Di Robert Fisk
La strada per Sinjar passa attraverso molti villaggi cupi, umidi e distrutti. Le loro case si sono accartocciate sotto i bombardamenti, i cancelli sono sparsi in strada, una moschea si allarga in mezzo a una strada con la sua mezzaluna di metallo color argento poggiata da un lato sul marciapiedi. Il gruppo islamista al-Nusra si è ritirato così rapidamente attraverso la nebbia e la pioggia, che l’esercito siriano non ha avuto il tempo di cancellare i suoi graffiti ugualmente cupi. “Questo paese non sarà governato se non dal Corano e dalla legge della sharia,” dice una persona,
Oh, sì, di certo. I camion militari siriani, che affondano un bel po’ nel fango – alcuni di loro sono nuovi modelli russi – avanzano lentamente nel buio, carichi di migliaia di scatole di nuove munizioni per l’artiglieria, lunghi scatoloni verdi e casse di legno di proiettili per mortaio. Alcuni arrivano imballati su camion container e i soldati siriani zuppi di pioggia li sollevano e li mettono su camioncini e jeep. The Independent è il primo organo di stampa straniero che visita la linea del fronte nella provincia di Idlib. La pressione dell’aria cambia e un grosso cannone comincia a fare esplodere proiettili a due strade di distanza.
A volte si osservano delle piccole cose come questa. Un soldato infagottato per il freddo con una coperta attorno alla testa, si avvia attraverso la spazzatura bagnata della strada situata presso quella che era la stazione ferroviari di Sinjar, e scuote la testa e si batte il palmo della mano sul suo orecchio sinistro quando il cannone spara.
Due dei suoi compagni si scaldano le mani vicino a un fuoco in cui pezzi di mobili –
lo sportello di un armadio da camera da letto con disegni gialli dipinti con delicatezza sul legno – stanno bruciando senza fiamma.
Quando sono riusciti a fatica a entrare in città questo mese e sono scesi lungo la strada per riprendersi la base aerea di Abu Duhour – tre dei suoi originari difensori sono stati catturati da al-Nusra e dopo tre anni sono ancora trattenuti nella capitale provinciale di Idlib e il loro destino è sconosciuto – i soldati siriani hanno scoperto che al-Nusra aveva portato le loro famiglie fuori dalla città e che avevano distrutto la linea ferroviaria a un solo binario. Damasco-Aleppo. La spiegazione popolare è che l’hanno fatto per vendere l’acciaio in Turchia. Dei segnali sono sparsi su una un terrapieno, le rotaie sono divelte dalla massicciata della ferrovia. Si può però ancora vedere che cosa si considerava vita quotidiana nella terra di Nusra. Cinque contenitori di ferro alti 1,5 m. sono presso la carreggiata e hanno sotto un buco con liquame nero: le raffinerie primitive con le quali gli Islamisti vendevano l’oro nero locale agli autisti di camion e di autocisterne, “Raffinazione del petrolio”, è scritto mano su un muro – in caso non aveste notato i buchi – e “Banca per il cambio” su altri muri.
Sembra che gli autisti abbiano pagato usando dollari americani e valuta turca per pagare le merci di contrabbando. Ci sono altri segni che parlano di una strana normalità all’interno della guerra: “Si riparano frigoriferi”; “farmacia”; “meccanico”; “farina”. I miliziani e le loro famiglie avevano davvero frigoriferi da aggiustare? E potevano ancora andare dal Dottor Adel Khreim la cui pubblicità dipinta sul muro si trova vicino alla stazione? Ci sono vestigia di antiche città sulla strada che va a nord: un palazzo in rovina a Qasr Abu Samra fatto di roccia vulcanica nera – e i resti delle “civiltà” più recenti: un veicolo di al-Nusra bruciato e semi-blindato, un carrarmato carbonizzato in un canale di fianco all’autostrada.
Nell’ufficio del locale comandante di campo siriano che è un uomo tarchiato con una faccia rotonda e un sacco di energia – grida quasi le sue risposte ma ha ricevuto ordini di rimanere anonimo – si ascolta una lista di nomi di villaggi che sono stati presi. “Malgrado [i colloqui] di Astana (capitale del Kazakistan, n.d.t.) abbiamo avuto l’ordine di dirigerci a nord-est lungo la linea della ferrovia,” annuncia. Sulle mappe militari, le zone in mano agli Islamisti sono colorate in azzurro, il territorio dell’esercito siriano, in verde. Il verde sulla mappa si spinge a nord. “Anche Nusra ha detto che se avessimo catturassimo Sinjar, avemmo preso la base aerea, e questo è quello che è successo.”
Il generale è un uomo premuroso che non fa una pausa prima di rispondere alle domande – è sempre un segnale che non gli dispiace particolarmente dire la verità. Pensava che la guerra sarebbe durata così a lungo – sette anni – gli chiedo. “Il secondo giorno della guerra,” risponde, “ho chiamato mia moglie che mi ha chiesto se i guai sarebbero continuati, e le ho detto: ‘Questo è il primo di 10 anni. Dopo ci saranno le conseguenze’. Concludo, quindi, che alla Siria mancano come minimo altri tre anni. Il generale ride. “Non sono un astrologo.” Come è cominciato?
Ignora il mio suggerimento che la cattiva gestione economica ha spinto i poveri scontenti a diecine di migliaia nelle baraccopoli intorno alle grandi città della Siria. No, mi dice, è stata una cospirazione internazionale (dopo 40 anni in Medio Oriente sono abituato a questi complotti) che è cominciata quando l’assassinio di Rafiq Hariri, l’ex Primo Ministro del Libano, ha costretto i siriani a lasciare il Libano. E’ stato allora che il Libano “è venuto” in Siria. Tornerò in seguito “al complotto”, nel mio viaggio attraverso la Siria.
Ma dovevo proprio credere che l’autobomba del 2005 che ha ucciso Hariri – suo figlio è ora il Primo Ministro libanese (il giovane che l’anno scorso era stato costretto a dimettersi come ostaggio dei Sauditi e che poi si è ha ritirato le dimissioni quando è tornato sano e salvo in Libano) –si è diffusa come un cancro politico tra tutti i bagni di sangue della Siria e che questo è stato il motivo per cui queste centinaia di soldati siriani zuppi e infreddoliti che erano attorno a me a Sinjar si stavano preparando per l’attacco successivo? Dozzine di carri armati di fabbricazione russa erano nei campi fuori dalla città, alcuni di loro parcheggiati vicino ai desolati scheletri di alberi di pistacchio in un frutteto. Gli equipaggi avevano steso dei teli di cerata e di plastica sulle torrette per impedire che la pioggia cadesse attraverso i portelli dei carri armati. Su alcuni marciapiedi spaccati a Sinjar, delle granate luccicanti color oro erano semplicemente impilate di fronte alle case.
Non è un grande segreto che ora il vero obiettivo dell’esercito siriano è di riaprire l’autostrada tra Homs, Hama ed Aleppo, ripulire la “discarica” degli islamisti nella provincia di Idlib (che stavamo attraversando in macchina) e di tenere Isis nella sua sacca di territorio circondato, più a est. Ma dove li spingeranno i siriani? A nord, verso la Turchia dove l’esercito di Tayyip Erdogan è avventatamente affluito nella provincia di Afrin? In passato un sacco di islamisti sono stati spinti oltre il confine turco, specialmente quelli che hanno consegnato tutto, tranne le loro armi personali, a Homs e che hanno chiesto di essere portati via in autobus.
Tutto intorno a Sinjar e ai suoi villaggi distrutti, c’è fango. I carri armati e le armi trasformano sempre il suolo in liquido marrone che rapidamente diventa un pantano. Il fango ha sempre accompagnato i soldati. Le mie scarpe affondano in quella colla scura. Camminare soltanto per circa 8 m. vi risucchia l’energia. Si può apprendere la durata di un conflitto da questi folli “gite” alle linee del fronte? Forse sì, sospetto.
Infatti sembra – e guardate questo panorama zuppo – che i tre anni del generale potrebbero essere vicini alla verità. Fuori del paese, in questi giorni la Siria è ignorata, anche da me. Isis non è stato sconfitto? I siriani e i russi non hanno vinto? Certamente stano vincendo.
Nella foto: Robert Fisk
Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/syrias-war-against-islamists-is-far-from-over/
Originale : The Independent
Traduzione di Maria Chiara Starace
Traduzione © 2018 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY NC-SA 3.0