In questo commento recentemente apparso sul Telegraph si mettono in luce i tentativi attualmente in corso in Gran Bretagna per bloccare e screditare il processo democratico della Brexit. Gli argomenti sono sempre gli stessi, utilizzati ormai in qualsiasi paese in cui la volontà popolare è abbastanza forte da minacciare lo status quo e gli interessi delle élite: una surreale celebrazione di modelli di governance pre-ottocenteschi, con tutto il potere concentrato nelle mani di un’aristocrazia di burocrati non-eletti, paternalisticamente ritenuti gli unici capaci di comprendere la complessità del mondo odierno. Di fronte a queste derive autoritarie e oscurantiste, è necessario che i cittadini resistano e rivendichino con forza la prevalenza del buonsenso e della trasparenza.
Allister Heath,
In politica non esiste un progresso costante, solo un’infinita e deprimente circolarità. Democrazia e libertà sono inevitabilmente vulnerabili ed effimere; sono sempre messe in dubbio da chi detiene il potere e si ritiene più intelligente degli altri, e quindi costantemente a rischio di essere sovvertite.
Nell’antichità, Platone auspicava nella Repubblica che la fiducia popolare fosse riposta nei re-filosofi, perché solo loro avevano accesso alla vera saggezza. Come Sir Karl Popper avrebbe argomentato più di 2000 anni dopo, la preferenza di Platone per l’ingegneria sociale ha contribuito ad alimentare le ideologie totalitarie del XX secolo. Nel Medioevo si radicò l’obbedienza al sovrano che governava per diritto divino, per quanto con l’andar del tempo questo diritto venne man mano limitato dalla Magna Carta, le varie carte dei diritti e la common law.
Nel XVIII secolo la sovranità apparteneva solo alle classi superiori perché le masse non sapevano leggere (ma presto impararono a farlo e molti finivano col votare Tory). Nel XIX secolo, la scusa era che dare il voto ai poveri avrebbe portato al comunismo (gli oppositori non riuscirono a prevedere la ‘democrazia dei proprietari’ di Margaret Thatcher). Poi ci sono state le patetiche scuse per non estendere il suffragio alle donne. Di volta in volta, sinistra e destra si sono alternate come nemici o difensori della democrazia.
Oggi sono i radical chic post-liberal, presumibilmente moderati, a guidare la carica: devastati dalla Brexit, sostengono apertamente e a gran voce che gli elettori sono troppo stupidi o prevenuti per avere fiducia nel futuro del nostro paese, e che il potere reale dovrebbe essere nelle mani di un gruppo scelto di funzionari, burocrati o organi “indipendenti”. Una Banca d’Inghilterra indipendente non basta; è ora necessario “depoliticizzare” tutto il resto, incluso il Servizio Sanitario Nazionale, per assicurarci che sia messo al sicuro dalle masse.
La Brexit doveva essere il ripudio definitivo di un tale incubo tecnocratico, ma diventa sempre più evidente che il governo di Theresa May sta per perdere un’opportunità irripetibile di ripristinare la democrazia britannica. I burocrati sono invece tornati ai posti di comando, con le loro “previsioni” che lasciano il tempo che trovano, e ci dicono che l’unica Brexit possibile è quella in cui continuiamo il nostro lento scivolare nel nulla.
Sì, la democrazia è imperfetta e fidarsi del popolo è rischioso, ma l’alternativa è il dominio dell’élite, che è ancora più pericoloso. Non c’è nessuno a controllare i controllori, che quindi non sono mai tenuti a rendere conto del loro operato, anche quando scatenano crisi finanziarie e guerre.
La nuova idea antidemocratica è incentrata sulla complessità: il mondo è troppo difficile, troppo interconnesso perché le persone normali, ignoranti e affaccendate possano capirlo. E non solo a causa dei droni o dell’intelligenza artificiale o delle fake news sui social media; ma perché, così ci viene detto, oggi operiamo in un contesto tecnico-giuridico, che ha bisogno di avvocati per interpretare e decidere cosa può o non può essere fatto, e di esperti capaci di calcolare le possibili scelte.
Prendiamo l’esempio della Brexit: ci viene assicurato che non può davvero accadere, o, anche se accadesse, non ne varrebbe la pena. Le persone sono diventate impotenti; la politica è stata, a tutti gli effetti, abolita. L’ordine tecnocratico che è stato creato da innumerevoli trattati e regolamenti farebbe sì che gli aerei precipiterebbero, o sparirebbero le medicine dalle farmacie, se solo avessimo la temerarietà di annullare una qualsiasi parte di un edificio costruito senza il nostro consenso . Un “processo” di governance lento e opaco ha rimpiazzato le vecchie forme decisionali, e ora siamo definitivamente intrappolati, o almeno così i mandarini vorrebbero farci credere. E poi ci sono le regole sui diritti umani. Sembra che ormai ci servano i re-avvocati e i re-economisti.
Tutte sciocchezze, e per giunta pericolose. Il puro e semplice potere politico democratico – specialmente in un’economia grande e potente come la Gran Bretagna – sarà sempre superiore a quello di ordinamenti artificiosi e legalistici, specialmente se illegittimi come quello dell’UE. La legittimazione oggi conta ancor più che nel passato, in tempi meno consumistici. I paesi possono separarsi. Le regole possono essere infrante. Tutto può cambiare, e infatti spesso accade. Lo ha dimostrato la stessa UE quando ha infranto le regole per aggirare i referendum o per consentire i salvataggi bancari o facilitare il Quantitative Easing.
Il Regno Unito potrebbe facilmente aprirsi la strada per uscire dall’Unione europea, con la giusta leadership e visione; pensare che siamo intrappolati per sempre in un sistema che non vogliamo più è la grande “nobile menzogna” platonica dei nostri tempi. È una truffa, e il nostro debole governo semplicemente non ha la forza di volontà per dimostrare il contrario. Ma con il giusto mix di forza e leadership, una soluzione negoziata sarebbe ancora possibile, e anche in mancanza di questa soluzione, potremmo comunque presto riprenderci.
È certamente vero che il nostro mondo è oggi più complicato. Ma ciò non significa che le nostre istituzioni dovrebbero cercare di rispecchiare questa complessità o nascondersi dietro di essa; al contrario, dovrebbero sforzarsi di fare proprio l’opposto. Tutte le decisioni, grandi o piccole, dovrebbero essere spiegate e rese comprensibili al pubblico, e oggetto di dibattito. Esistono modi migliori, meno alienanti e più sostenibili per organizzare le relazioni economiche internazionali secondo principi liberali rispetto all’attuale caos.
Maggiore è la complessità, più semplici e trasparenti dovrebbero essere le regole del gioco, e più i politici dovrebbero cercare il consenso dell’elettorato. Abbiamo bisogno di più controlli, non di meno; la soluzione è l’esatto contrario dell’approccio attuale.
La realtà è che gran parte dell’opinione pubblica britannica reagirà con rabbia se la Brexit venisse bloccata o neutralizzata, e non potrà facilmente digerire il tentativo di rimuovere sempre più aree della vita pubblica dall’influenza della politica democratica. La loro rabbia sarà incontenibile e minaccerà di sovvertire l’ordine stabilito.
Diventeremo come la Francia o la Polonia o la crescente lista di paesi dove, diversamente che da noi, partiti autenticamente estremisti vengono votati con percentuali crescenti. Ci saranno nuovi raggruppamenti populisti del Regno Unito, sia all’estrema destra che all’estrema sinistra: il collasso della Brexit renderebbe, paradossalmente, la nostra politica più europea.
Si tratta di un rischio altissimo per i Tories, che finirebbero con l’essere ritenuti colpevoli di aver sabotato la Brexit, spianando la strada a Jeremy Corbyn e facendo saltare in aria la tradizione politica liberale britannica. Per rispetto della nostra storia e per senso del dovere devono costringere il loro governo a ritrovare il buon senso e lo spirito d’intraprendenza.