Analisi del dopo voto e proposte per ripartire nella consapevolezza che le uniche battaglie perse sono quelle non combattute.

Lottare, ripartire

Quadro generale

La crisi del capitalismo, economica ed egemonica, è intuita dalla classe lavoratrice e dai disoccupati che, attraverso il voto, scelgono di affidarsi a quelle forze che gli appaiono anti-sistema. Queste elezioni ci consentono di sollevare il velo e scoprire cosa si nascondeva sotto e cosa covava dietro il “No” al referendum costituzionale. Esse confermano la radice sociale di quel “No” ma allo stesso tempo confermano che, in assenza di conflitto sociale organizzato, non è possibile il passaggio dalla “intuizione del problema” alla sua reale e scientifica impostazione.

Al contrario, assistiamo ad una enorme avanzata della ultra destra in Italia, allo sdoganamento definitivo dei temi e delle retoriche del fascismo personificate in un leader politico che – forte di una percentuale a doppia cifra – rischia addirittura di diventare premier. Tradotto: i comunisti in Italia sono ai minimi storici, la loro tradizionale base sociale rivolge il proprio sguardo altrove e parte dei pochi militanti non burocrati che restano è stata accecata dalla centralità di un tema-trappola, quello degli “opposti estremismi” che ci vorrebbe paragonabili a FN e Casa Pound, che con ogni evidenza è stato dolosamente creato con una logica strumentale che ci porta dritti verso la messa definitiva al bando della nostra tradizione politica: aver “battuto” ai voti Casa Pound di qualche decimale non cancella il fatto che quel 17% di Salvini rappresenta il medesimo consenso sulle medesime tematiche.

In tale drammatico contesto, al contempo causato ed aggravato dall’assenza del partito, la classe operaia non è in grado di sviluppare una propria autonoma visione del mondo e dunque tende a sviluppare e a fare propria l’ideologia piccolo-borghese, che non minaccia affatto gli interessi della classe dominante.

Dunque, la crisi – della cui vastità e profondità, al di là delle narrazioni della politica da campagna elettorale, non v’è dubbio alcuno, visto il consenso accordato alla proposta del reddito di cittadinanza soprattutto al Sud – appare alle classi subalterne principalmente come il risultato di un processo di degenerazione della classe dirigente. Vi è una contrarietà spontanea e diffusa alle politiche neoliberiste (jobs act, Fornero, buona scuola), e questo rappresenta certamente un dato positivo; tuttavia tali politiche appaiono, confusamente, più come il frutto di una “disonestà” di fondo della “società politica”, anziché il portato di una fase storica del capitalismo che inevitabilmente continuerà a dispiegare la sua barbarie attraverso le stesse forze che oggi appaiono anti-sistema e alle quali il proletariato, provato e fisicamente usurato, delega le sue battaglie immaginarie. Senza considerare, poi, che ad ulteriore riprova della compatibilità di queste forze politiche vincitrici delle elezioni, va a inscriversi il beneplacito generale dato dai “mercati finanziari” e delle istituzioni ad essi collegate, che hanno reagito senza alcun isterismo all’esito elettorale italiano.

La barbarica frammentazione delle relazioni sociali [1] che spinge le persone all’isolamento, quale elemento caratteristico dell’attuale fase di sviluppo delle forze produttive dentro i limiti del capitalismo, costituisce il terreno fertile per l’insorgere della guerra tra poveri e quindi del razzismo. Anche in questo caso il proletariato intuisce un problema di competizione salariale al ribasso ma non giunge a comprendere la radice di tale meccanismo essendo incapace di elevarsi dalla immediatezza del fenomeno.

Il raggiungimento della consapevolezza che la guerra tra poveri e la frantumazione producono il rafforzamento del potere padronale e, quindi, l’approfondirsi della crisi, diviene possibile nella misura in cui il proletariato riesca a salire al livello di una visione complessiva del processo socio-economico in atto; in altri termini è possibile quando esso diviene soggetto cosciente e quindi in grado di proporsi quale classe dirigente. Tale sviluppo della consapevolezza però non avviene naturalmente ma di mezzo vi è un processo dialettico di cui il Partito è l’anello fondamentale [1]. Solo quando le classi subalterne sono in grado di sviluppare una propria avanguardia e quindi una propria visione del mondo diviene possibile la trasformazione storica.

Non si tratta quindi semplicemente di riuscire a “catalizzare il consenso” attraverso un programma, o attraverso alchimie elettoralistiche, o peggio ancora attraverso la sussunzione delle parole d’ordine del nemico di classe, ma di costruire lo strumento della trasformazione.

Al contrario negli ultimi vent’anni questo lavoro è stato completamente abbandonato, dimenticato, eluso, lasciando il posto al cretinismo parlamentare cioè all’idea che una certa alleanza, un certo numero di apparizioni nei salottini televisivi, un certo programma elettorale, potessero bastare a “costruire e mantenere il consenso” senza conflitto sociale. Oggi “scopriamo” che il consenso costruito su queste basi si è sciolto (e si eroderà sempre di più) come neve al sole. I partitini della sinistra radicale non hanno più nessuna base sociale, come pure scopriamo che in questa fase non è possibile nessuna opzione riformista né tanto meno risultano utili le operazioni nostalgiche.

Vi è un fatto ancor più grave che attiene al livello di coscienza delle avanguardie che si trovano troppo spesso a sostenere posizioni arretrate prese in prestito dall’avversario come la difesa del proprio imperialismo (interesse nazionale) o, altrettanto arretrate, come la difesa dell’imperialismo europeo confondendo quest’ultimo con l’internazionale. Non vi è, ancora e in altri termini, la capacità di sviluppare una visione del mondo autonoma e alternativa.

Da questo punto di vista, essendo che alle elezioni si raccoglie quello che si è seminato in termini di conflitto sociale e formazione della coscienza di classe, in assenza di struttura e base sociale, nel pieno di una montante marea populista e di destra cavalcata dai media che ha letteralmente catalizzato percentuali bulgare di elettori, i quattrocentomila voti dati a Potere al Popolo rappresentano un dato comunque non scontato.

L’esperienza di PaP, per quanto sviluppatasi sino a ora nel peggiore degli ambiti (la coalizione elettoralistica) è da considerare positivamente perché ha rianimato una parte dei compagni della diaspora e tenuto a debita distanza parte degli opportunisti, dai giustizialisti ai redditisti.

Se tale alleanza elettoralistica, messa in piedi all’ultimo minuto, sarà in grado di organizzare un fronte sociale anticapitalista, quale base di un movimento per la ricostruzione di una soggettività comunista che chiuda definitivamente ogni legame con le tendenze riformiste e opportuniste (per essere chiari formazioni quali SI e LeU non hanno più nulla da dire sul terreno della ricostruzione della sinistra avendo dimostrato ancora una volta che il loro interesse principale sono solo le poltrone), conquisterà la credibilità necessaria anche a livello elettorale. In ogni caso bisogna saper sfruttare e dosare anche la spontaneità, senza castrarla a causa dalle burocrazie e delle tipiche logiche da inter-gruppi, e necessaria è la direzione consapevole che solo una organizzazione e un approccio marxista e comunista può dare.

Dove abbiamo sbagliato?

Innanzitutto crediamo che vi sia stato un momento in cui era parzialmente possibile provocare una rottura nel fronte avversario e recuperare, almeno parzialmente, sul terreno del consenso. Questo momento era l’indomani del referendum costituzionale. Su questo giornale scrivemmo che bisognava fare il massimo sforzo possibile per passare dalle urne alle piazze, ossia tenere alta la mobilitazione al fine di sviluppare sino in fondo sul piano politico le ragioni del dissenso; al contrario, si scelse, ancora una volta, di cavalcare quell’onda tentando di costruire su quella base, che pure si era raccolta intorno al “no” sociale, non una opzione conflittuale ma una noiosa opzione elettoralistica. Che, come sempre accade in questi casi (errare è umano ma perseverare è diabolico!) porta a produrre una fatale smobilitazione generale dettata dal convincimento che la scorciatoia dell’accordo tra ceti politici valga a sostituire la costruzione del proprio radicamento: equazione non solamente clamorosamente errata sul piano logico e politico, ma oltretutto stra-abusata negli ultimi anni (e, ad ogni elezione, dimezzando i voti rispetto alla precedente) e che, in definitiva, favorisce e spiana la strada alle forze populiste e di destra.

Su Potere al Popolo

Indubbiamente tale fronte politico è ancora tenuto troppo in ostaggio dalle burocrazie che ne impediscono il pieno sviluppo e la piena trasformazione da fronte politico a fronte sociale. Durante la campagna elettorale La Città Futura ha proposto un metodo di lavoro che puntava a rafforzare le assemblee di base, alle quali va data piena capacità decisionale, che a nostro avviso devono prioritariamente organizzarsi per settore di lavoro o di intervento sociale. Crediamo che tale metodo, unito alla revocabilità degli incarichi e loro rotazione, sia ancora valido e sia l’unica garanzia per tenere in vita lo spirito originario di potere al popolo ossia l’accumulazione di forze necessaria per lo sviluppo di una organizzazione fatta di quadri militanti realmente inquadrati nel conflitto sociale.

Se ci dobbiamo auto-rappresentare, evitando errori del passato, la metodologia più efficace è quella di mettere insieme compagni provenienti da differenti esperienze anche di differenti sigle sindacali superando la nefasta pratica di difendere il proprio orticello al fine di costruire un progetto politico che abbia un’anima e che quindi non si limiti a proposte sindacali ma ad una visione più ampia di protesta, proposta e cambiamento dei rapporti di forza.

Le assemblee nei settori di lavoro non soltanto rimettono insieme i compagni di diverse sigle sindacali a un tavolo politico ma consentono la nascita di un programma e successivamente la selezione dei migliori compagni. I consigli di fabbrica (traduzione in italiano di soviet) sono l’elemento di garanzia di un processo di trasformazione radicale e ridare la voce ai lavoratori organizzando le avanguardie in maniera assembleare è il nostro compito.

In definitiva noi crediamo che Potere al Popolo debba continuare superando rapidamente questa fase in cui a dominare è una logica da inter-gruppi, avanzando verso un soggetto unitario dove tutte le forze accumulate siano pienamente coinvolte nel processo di trasformazione.

[1] Sul partito

https://www.lacittafutura.it/editoriali/lottare-ripartire

Di L.M.

Appassionato sin da giovanissimo di geopolitica, è attivo nei movimenti studenteschi degli anni novanta. Militante del Prc, ha ricoperto cariche amministrative nel comune di Casteldelci e nella C.M. Alta Valmarecchia. Nel 2011 crea il blog Ancora fischia il vento.

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