Sinceramente non credo che a Macerata si stesse meglio una volta, quando ci conoscevamo tutti, quando le famiglie erano tutte del posto, quando non c’erano gli immigrati, non si stava meglio quando si potevano tenere le chiavi attaccate alle porte e i bambini giocavano in strada e tutte le cose che di solito ci raccontiamo, fingendo di credere che fosse meglio allora di oggi. Mi perdoneranno gli amici di Macerata se uso come esempio la loro città; per qualche giorno, almeno fino al prossimo delitto, dovete rassegnarvi a essere citati di continuo. Parlo di Macerata, ma potrei parlare di qualsiasi altra realtà della provincia italiana, che sono più simili di quanto noi, così attaccati alle nostre radici, fino al campanilismo, vogliamo credere: tutta l’Italia è Macerata.
Si tenevano le chiavi attaccate alle porte, ma i ladri c’erano anche allora, solo che in gran parte delle case non c’era nulla da rubare. I bambini giocavano in strada, ma non andavano neppure a scuola, spesso lavoravano ed erano oggetto della violenza degli adulti. In quell’età dell’oro sempre vagheggiata era normale che i padri picchiassero le figlie e che i mariti facessero lo stesso con le mogli, solo che nessuno lo diceva, perché andava bene così. I preti erano ladri e predatori sessuali molto più di oggi, solo che nessuno lo avrebbe mai raccontato, i padroni potevano prendersi le donne che lavoravano per loro, perché a tutti, specialmente alle famiglie di quelle donne, andava bene così. Si conoscevano tutti, ma questo non vuol dire che si fidassero, anzi proprio perché si conoscevano tutti, non si fidavano, sapevano chi era cattivo e molti lo erano. Allora i poveri morivano come mosche: non si stava meglio. E non si stava meglio neppure se andiamo meno indietro, anche quelli della generazione, che hanno avuto modo di vedere da bambini la provincia prima – prima degli stranieri, prima di internet, prima dei telefonini – quando ci conoscevamo tutti, sanno che non era poi così idillica.
Non puoi riavvolgere il nastro, il mondo è cambiato e dobbiamo viverci così, ma senza accettare che continui a fare così schifo.
In questa storia c’è una vittima: Pamela, una giovane donna di appena diciotto anni.
Naturalmente è giusto che quelli che hanno dato l’eroina a Pamela, che ne hanno provocato la morte, che hanno smembrato e gettato il suo corpo, paghino per questi terribili reati, ma Pamela sapeva benissimo dove andare a procurarsi la droga a Macerata, come tutti noi sappiamo dove potremmo comprare droga nelle nostre città, se solo ci venisse voglia di farlo. Nelle nostre città, grandi e piccole, ci sono zone dedicate a questo, possiamo far finta che non ci siano, ma sappiamo che ci sono, tanto che diciamo ai nostri figli e alle nostre figlie di non andarci. E lo sanno le autorità, lo sanno le forze dell’ordine, perché sono consapevoli che si tratta di un fenomeno impossibile da debellare e in questo modo cercano di tenerlo sotto controllo: meglio sapere che gli spacciatori sono tutti intorno alla stazione piuttosto che averli sparsi per la città. Ovviamente non è colpa del questore di Macerata se Pamela è morta e non basterà una retata in quella città per risolvere il problema, ma non possiamo far finta di non sapere che Pamela è morta anche per questo.
Pamela è vittima ovviamente di quegli spacciatori, ma ci sono altre persone che hanno responsabilità per la sua morte. C’è chi l’ha caricata in auto e l’ha portata via dalla comunità, poi c’è l’uomo – per età poteva essere suo padre – che, probabilmente conoscendola, ha comprato il suo corpo per cinquanta euro, c’è il farmacista che le ha venduto una siringa, senza farsi neppure una domanda o forse avendo smesso di farsele, perché rimangono sempre senza risposta. Ci sono tutti quelli che hanno visto, ma non hanno guardato, perché Pamela era ormai ai nostri occhi una ragazza “persa”, oggetto solo delle attenzioni di chi voleva un servizio veloce su una coperta in un garage o di chi aveva da vendere della droga. E poi c’è la storia di Pamela prima di questi due ultimi giorni di gennaio. Forse Pamela era una ragazza debole, forse non si sarebbe comunque salvata, ma non è solo colpa sua se è scivolata così in basso, se si è perduta fino a questo punto. E noi non siamo innocenti: Pamela aveva l’età per essere mia figlia e vorrei credere che se fosse stata mia figlia oggi sarebbe viva, ma non posso saperlo. Credo dovremmo pensare a lei come a una figlia che non abbiamo saputo proteggere. Pamela ci dice che siamo inadeguati.
E per paradosso oggi parliamo di lei, di questa vittima tra le vittime, perché un fascista ignorante ha deciso di sparare a caso sui “negri” di Macerata. Se non ci fosse stata quella tentata strage, se non ci fossero state le dichiarazioni dei politici in campagna elettorale, se non ci fosse stata la questione se andare o non andare a Macerata per una grande manifestazione, oggi non parleremmo di Pamela, che sarebbe al massimo un numero utile ad alimentare la statistica dei femminicidi. Ma in fondo neppure oggi parliamo di Pamela.

 

 

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Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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