I perché dell’astensionismo sono numerosi. Magari non innumerevoli, ma numerosi certamente: non vi sono infatti ragioni infinite per votare e tanto meno ve ne sono per astenersi dal dare la delega della rappresentanza popolare.
Ma certamente è interessante indagare le motivazioni principali del probabile astensionista.
La prima può essere ideologica: chi si professa anarchico rifiuta di legittimare il potere dello Stato, di riconoscerlo come espressione di un patto sociale, politico e civico per la regolamentazione della vita comune. Del resto all’umanità non l’ha prescritto nessun medico che per vivere bene debba dotarsi di una struttura statale: è l’evolversi (o l’involversi) di tanti millenni di storia.
Dalle prime civiltà mesopotamiche in Medio Oriente, dall’Antico Egitto alle comunità fenicie, dalla antichissima cultura cinese, passando per gli imperi indiani e quello giapponese, gli esseri umani che, come Marx ci insegna, sono “animali politici”, hanno sentito il bisogno di aggregarsi, per istinto e per sopravvivenza reciproca: l’isolazionismo, la solitudine non sono propri della specie umana.
E la comunità creata ha sovente avuto il bisogno di lasciare la forma “assembleare” per avere una guida: molte volte chi ha dimostrato doti più elevate ed eccezionali rispetto agli altri, distinguendosi dal gruppo, è diventato “naturalmente” il “capo”.
E così la storia dell’umanità si è evoluta fino alla moderna forma greca della democrazia: il compromesso più generoso tra potere che sovrasta gli esseri umani e potere che viene condiviso dagli esseri umani. La figura del “cittadino” è per l’appunto frutto di questa elaborazione antica.
Dunque, l’anarchico, colui che rifiuta il potere come mezzo di organizzazione sociale, fa bene a non andare a votare: tradire le proprie convinzioni per obbedire alla maggioranza che sceglie invece un’altra strada sarebbe far torto prima di tutto alla più alta concezione di libertà individuale nel rispetto di quella collettiva.
La seconda motivazione per astenersi dal voto può invece risalire a tempi più moderni ed evitarci di fare un viaggio a ritroso nel tempo: la rabbia verso il “sistema” (concetto ereditato dalle lontane americhe, ripetuto in tanti telefilm e film statunitensi…) genera una avversione non ideologica ma comunque una presa di consapevolezza, una induzione coscienziosa a ritenere quanto meno insufficiente (nel migliore degli eufemismi) il potenziale organizzativo dello Stato (segnatamente questa tipologia di cittadino parla però di “governo”) nel gestire e quindi nel migliorare la vita della popolazione.
L’abuso del potere è al centro della protesta esercitata col non-voto e, sebbene appaia come un rifiuto della democrazia, in realtà ne è essa stessa esercizio: scegliere di non attribuire il proprio consenso è una forma di espressione libera che non deve essere vista solamente come elemento meramente protestatario, ma che nel proclamare un disagio sociale ci dice che in nessuna forza politica, in nessun governo quel cittadino crede e ha fiducia alcuna.
Questo è l’astensionismo pratico, cosciente per l’appunto di essere tale senza avere una avversione totale nei confronti del potere: si limita ad una critica del governo, del “sistema” ma non lo rigetta nel suo complesso.
La terza motivazione è una non-motivazione: è quella di chi fa spallucce, esprime rabbia incosciente sul piano politico e, ridotto allo stato di escluso dal circuito sociale per condizioni di povertà essenzialmente, messo nell’ordine inverso tra diritti e doveri, costretto ad avere solo questi ultimi senza poter reclamare diritti, invece di individuare un metodo di rivalsa votando una forza politica che si alterni magari agli attuali assetti governativi, invece di votare scheda bianca o annullare la scheda in segno di protesta, si adombra, si indigna ma non fa nulla per cambiare la situazione. Non va a votare perché manda al diavolo non solo il governo, lo Stato, il potere, ma tutto l’universo mondo.
La delusione è propria di queste ultime due tipologie di astensionisti, non certo dell’anarchico.
Quindi, si dice spesso, “dobbiamo puntare a recuperare gli indecisi, gli astensionisti”. Attenzione, perché sono due categorie profondamente differenti: l’indeciso va convinto a sposare un determinato progetto politico piuttosto di un altro; l’astensionista va convinto che esiste almeno un motivo per tornare a ritenere vivibile la comunità sociale e politica che l’ha espulso da sé stessa.
E, del tutto sinceramente, va detto che il primo compito è nulla in confronto al secondo, proprio perché sono due missioni completamente differenti.
Inutile dire che è, almeno per un militante politico di lunga data, è più affascinante e intrigante provare a recuperare un astensionista incazzato rispetto ad un indeciso cronico.
Purtroppo non è un’opera che può trovare un esercizio facile nel semplice dialogo vis a vis, perché le ragioni della rabbia non sono determinate dal singolo verso un altro singolo ma da una devozione dell’esercizio politico-istituzionale completamente asservito alla grande economia, quindi ad un utilizzo da parte del capitalismo della sovrastruttura statale in perfetta coerenza con i princìpi del sistema con la “esse” maiuscola.
Proprio ieri discutevo con un amico anarchico di un po’ di questi concetti qui espressi: “Io cerco di convincerli”, gli ho detto. “Ma non vogliono essere convinti”, mi ha replicato. Il che mi è suonato come: “Gli va bene così alla gente”.
Ed invece no, non gli va bene niente e per questo rifiutano qualunque tipo di approccio per tornare ad avere fiducia, a sperare, a credere.
Anche gli animali quando perdono la fiducia ci mettono un po’ di tempo per ritornare ad averla verso quegli stessi bipedi che hanno la forma di chi li ha presi a bastonate.
E’ molto difficile, infatti, prendere botte per una vita e poi sperare anche che, al momento del voto, si possa baciare il bastone.
Il menefreghismo ha anche esso molte madri, ma la peggiore di tutte è l’ipocrisia di chi spaccia per riforme le controriforme, per modernità il ritorno allo schiavismo anticontrattuale, per progresso il solo ingrassamento dei conti dei finanzieri e dei padroni.
Non posso convincere il rabbioso a votare. Posso solo sperare che il progetto che stiamo costruendo, quel Potere al Popolo! di cui si sente forse ancora troppo poco parlare, si dimostri completamente diverso da tutto ciò che l’ha fatto arrabbiare e che, quindi, un giorno vi si avvicini non trovando da nessuna altra parte un viatico per uscire dalla rabbia fine e a sé stessa e incanalarla in una rinnovata coscienza di classe.

 

http://www.lasinistraquotidiana.it/wordpress/tre-tipi-di-astensionismi-e-una-nuova-speranza/

Di Nardi

Davide Nardi nasce a Milano nel 1975. Vive Rimini e ha cominciato a fare militanza politica nel 1994 iscrivendosi al PDS per poi uscirne nel 2006 quando questo si è trasformato in PD. Per due anni ha militato in Sinistra Democratica, per aderire infine nel 2009 al PRC. Blogger di AFV dal 2014

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