Per cercare di capire quello che sta avvenendo in queste settimane in Italia, credo sia indispensabile provare a riflettere sul nostro, tutto sommato recente, passato.

Nel nostro paese – e poi nel resto d’Europa – il fascismo è nato, dopo la fine del primo conflitto mondiale, come reazione del capitalismo alla rivoluzione comunista, che quello che era successo in Russia aveva reso – drammaticamente dal punto di vista dei padroni e dei conservatori – reso possibile anche da noi. La nascita del fascismo è incomprensibile se non si tiene conto del cosiddetto “biennio rosso”, ossia della fase più autenticamente rivoluzionaria vissuta dal nostro paese nel corso del Novecento. Grazie alla crisi seguita alla fine della guerra, grazie alla profonda sfiducia che era cresciuta tra le classe popolari verso le istituzioni – in primis l’esercito – che le avevano costrette a combattere in quel drammatico conflitto, grazie a una crescita in quelle stesse classi di una nuova consapevolezza democratica, che quella stessa guerra – in maniera paradossale – aveva contribuito a sostenere, una rivoluzione comunista sembrò allora possibile in Italia. La paura della rivoluzione rese necessaria una reazione e così nacque il movimento fascista, che infatti, finanziato dagli agrari, dagli industriali, dai banchieri, sostenuto da tutte le forze della conservazione – dall’esercito alla chiesa cattolica – ebbe come primi e principali obiettivi proprio i fulcri della rivoluzione nascente e possibile: le camere del lavoro, i giornali della sinistra, i leader e gli intellettuali che erano le guide di quel movimento. E non fu un caso che le forze del capitale scelsero come capi di quel movimento uomini che erano stati tra i rivoluzionari, uomini che conoscevano bene le classi che dovevano guidare. Il fascismo rappresentò l’altra risposta possibile alla crisi e per questo, sgombrato il campo dall’opzione comunista, divenne un movimento popolare, anche perché, ottenuto il potere, seppe fornire risposte a quel popolo che chiedeva un futuro diverso. Il welfare corporativo e fascista creò una vasta area di consenso popolare, che solo la nuova guerra fece diminuire: se il regime non avesse deciso di scendere a fianco della Germania e avesse mantenuto una posizione simile a quella della Spagna franchista, la storia italiana sarebbe stata diversa, perché il fascismo sarebbe durato ben più a lungo.
Negli anni della repubblica i fascisti, pur non costituendo più un movimento popolare e di massa, come era avvenuto prima della guerra, rimasero uno strumento a disposizione delle forze della reazione. Quando secondo loro l’Italia si spostava troppo a sinistra, quando crescevano e si affermavano le idee progressiste, le forze del capitale usavano i fascisti per rimettere le cose in equilibrio, il loro equilibrio. Così l’ingresso dei socialisti al governo fu seguito dal tentato colpo di stato del generale Borghese e al Sessantotto e alle riforme sociali di quegli anni fu risposto con la stagione delle stragi fasciste, da piazza Fontana alla stazione di Bologna. I fascisti, ben presenti nelle istituzioni, nelle forze dell’ordine, nell’esercito, nei servizi segreti, erano sempre disponibili come strumento della reazione.
Ma adesso? A cosa stanno reagendo? In Italia non esistono partiti di sinistra – l’ultimo che c’era l’abbiamo distrutto noi qualche anno fa – ma soprattutto non esiste una cultura di sinistra, se non in una minoranza che non può certo costituire per loro un pericolo. Le forze del capitale non sono mai state così forti, il capitalismo è l’unica ideologia che sia rimasta. Non siamo certo né al “biennio rosso” né alla stagione delle riforme dell’inizio dei Settanta. In un paese in cui non abbiamo paura di sfidare il ridicolo definendo “sinistra radicale” Grasso e D’Alema, a cosa serve una reazione fascista? Non può servire contro il Movimento Cinque stelle che, pur nella sua duttilità ideologica, non può certo definirsi di sinistra e certamente non è anticapitalista. E proprio la mancanza di altre risposte crea uno spazio inimmaginabile per quelle offerte dal fascismo. Se di fronte all’insicurezza di fasce crescenti di persone la sinistra non ha più voce, l’unica proposta che viene fatta – quella che individua negli “altri” i nemici, quella che chiede sicurezza e repressione – finisce per diventare maggioritaria. Se la sinistra non parla più alle classi più povere, stremate dalla crisi, o se ci parla usa parole troppo difficili, queste ascolteranno chi invece continua a parlare con loro, usando un linguaggio brutalmente semplice.
Sono molto preoccupato, perché vedo che è la prima volta che il fascismo viene usato non come reazione contro qualcosa che cresce nella società, ma come azione diretta. Vedo che il capitalismo non si acconta di aver vinto, ma vuole stravincere e per questo ha deciso di tirare fuori dagli armadi il proprio vecchio armamentario fascista – che è servito così bene fino ad ora – con l’attiva complicità delle forze dell’ordine e delle istituzioni che si sono messe immediatamente messe al loro servizio. Lo schema è quello che conosciamo bene – la violenza verbale e fisica, l’ostentazione della forza – ma questa volta non risponde a qualcosa, è preventivo.
La reazione questa volta toccherebbe a noi, ma francamente credo non ne avremo né la capacità né la forza.
se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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