ROMA – “Il massacro di My Lai e’ stato l’episodio piu’ vergognoso della storia militare degli Stati Uniti ma non una devianza nella guerra americana in Vietnam; gli archivi militari di tre decenni documentano almeno 300 casi che possono essere definiti crimini di guerra“. Scrive cosi’ il ‘Washington Post’, ricordando il 50° anniversario del massacro di My Lay, in Vietnam, che si commemora oggi.
Il 16 marzo 1968 furono uccisi 504 civili in poche ore. Le foto documentano che le vittime erano bambini, donne, anziani, inermi.
“Dovevo eseguire gli ordini” provo’ a giustificarsi William Calley, il tenente che aveva guidato il reparto coinvolto nell’operazione.
“La guerra aveva regole ufficiali e non ufficiali” scrive il ‘Washington Post’: “Quella ufficiale indicava l’evacuazione dei civili nelle zone a rischio, quelle ufficiose chiedevano di ‘sparare su qualsiasi cosa si muova’“.
Fu un sottoufficiale in ricognizione, Hugh Thompson, a fermare il massacro. Atterro’ con l’elicottero nel villaggio e si interpose tra i soldati e i civili. Thompson e gli altri due membri dell’equipaggio, Lawrence Colburn e Glenn Andreotta, fecero evacuare tutti i civili che potevano salire a bordo dell’elicottero. Tornarono per recuperarne altri, ma erano tutti morti tranne un bambino, trovato in una fossa comune da Andreotta.
Al processo per crimini di guerra, fu condannato solo Calley, graziato pero’ dopo meno di quattro anni.
Oggi il ‘Washington Post’ si chiede quanto sia cambiata la nazione che nel 2016 ha scelto Donald Trump come presidente. “Durante il processo di Calley – ricorda il giornale – nove lettere su dieci dirette alla Casa Bianca erano richieste di clemenza“.
Nell’articolo si ricordano ancora i sondaggi dell’opinione pubblica sull’uccisione di quattro manifestanti contro la guerra in Cambogia, da parte della Guardia nazionale degli Stati Uniti alla Kent State University: la maggioranza degli americani aveva accolto con favore l’uccisione dei giovani.
Di “devianze” nelle guerre americane scrive oggi anche il portale indiano ‘Asian Age’. In evidenza l’annuncio di George W. Bush dell’attacco all’Iraq nel 1991: la “sindrome del Vietnam” era terminata, ma il presidente non si riferiva ai crimini di guerra, bensi’ al senso di sconfitta.
Nel 2004, pochi giorni dopo le rivelazioni sulle torture americane nel carcere iracheno di Abu Ghraib, il giornalista Seymour Hersh, gia’ premiato col Pulitzer per l’inchiesta su My Lai, rivelo’ sul ‘New Yorker’ i contenuti del rapporto Copper Green sull’intervento statunitense in Afghanistan: “Afferra chi devi; fai quello che vuoi”.
Sempre il ‘Washington Post’ cita oggi Pham Thanh Cong, uno dei sopravvissuti al massacro di My Lai, in merito alla recente visita della marina militare americana. Non puo’ dimenticare, ha detto, ma e’ disposto a perdonare i soldati per costruire una relazione migliore tra i due Paesi: “Non voglio che i nostri figli possano passare attraverso le nostre esperienze; desideriamo solo la pace”.
Vietnam, il Washington Post a 50 anni dal massacro di My Lai: “Vergogna Usa”