Per la festa della donna, ho deciso di riprendere alcuni ritratti femminili di Francesco Cecchini dai suoi racconti, aggiungendo le poche righe che mi aveva mandato su sua madre e le sue zie, le sorelle Rocco. Le pennellate con cui Francesco tratteggia alcune donne che ha conosciuto o di cui ha sentito parlare ne rendono la personalità nel contesto, la diversità, lo spessore. Laura Matelda Puppini
Ritratti di donne.
Maria, peruviana, guerrigliera di Sandero Luminoso, svanita nel nulla.
«Ho conosciuto Maria, una studentessa che si offriva per insegnare spagnolo agli stranieri. Maria diventò militante di Sendero Luminoso e come tanti altri sparì nel nulla. Maria, simpatizzante di Abimael Guzmàn, il Presidente Gonzalo, talvolta mi guardava come se fossi un ‘gringo‘ stupido e decadente. A Maria piaceva la musica andina ‘huaynos’, ‘quena’, ‘arpa’, e mi fece conoscere anche il ‘coliseum per la pelea de gallos’, l’arena per la lotta fra galli. L’ultima volta che la vidi, quando ormai aveva già scelto la sua via, mi diede un bacio sulla guancia e mi disse: «Suerte», «Buona fortuna». Ricambiai il bacio e le dissi: «Suerte y cuidate», «Buona fortuna e stai attenta».
Caroline, la francese di Sai -gon.
«Il cielo di Sai Gon è senza nuvole, limpido, e fa caldo, fa davvero caldo. Attraversiamo in taxi la città in festa. Vedo dal finestrino Ngyuen Huè ove c’è il mercato dei fiori: vi sono tante piante e tanti fiori, in particolare gialli, di pruno. Scendiamo dal taxi in pieno centro e ci fermiamo agli uffici di “Expat Service”, un’impresa gestita da Caroline e Marc, due franco-vietnamiti, che si occupa dei problemi locativi degli espatriati a Saigon.
L’ufficio è rimasto aperto solo per me. Mi accoglie Caroline, la direttrice, che mi dice subito che ha trovato qualcosa per me: un edificio di quatto piani, stretto ed alto, con due stanze per piano: senza mobili. Nel prezzo è compresa anche l’organizzazione dei locali in base al Feng Shui, l’antichissima arte geomantica taoista. Per organizzare i locali secondo le antiche regole del Feng Shui, Caroline mi propone di andare subito a Cho Lon, dove vive il geomante che lavora per l’ ‘Expat Service’, che, per arredare, deve conoscere chi vivrà nell’edificio e parlargli.
Ritornando ci fermiamo all’ ‘Arc en ciel‘, e ci portiamo sulla terrazza. “Mangiamo o beviamo qualcosa?” – mi chiede Caroline, ma io non ho fame. Così Caroline ordina alla cameriera due bicchieri di ‘calvados‘ con ghiaccio ed una fettina di mela verde. Mentre sorseggiamo il ‘calvados‘, Caroline mi racconta della sua adolescenza a Sai Gon: il tennis a le ‘Cercle Deportif‘, le difficoltà incontrate per non essere né francese né vietnamita.
Suo padre era un legionario tedesco, forse un ex nazi, venuto in Viet Nam a combattere con i francesi contro il Viet Minh. Aveva conosciuto sua madre nel sud del Viet Nam, a Ca Mau, ma lei era nata a Sai Gon, dove aveva vissuto e studiato fino ad un mese prima che i viet cong prendessero la città. Allora, aveva 15 anni. Poi il nucleo familiare si era trasferito a Parigi, ma dopo gli studi ed un po’ di lavoro, Caroline era ritornata in Viet Nam. “Il Viet Nam è il mio paese” – aggiunge. Non parlo, ascolto».
Laura, la Paraguayana.
«La casa dove abito ad Asunción, è in mattoni e tetto in lamiera. Quando piove, di notte, il rumore delle gocce sulle lastre non fa dormire. La sera, quando non esco e mi attardo a leggere, la musica che la mia vicina ascolta mi accompagna, assieme alla voce di un cantante. Abbiamo un giardino in comune che nessuno dei due cura. Laura è paraguaiana e lavora alla ‘Entidad Binacional Yacyretá’come geologa. Un giorno le chiedo che musica stia ascoltando. “Ma come, un argentino non riconosce un tango e chi lo canta, Goyeneche? Mi piacciono le canzoni di ‘el polaco’, Volviendo al Sur”- mi dice. Ma io non sono argentino.
Una sera Laura mi invita a vedere un vecchio film in bianco e nero, ‘Cuesta abajo’. Il protagonista, Carlos Gardel è un mito del tango. Il film è noioso, l’attore Gardel non convince, ma il cantante sa il fatto suo. Dopo il film, Laura mi racconta la sua passione per il tango.
Un venerdì, dopo il lavoro, Laura si presenta a casa mia con del ‘teréré’, versa l’acqua fredda sull’erba e mentre beviamo mi dice che passerà il fine settimana ad Asunción. “Perché non vieni con me?” – mi chiede. Mi porterà ad ascoltare e a ballare tango. Laura passa in albergo dopo cena. Indossa una gonna nera, una camicia di seta rossa, rossetto rosso, ha occhi neri con ciglia lunghe, capelli neri, pelle ambrata. È una latinoamericana bruna e bella. Capisce che mi ha colpito.
«Ad Ayolas quando ascoltavamo tango ero chocha, questa sera il tango andiamo a ballarlo ». Ricordo quando poche ore fa abbiamo bevuto assieme tereré e non chiedo il significato di chocha. Il ‘salón de baile’ non è lontano dal centro. Si chiama ‘Mis amigos’, o qualcosa del genere. Sotto vi è anche un’insegna che dice: Que todos bailen. Si balla di tutto, valses paraguayos, chamamés, cumbias, ma di solito il sabato è dedicato al tango.
Il locale è grande, un’entrata, un bar con tavoli, un grande salone con palco per orchestre. Nel salone, lungo ogni lato, vi sono due file di sedie, da una parte per gli uomini e dall’altra per le donne. Suona un bandeonista uruguaiano e canta una cantante argentina. Non mi arrischio nemmeno a ballare, guardo. Laura non resta senza ballerini che la possano accompagnare. La gonna nera ha uno spacco che le permette di muovere le gambe come vuole. I corpi sono strettamente allacciati, carezze sensuali vengono scambiate, i visi sono seri, si guardano negli occhi senza un sorriso, le scarpe si sfiorano. Ci sono coppie di donne ed una di uomini. Ascolto la cantante che canta una canzone appassionata e nostalgica, poi vado al bar e chiedo quando ci sarà cumbiacolombiana. Una ragazza mi dice: «Yo bailo cumbia, no me gusta el tango. Es triste».
Il sabato Laura non lavora ed io posso fare quello che voglio. Viaggiamo al mattino con la macchina di Laura, una Wolkswagen rossa con targa fasulla, comprata a Ciudad Stroessner per quattro soldi, probabilmente rubata in Brasile e contrabbandata oltre frontiera.
Dopo alcune settimane vado a Buenos Aires per lavoro. È inverno e la città è grigia. Dopo il lavoro, in genere, vado a vedere qualche film. Ad Ayolas e ad Ituzaingó non ci sono cinema e a Posadas proiettano solo film inguardabili. Un fine settimana Laura mi raggiunge. Il venerdì sera andiamo a vedere Maria de Buenos Aires di Astor Piazzolla.
“Yo soy Maria de Buenos Aires!/ De Buenos Aires Maria. No ven quien soy yo?/ Maria tango! Maria del arrabal!/ Maria noche! Maria pasión/ fatal!/ Maria del amor! De Buenos Aires soy yo!”
Il pomeriggio seguente andiamo alla ‘Bombonera:’ gioca il ‘Boca’. C’è con noi un mio collega, Luis, ‘hincha’ della squadra. Dopo cena Laura e Luis vanno a ballare tango. Io non ho voglia di vederli fare un, dos, tres dalle 2 della notte alle sei del mattino. Il sabato notte a Buenos Aires non c’è solo tango. Quando Laura, di malavoglia, ritorna in Paraguay, è rimasta in Argentina quasi una settimana, ballando tango anche domenica e lunedì notte».
Camila O’Gorman.
«Ituzaingó ed Ayolas sono su due villaggi sulle rive opposte del Rio Paraná, che a volte inonda entrambi. Nel Rio Paraná nuotano grossi pesci, dorados e surubì: molte spine e carne bianca. Un venerdì pomeriggio accompagno un amico, Carlos, ad una gara di pesca che si terrà il sabato e la domenica più a sud, a Goya. La mattina seguente non vado a pescare con Carlos, che esce all’alba dopo un paio ore di sonno. Quando scendo per colazione la sala da pranzo è piena di gente venuta ad assistere alla gara. Vi è un unico tavolo, nella sala, con una persona che siede da sola, bevendo caffè e mangiando una ‘media luna’. La cameriera gli chiede se posso sedermi, e quello annuisce. Il mio compagno di colazione mi dà un biglietto da visita. Si chiama Mario Blanco, è di Buenos Aires, fa l’avvocato, vive a Floresta ed ha lo studio in Avenida Esmeralda al numero 900. C’è anche un indirizzo di Azul. Mi dice che è lì per vedere dove hanno vissuto Camila O’ Gorman e Ladislao Gutierréz, prima di venire uccisi, e mi racconta la loro storia.
“Nella primavera del 1846, quando la storia inizia, Ladislao è parroco della ‘Iglesia del Socorro’ tra Juncal e Suipacha, e Camila è maestra della stessa parrocchia e sono inseparabili. Passano il tempo assieme: a cavallo, passeggiando per Palermo, nelle librerie, leggendo assieme poesie.
Ladislao e Camila sono innamorati di un amore non solo non accettato dalla cultura del tempo, ma fuori legge. Una relazione intollerabile che nella Buenos Aires di allora non può avere né presente né futuro. Nella società porteña le donne sono soggette all’autorità paterna e controllate affinché possano esser consegnate, al futuro sposo, vergini.
Camila è una giovane di buona famiglia, e non è obbligata né a studiare né a lavorare, ma solo a pregare, andare a messa, cucire, rammendare …
Camila, che insegna in una scuola della parrocchia, frequenta un prete non solo in confessionale, e rompe, poco più che adolescente, con il rigido schema sociale imperante.
Per poter continuare ad amarsi Ladislao e Camila fuggono cambiando nome e con documenti falsi: saranno da quel momento in poi Valentina San e Máximo Brandier, uniti dall’idea di andare insieme in Brasile.
Devono però fare i conti con i soldi, che non sono molti, e non permettono di attraversare il confine e di stabilirsi nel paese straniero. Da Santa Fé, dove ottengono i passaporti, risalgono in barca od a cavallo il fiume Paraná, e si fermano proprio a Goya, molto lontano da Buenos Aires. Per tirare avanti aprono una piccola scuola, la prima del posto.
Il padre di Camila, Adolfo O’ Gorman, che si sente disonorato, e la gerarchia ecclesiastica, nella persona del vescovo Medrano, li vogliono catturare, li vogliono punire, e chiedono la loro testa direttamente al dittatore in carica, Juan Manuel de Rosas. Ma ne hanno perso le tracce.
Poi, ad una festa vengono riconosciuti da un prete irlandese, Michael Gannon, e denunciati. Arrestati, vengono trasportati a Buenos Aires per essere processati. Vengono incarcerati e messi in catene nella caserma ‘General de Santos Lugares’ in ‘San Andrés, General San Martín’, a nord della capitale.
Non ci sarà processo, la violazione dei voti castità del sacerdote richiede una pena dimostrativa ed immediata. Hanno infranto le regole sociali e la rispettabilità.
Camila, che aspetta un figlio da Ladislao ed è in ottavo mese, e Ladislao vengono fucilati in un freddo mattino. È 18 agosto del 1848, in pieno inverno australe.”
Passeggio fino in centro a vedere la casa Fernandez dove Camila e Ladislao hanno vissuto. Ė dipinta di celeste, lo stile è coloniale, è a due piani, è una bella casa. Mario mi ha detto che qualcuno pensa di abbatterla per costruire nuovi uffici ed appartamenti, ma c’è opposizione.
Penso al perché Camila e Ladislao si fossero fermati a Goya e non fossero andati più a nord, attraversando il fiume ed il confine. Avrebbero vissuto ad Asunción od ad Encarnación od anche ad Ayolas, in un paese meno bigotto della Argentina, che li assassinò perché volevano amarsi. Forse la bellezza della casa Fernandez, vicino al Rio Paraná, li stregò e li trattenne. E penso spesso al dittatore Rosas ed al prete Michael Gammon».
Isabelle Ebherardt, l’Inglese, Lalla Zaynab, santa sufi, e Lynda, donne in Algeria.
Isabelle.
«Tempo fa avevo visitato anch’io Bou Saada, che avevo conosciuto attraverso gli occhi di Isabelle Ebherardt. Ho visitato quasi tutta l’Algeria di Isabelle: Biskra, la Casbah d’Algeri, Aïn Séfra. È qui che l’ho trovata, nella sua tomba ornata da una lapide che la ricorda come: “Sposa di Ehnni Slimane, morta a 27 anni nella catastrofe di Aïn Séfra 27 ottobre 1904″.
Un temporale di una violenza inaudita trasformò la strada dove abitava Isabelle in un torrente furioso di fango giallo. Le case furono spazzate via assieme agli abitanti. Isabelle spinse fuori suo marito, poi ritornò per prendere un manoscritto, ma quando volle uscire a sua volta, la casa le crollò addosso. Qualche giorno più tardi, il suo corpo fu trovato sotto le macerie. Di lei era rimasto ben poco ma i suoi manoscritti furono recuperati intatti. Era giunta in quella terra d’Africa nel 1902, vi era rimasta ben poco.
Isabelle fu affascinata dall’Algeria: dal desiderio d’Oriente, dagli arabi, dall’amore, dal ‘kif’, dal vagabondaggio, dal travestimento con vesti beduine, ma fu anche colpita dalla ‘religione di Allah’, dall’lslam, che non conosceva.
Lalla Zaynab.
In una “zaouïa”, edificio sacro ma anche luogo religioso di insegnamento, ad El Hamel, vicino a Bou Saada, Isabelle aveva pure incontrato la ‘maraboute’ santa sufi Lalla Zaynab, per la quale, da allora in poi, nutrì una grande ammirazione.
Così di lei scrive nei suoi diari, ‘Les journaliers’: «La vedo. È una donna che indossa il costume di Bou Saada, bianco e molto semplice, ed è seduta. Il suo viso è abbronzato dal sole e solcato da rughe. Viaggia molto Lalla Zaynab, e si sta avvicinando alla cinquantina. Il suo sguardo è molto dolce, e nelle pupille nere brucia la fiamma di una intelligenza velata da una grande tristezza. Tutto nella sua voce, nelle sue maniere, nell’accoglienza dei pellegrini, denota una grande semplicità.
È lei Lalla Zaynab, figlia ed ereditiera di Sidi Mohamed Belkacem».
Isabelle parla a Lalla, la sufi, che, a confidenza, risponde con confidenza, da donna a donna.
“Figlia mia… ho dato tutta la mia vita per far del bene sul sentiero di Dio… E gli uomini non hanno mai riconosciuto il bene che ho fatto loro. Molti mi odiano e mi invidiano. Pertanto ho rinunciato a tutto: non mi sono mai sposata, non ho famiglia, non ho gioia”. Più tardi Isabelle scriverà che non si era mai sentita così vicina a qualcuno come a Lalla Zaynab.
Lascia Isabelle El Hamel, “angolo perduto del vecchio Islam, sperduto nella montagna nuda e oscura, e avvolto di pesante mistero”, lascia Lalla Zaynab».
Lynda.
«Marc mi presenta Lynda: entriamo al ristorante ed ordiniamo cous cous e birra.
Lynda non chiede chi sono, è amica di Marc, e non è la prima volta che egli le presenta uomini. Non aspetta domande, ma inizia a parlare, come seguisse un copione.
“Non sono di Algeri, sono di Orano“. – dice lei.
“Conosco bene Orano – risponde Marc- è più viva di Algeri. Albert Camus la chiamava la città sonnambula e frenetica al tempo stesso, e probabilmente è ancora così”.
Orano sembra una città spagnola in Nord Africa. La vita è dolce, si mangia tardi e si fa la siesta. Negli innumerevoli caffè, uomini e donne chiacchierano e si divertono. E poi c’è la musica. Forse Lynda è di discendenza spagnola, ma non glielo chiedo.
“Ogni tanto sento il bisogno di ritornare a Orano, dove mi sento bene: è la mia città. I miei si sono trasferiti ad Algeri per lavoro e ho studiato lingue all’università di Blida dove ho letto ‘L’ Oasis de Bou Saada, di Vigerie’, scritto a inizio ‘900” – aggiunge Lynda.
“Ho una fotocopia, te la posso prestare”. – dice Marc, rivolto a me. Sa che amo leggere certi testi.
“Sono stata a Bou Saada da Blida con compagni d’università – continua lei – Ho visitato il Museo di Ouled Nail. Ma è Orano e il raï l’origine della mia danza. Parlo a francesi e stranieri di danza ‘Ouled Nail’, perché attrae, ma tu e Marc conoscete l’Algeria e non voglio ingannarvi”. Capisco allora che ‘lesdanses Ouled Nail’ resteranno per me una frase letta sul libro di Robert Barrat.
Con Marc andiamo a casa di Lynda un sabato sera. È una villa di due piani con giardino, e, se non fosse buio all’orizzonte, si potrebbe vedere il Mediterraneo. Imene, l’amica di Lynda, che potrebbe essere sua sorella tanto le assomiglia, ci fa accomodare in un salotto che non ha niente di orientale: due poltrone e un tavolino basso di fronte a una parete bianca. Le luci sono soffuse. Imene ci offre da bere: scegliamo un cocktail di cognàc e liquore di menta con ghiaccio.
Inizia la musica: un ‘raï’ ritmato senza parole. Entra Lynda che veste pantaloni di cotone nero, stretti in vita, ma larghi poi, sin sopra le caviglie. Indossa pure dei braccialetti ed un reggiseno verde e dorato. È a piedi nudi; la mano e il braccio sinistro hanno tatuaggi all’henné. Balla muovendo i fianchi in maniera sinuosa, scuote la testa delicatamente, mentre le braccia fluttuano nell’aria al ritmo del ‘raï’.
Verso la fine Lynda si ferma e propone di togliersi il reggiseno senza chiedere nulla in cambio. I seni di Lynda sono fermi e ballano insieme ai fianchi e il resto del corpo. Marc estrae da una tasca un pacchetto di sigarette, me ne offre una e l’accende. Fumo. Guardo Lynda e penso alle ‘danseuses Ouled Nail’ che danzavano nude in un bordello di Bou Saada …».
Donne partigiane in Italia: Ermelinda Katia Rocco e le sorelle.
«Ermelinda Rocco era nata a Motta di Livenza nel 1920. Giovane maestra al suo primo incarico, sul Cansiglio si unì alla Resistenza al nazifascismo, e combattè pure al fianco di Amerigo Clocchiatti, il commissario politico Ugonelle Brigate Garibaldi, Divisione Nino Nannetti. Ugo la cita con il suo nome di battaglia, Katia, assieme alla famiglia Rocco, nel suo libro di memorie ‘Cammina Frut’. Partigiana comunista, fu arrestata e torturata nella famigerata caserma ‘Tasso’ di Belluno dal nazista Pallua. Fu quindi internata nel campo di prigionia di Bolzano, un “ durchsganlager” un luogo di transito verso i luoghi di sterminio in Germania o in Polonia gestito dalle SS. Katia” fu però fortunata perché la Liberazione avvenne prima prima di un suo possibile trasferimento in uno dei vari Lager. Per il suo impegno partigiano fu decorata con medaglia di bronzo al valor militare. Agli inizi del 1946 sposò a Roma Giorgio Cecchini, partigiano nelle campagne romane per il Movimento Socialista e poi ufficiale di collegamento tra gli alleati ed i partigiani.
Anche le sorelle di Ermelinda: Teresa, Egle e Prassede Rocco furono partigiane nel bellunese. Passano anche loro per la caserma Tasso, dove subirono lo stesso trattamento di Katia, e furono, come lei, internate a Bolzano, salvate dalla Liberazione, e decorate». (Per le sorelle Rocco e l’impegno partigiano della famiglai Rocco, cfr. Francesco Cecchini, ‘Memoria del campo di prigionia di Bolzano e delle sorelle Rocco’, in: https://www.pressenza.com/it/2017/01/memoria-del-campo-prigionia-bolzano-delle-sorelle-rocco/).
Francesco Cecchini.
BUONA FESTA DELLA DONNA DA FRANCESCO CECCHINI E LAURA MATELDA PUPPINI