A spararla grossa si finisce per far esplodere il fucile e per perdere l’obiettivo, la mira e anche la faccia. E’ quello che sta succedendo in questo preambolo di campagna elettorale dove alcune forze politiche e coalizioni erano partite promettendo agli italiani ogni sorta di magnificenza in fatto di tassazioni, di evoluzioni economiche al limite del meraviglioso, anzi anche oltre.
Ma, evidentemente, una gran parte della popolazione ha mangiato la foglia, come si sul dire, e ha compreso ormai che se dalla cosiddetta “politica” non ci si può aspettare nulla di buono in materia di governo e governabilità, chiamiamola “sostenibile”, tanto meno ci si può attendere nel momento più corruttivo per la politica stessa, in cui dà il meglio di sé chiunque ha retto le sorti del Paese in questi anni, lo ha impoverito e ora cerca di dimostrare che si vive più agiatamente di prima, che la ripresa sta arrivando e se fosse anche già arrivata, e nessuno l’avesse vista passare, vuol dire che si tratta degli effetti di una economia globale che oscurano il tutto.
Capirete che, fatta così, è ben poca cosa una campagna elettorale: bisognerebbe sempre ritornare alla radice anche delle parole e ritrovarne il significato intrinseco, abbandonando ogni latenza, ogni estensione quasi aprioristica, fatta di presupposti che non sono mai vincenti perché risultano banali all’inverosimile e altro non comunicano ai cittadini se non la ripetizione stanca e indolente di concetti ormai privi di significato.
Quindi, al bando le promesse e sul campo, invece, le proposte. Fare proposte, in effetti, è molto più difficile perché ci si deve confrontare con una compiutezza che deriva dall’analisi circostanziata di una società molto complessa che in questi decenni è mutata molto pur trovandosi sempre a muoversi nel sistema capitalistico, quindi obbedendo alle regole del mercato per una incremento dei profitti privati a scapito dei settori pubblici dell’economia e del residuo stato-sociale d’un tempo che fu.
Dunque, la grande sparata sull’abolizione di questa o quell’altra tassa poco giova al partito o movimento che la propone. In un certo senso è il disprezzo, l’odio a muovere la scelta politica dell’italiano medio: il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016 lo ha dimostrato. Una larghissima parte dell’elettorato era indubbiamente persuaso del fatto che votare SI’ avrebbe significato distruggere l’impianto democratico della Carta del 1948 ma è altresì vero che una parte dell’elettorato che vi si è aggiunto aveva poca consapevolezza del merito della controriforma renziana e, probabilmente, anche poca cognizione di ciò che la Costituzione rappresenta nei termini della sua articolare espressione, sezione per sezione, voce dopo voce.
Ma ciò che conta è la percezione anche basilare, terra terra di quel voto: il SI’ voleva dire ostacolare il governo, la sua politica, quindi una espressione di negazione, il dire NO alla riforma di Renzi e Boschi voleva dire ostacolare, nella sua espressione anche “di pancia” era veritiero nel negare un consenso ad un progetto di un esecutivo che si proponeva di dare più ampio sfogo alle sue politiche liberiste.
Quindi, pur incoscientemente, una difesa “di classe” della Costituzione allora vi è stata. Oggi, invece, l’atomizzazione intrinseca nella disposizione delle liste alle elezioni politiche non consente di unire tutti i “malpancisti” da una sola parte. Non tanto per un ritorno alla concezione del voto come espressione di una libera idea di società che si ha in testa, ma semmai per le abissali differenze che intercorrono proprio tra le diverse opzioni in campo.
Un referendum prevede solo due risposte: SI’ o NO. Su una scheda che chiede di esprimersi per l’elezione del Parlamento, le possibilità sono diverse, nonostante i trucchetti elettorali per favorire una “utilità” del voto che è il primo dei tanti tradimenti che si possono portare alla propria coscienza, al proprio sentire e percepire la condizione sociale tradotta nella vicinanza a determinate idee e proposte di cambiamento della medesima società.
Sembra quindi che la campagna elettorale sia ardua da affrontare per una lista come Potere al Popolo! che ha il coraggio e l’ardire di mettersi in fila in una corsa ad ostacoli dove molti barano a cominciare dai vantaggi che si sono attribuiti con la presentazione delle liste.
In una democrazia vera dovrebbe accadere semmai il contrario rispetto ciò cui assistiamo: chi è in Parlamento, e parte da un punto di forza anche mediatico, dovrebbe raccogliere le firme e chi invece parte svantaggiato perché privo di rappresentanza e, quindi, anche di esposizione comunicativa su televisioni, radio e Internet, dovrebbe poter partecipare senza vincoli di certificazione da parte di 25.000 cittadini.
Ma anche gli ostacoli non vengono tutti per nuocere: in fondo, quello che i legislatori hanno pensato come un dovere solo per alcuni (dimenticando grandi lezioni illuministiche in merito…) diventa un potenziale per noi che in questi giorni in tutta Italia parliamo con la gente, facciamo conoscere nome e simbolo, spieghiamo le ragioni di una sorta di domanda che si apre su un panorama politico squallido, miserrimo per ciò che offre: minestre riscaldate e insaporite a dismisura per ridurne la rancidità e renderle in qualche modo appetibili dopo essere state rigettate parecchie volte in passato.
Così, senza sparate e senza promesse esorbitanti, mostrando tutte le difficoltà che sussistono e provando a rendere coscienti tanti cittadini delle ragioni del disagio diffuso che aumenta ogni giorno, il cammino di Potere al Popolo! prosegue con un entusiasmo che non deve venire meno. La consapevolezza dei limiti non deve procurarci delusioni e rassegnazioni. Sappiamo i rapporti di forza quali sono, ma sappiamo anche che se non si comincia mai una impresa impossibile anche il possibile sarà sempre irraggiungibile.
http://www.lasinistraquotidiana.it/wordpress/oltre-la-campagna-elettorale-delle-esorbitanti-promesse/