano allo stesso tempo di importare merci negli Usa con notevoli risparmi sui dazi.
Inutile dire che questo progetto portava, negli Usa, anche dei posti di lavoro, magari precari e sottopagati, ma pur sempre posti di lavoro che con la decisione di Trump di ripristinare i dazi saranno seriamente a rischio.
La politica estera di Trump e quella interna si muovono secondo alcune direttive: rafforzare il capitalismo made in Usa, favorirne una parte ben precisa e instaurare una nuova politica di dazi ignorando i benefici che la eliminazione di molte barriere aveva determinato.
Gli Usa mirano a colpire paesi come l’India che ha sacche enormi di povertà ma allo stesso tempo ha una economia concorrenziale in alcuni settori, intendono ormai un paese in via di sviluppo solo se completamente assoggettato alla dottrina Trump, dipendente in toto dagli Usa. Sarà per questo motivo che si tengono ben stretti i brevetti dei farmaci indisponibili a qualsiasi concessione , è da qui nascono gli attacchi all’India e alla Cina ” a tutela della poprietà intellettuale Usa” .
La politica dei dazi non riguarda tuttavia solo i paesi emergenti o in sviluppo che siano, anche l’Europa è investita del problema. Nella primavera scorsa la minaccia Usa di imporre dei dazi pesantissimi ad alcuni prodotti europei che hanno particolare successo
Mesi di tensione e poi Usa e Ue trovarono un compromesso: i primi rinunciavano al pacchetto di dazi e ritorsioni già preparato e l’Europa in cambio lasciava entrare 20mila tonnellate di carne di manzo Usa di alta qualità per poi passare a 45mila tonnellate dopo quattro anni.
La merce di scambio dei paesi piu’ poveri sarà ben altra, rinunciare a ogni forma di sovranità e cedere alle multinazionali Usa il controllo delle risorse energetiche e delle ricchezze nazionali, a questo mira l’amministrazione Trump. pronta anche a sfidare le eventuali e probabili ricadute negative occupazionali .
Del resto quando gli Usa sospesero, correva l’anno 2013, il programma di aiuti ai paesi in sviluppo sotto forma di allentamento delle tasse sulle importazioni, ci furono tagli occupazionali e stipendiali proprio negli Usa. Forse sarà proprio la politica protezionistica di Trump ad aprire contraddizioni nuove e a determinare nuovi conflitti. Una speranza, tuttavia, che potrebbe costare cara alla autodeterminazione di alcune nazioni e sancire nuovi scenari imperialisti in aree del globo, del resto proprio sul finire del 2017, la politica filo sionista del presidente Usa ha già prodotto i primi, pessimi, risultati. E con la revisione, cara anche al partito democratico, della riforma sanitaria di Obama, si annunciano ulteriori scenari preoccupanti, del resto la politica liberista ha sempre affamato le classi sociali meno abbienti, indebolito il potere di acquisto della classe media e instaurato un protezionismo a senso unico, a tutela dei piu’ forti e a discapito dei deboli. E siamo certi che Trump non rappresenterà una eccezione a questa regola barbara definita liberismo.