Il nuovo zar stravince nonostante la crisi, sfidanti orbi e accuse farlocche. Ai russi la sua politica di potenza piace, ma la Russia non minaccia nessuno
L’uomo è lì, tronfio e imbolsito, più simile a un pippobaudo che all’icona del duro costruita in un ventennio di potere quasi assoluto. Neppure troppo virile col suo cappuccio di pelliccia nel gelido inverno russo, ma più che mai vincente. Vladimir Putin ha stravinto le elezioni per il suo quarto mandato da presidente, come previsto, lasciando dietro di sé una scia di nani politici e polemiche al nervino. Ai primi, i suoi sfidanti orbi di consensi, ha offerto un posto di lavoro. Al comunista Grudinin il ministero dell’Agricoltura, alla Sobchak la reggenza del Daghestan. Delle seconde se la ride. Non l’hanno scalfito, anzi gli hanno giovato, le accuse farlocche d’aver fatto avvelenare l’ex spia russa doppiogiochista Skripal.
Farlocchissime. Che senso avrebbe avuto per Mosca ammazzare uno dei suoi ex agenti passati all’M16, tenuto al gabbio per anni e scambiato nel corso d’una partita doppia? Con un gas di chiara matrice russa, poi, e alla vigilia delle presidenziali? Solo ai cervellini dell’Intelligence di Sua Maestà, non secondi a quelli d’Oltreoceano in quanto a “fake proof” – ricordate Colin Powell sbandierare la provetta coi veleni di Saddam come prova – poteva venire in mente un piano così. Non l’hanno danneggiato i troppi morti russi nel pantano siriano, né le sanzioni dopo l’annessione della Crimea. Come non l’hanno penalizzato le migliaia di vittime civili negli attentati terroristici di questi anni, le guerre in Ossezia e in Cecenia. Non l’hanno preoccupato le minacce della Nato che schiera missili balistici ai confini orientali, né la larvale opposizione interna, orfana dell’incarcerato Navalny.
Chcché ne dica la Gabanelli al Corrierone, queste saranno pure vittorie frutto di brogli, misteri e sangue – e menomale che nessuno ha tirato in ballo Cambridge Analytica – ma al popolo russo vessato dalla crisi e sanzionato dall’Occidente, il nuovo zar piace. Piace la sua politica estera che riporta la Russia alla passata grandezza, malcelando i guai di casa. Al suo quarto mandato Putin s’è assicurato, neocon permettendo, di governare fino al 2024, oltre i settant’anni, permeando di sé la Madre Russia. Solo a Stalin, incontrastato vozd dal 1934 al ‘53, è stato concesso di più. «Siamo condannati a vincere», promette Putin IV alla folla plaudente. La scommessa è più che mai aperta.
I suoi denigratori occidentali sono al trivio. Fare buon viso alla malasorte, aspettando che madre natura faccia il suo corso. Avviare una lotta senza quartiere all’autocrate di Mosca, con nuove sanzioni e il bojkot dei Mondiali, così che il Belpaese pallonaro possa tornare in lizza, in attesa di mettere mano alle armi. O smetterla di credere che la Russia di Putin sia una minaccia per l’Occidente mentre in realtà, da Napoleone alla May passando per Hitler, è vero il contrario. Intanto, i primi a congratularsi con Putin dopo Xi, il neotimoniere cinese, sono stati Trump, nonostante le raccomandazioni contrarie del suo dissestato staff, e Kim. Vedi come, a volte, gli estremi si tocchino