di Franco Astengo

Potrebbe davvero rappresentare un passo avanti se l’alzata d’ingegno che a prodotto la presentazione di “Potere al Popolo” producesse, alla fine almeno un abbozzo di costruzione per una soggettività politica della sinistra italiana posta coerentemente sul terreno dell’opposizione per l’alternativa.

Mi permetto di intendere in questo senso (forse peccando di ottimismo) la convocazione dell’assemblea di “Parte Costituente” prevista a Roma per domenica 18 febbraio.

Mi sia consentita una digressione personale. Mi sono permesso, infatti, di lavorare a questo progetto “costituente” da tanti anni (tralasciando la vicenda del Movimento Politico per l’Alternativa animato da Lidia Menapace assieme ad un gruppo di militanti del PdUP non confluiti nel PCI): direi a partire dalla vicenda degli Autoconvocati comunisti nella seconda metà degli anni’80 del secolo scorso. Quella vicenda (raccontata in un libro “La parola al conflitto” di Fabrizio Clementi e Fabio Giovannini, edizioni Associate) sfociò addirittura in un tentativo di quarta mozione al XX congresso del PCI: mozione che non si poté ufficialmente presentare per una questione burocratica (non era stata illustrata nel corso della seduta del CC che aveva convocato il congresso) che diede origine a una furiosa litigata alle Botteghe Oscure tra i proponenti e Piero Fassino. Alla fine Ingrao e Natta consentirono che il documento fosse allegato (e discusso nelle assemblee di sezione) alla seconda mozione, quella del “NO” alla proposta di Occhetto.

Da allora un lungo lavoro sotto traccia attraverso svariate iniziative sviluppate nel corso di un trentennio, delle quali qualcuno/a dei destinatari di questo testo avrà forse memoria, permettendomi ancora – infine – di collegarle idealmente attraverso un filo rosso all’assemblea svolta a Milano il 18 gennaio 2015 sotto l’insegna degli “Autoconvocati per l’Opposizione”.

Adesso qualcosa sembra muoversi in una dimensione più ampia, provvista di una massa critica sufficiente e forse meno anticipatrice (questo al di là del “batti quorum” riguardante Potere al Popolo) e vale la pena allora entrare nel merito.

Queste quindi alcune valutazioni di merito, riprendendo in buona parte quanto esposto nella già ricordata assemblea di Milano (2015).

La sinistra italiana si trova posta di fronte a un enorme processo di “rivoluzione passiva” derivante da una gestione capitalistica che punta direttamente a un processo di ulteriore innalzamento del livello di sfruttamento, d’impoverimento generale, di restrizione delle libertà democratica ha smarrito da molti anni una capacità di contrasto e di proposta d’alternativa adeguata al livello concreto dello scontro in atto.

E’ necessario allora lavorare su quattro livelli di proposta:

  1. Prima di tutto deve trattarsi di un progetto “autonomo” sul piano delle dinamiche politiche: intendendo cioè esprimere una possibilità di aggregazione politica posta in diretta relazione con l’opposizione sociale senza proporsi di muoversi nell’immediato in un’ottica di un sistema di relazioni oggettivamente subalterno.
  2. In secondo luogo, pur non trascurando i soggetti politici organizzati presenti all’interno del sistema della sinistra d’alternativa in Italia e anzi cercando di coinvolgerli tutti con il massimo possibile della tensione unitaria, ci si deve prioritariamente rivolgere a tutti quei soggetti, con riferimento ai giovani e alle istanze di lotta che costituiscono la grande riserva politica accumulatasi in questi anni di difficoltà nella militanza e nella partecipazione politica (su questo punto “Potere al Popolo” ha sicuramente svolto una funzione importante: ma il difficile sarà oltrepassare la soglia dell’esito elettorale, qualunque esso sia, intenso – come mi è già capitato di ricordare come una sorta di “luogo maieutico”;
  3. L’obiettivo, certamente misurato nel tempo e con la piena consapevolezza dell’asperità della strada da percorrere, non è quello di una qualche banale replica di forme associazionistiche già presenti in gran numero nel nostro panorama politico e sociale. L’obiettivo è quello di un nuovo soggetto politico organizzato della sinistra italiana, comunista, anticapitalista, di opposizione per l’alternativa;
  4. Il punto di partenza è quello dell’opposizione: un’opposizione rivolta insieme all’attualità della condizione materiale di lotta nella quale ci troviamo e che è già stata abbondantemente descritta e a un’ipotesi di “alternativa di sistema” condotta all’insegna delle idee di uguaglianza che hanno attraversato il ‘900 con esiti complessi e drammatici ma dai quali intendiamo trarre, attraverso un attento lavoro di ricerca, il meglio di quanto è stato indicato sul piano del riscatto sociale, della critica all’esistente, della prospettiva concreta di una società alternativa da far nascere attraverso il marxiano “abolizione dello stato di cose presenti”.

L’articolazione del “Che Fare?” nei suoi contenuti e indicazioni programmatiche e di riferimento politico dovrà però essere preceduta da un’operazione molto importante sul piano culturale: l’abbandono di quel “pensiero debole” che ha prodotto la superficialità e il disarmo etico all’interno del quale ci troviamo.

Si tratta allora di individuare, prima di tutto, una ripresa del “pensiero forte”: un filone di razionalità concreta e di critico realismo storicista.

Occorre sviluppare una concezione dell’agire politico che non nasca da una teoria della dittatura o da una visione meramente contrattualistica della democrazia rappresentativa.

Deve essere nuovamente introdotta, nella storia del complesso percorso della sinistra italiana, una concezione della soggettività politica intesa come collettivo e non come somma degli individualismi, puntando alla ricostruzione del “blocco storico” da realizzarsi proprio attraverso una riunificazione delle categorie d’uso della politica.

L’obiettivo è quello di riuscire a esprimersi attraverso un processo storico reale inteso quale fondamento per una soluzione non semplicisticamente speculativa del rapporto di implicazione tra economia, politica, storia e realizzando così, attraverso un processo rivoluzionario, un momento di volontà egemonica.

Un programma ambizioso il cui livello di difficoltà d’espressione corrisponde alla dinamica dei tempi: occorre esserne all’altezza per quanto possibile.

Rinunciarci e scendere al livello del comune politicismo sarebbe scegliere di far mancare la voce dell’opposizione e dell’alternativa verso questo sistema ingiusto, prevaricatore, di sfruttamento condotto dai gestori del capitalismo a un punto di assoluta non sopportabilità.

Di AFV

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