Il Forum dei Movimenti per l’acqua ribadisce al nuovo Parlamento il no all trattato CETA, in vigore per dazi e tariffe da settembre ma ancora in via provvisoria.
Un viaggio in Italia in oltre quaranta tappe. Un obiettivo condiviso: riaffermare il valore paradigmatico dell’acqua come bene comune, ribadendo che: l’acqua è un diritto umano universale e fondamentale ed è la risorsa fondamentale per l’equilibrio degli ecosistemi. E anche che l’acqua è un obiettivo strategico mondiale di scontro con il sistema che provoca la crisi che viviamo mentre la gestione partecipativa delle comunità locali è un modello sociale alternativo indispensabile al nostro futuro. La carovana del Forum italiano dei Movimenti per l’acqua si è conclusa sabato 24 marzo a Roma, celebrando la Giornata Mondiale della preziosa risorsa con l’unione di diverse lotte e filoni di lavoro di associazioni, sindacati e movimenti.
Come Campagna Stop TTIP/CETA siamo intervenuti all’incontro per richiamare l’urgenza di bloccare nel nuovo Parlamento la ratifica del CETA, il trattato di liberalizzazione del commercio tra Canada e Europa, già entrato a settembre scorso in applicazione provvisoria per tutto quello che riguarda dazi, tariffe e commissioni di funzionamento. Se dal punto di vista commerciale, come previsto, le esportazioni italiane in Canada non sono aumentate più di quanto già facessero in assenza di CETA, grazie a un documento di cui siamo venuti in possesso contenente l’ordine del giorno della prima commissione convocata in virtù del trattato sulle Misure sanitarie e fitosanitarie che ostacolano il commercio tra Europa e Canada, abbiamo scoperto che non meglio precisati esperti delle due sponde dell’Atlantico discuteranno le nuove leggi che riguardano la salute animale e delle piante che intendiamo introdurre in Europa, così come sulle ispezioni e sui controlli, perché il Canada possa commentarli e introdurre correttivi, ma non basta. Discuteranno anche di linee guida che determineranno l’equivalenza tra prodotti europei e nordamericani, così come dell’impatto sulle importazioni causato dai limiti per le sostanze chimiche. All’ordine del giorno c’è poi il mancato rinnovo da parte dell’UE per i prodotti contenenti Picoxystrobin, un fungicida considerato altamente rischioso per animali terrestri e acquatici. Non basta: verranno prese in esame le differenze tra le misure europee sul glifosate e quelle nazionali. Dopo il rinnovo dell’autorizzazione per altri 5 anni da parte della Commissione Europea, infatti, alcuni Paesi hanno deciso, entro i loro confini, di varare norme più stringenti per l’uso di questo diserbante, accusato di essere probabilmente cancerogeno per l’uomo. Regole più dure, in definitiva, sono viste come un problema per il libero commercio, anche se tutelano consumatori ed ecosistemi. Toccherà al comitato tecnico capire come superare l’ostacolo del principio di precauzione. [i]
Se ciò non bastasse, il CETA potrebbe rappresentare un rischio reale contro la ripubblicizzazione dell’acqua sia in Europa sia in Canada.
E’ vero che nell’articolo 1.9 del CETA dedicato a “Diritti e obblighi relativi all’acqua” si afferma che “l’acqua al suo stato naturale […] non è un bene o un prodotto […] Pertanto, solo i capitoli XXII (Commercio e sviluppo sostenibile) e XXIV (Commercio e ambiente) si applicano a tale risorsa”. Il problema è che quasi tutti gli usi dell’acqua (acqua potabile, servizi igienico-sanitari o irrigazione agricola) la coinvolgono al di fuori dal suo ambiente naturale e quindi essa viene considerata di default un bene o un prodotto soggetto al CETA. L’articolo aggiunge: “Quando una parte consente l’uso commerciale di una specifica fonte d’acqua, lo fa in modo coerente con l’accordo” senza definire chiaramente che cosa è un “uso commerciale” per l’acqua o una “fonte specifica di acqua”. Questo apre nei fatti la porta ad ulteriori mercificazioni delle risorse idriche, ad esempio influenzando il modo in cui i diritti idrici sono concessi dalle autorità: in base al CETA, infatti, i diritti idrici possono essere trasformati in “investimenti”.[ii]
Il CETA, inoltre, è il primo accordo di libero scambio negoziato dall’Unione Europea che include l’approccio cosiddetto “della lista negativa” per proteggere i servizi pubblici nazionali da possibili gare internazionali. In base a questo approccio, tutto ciò che non è elencato nella lista annessa al trattato è da esso regolato e dunque aperto alla concorrenza euro-canadese. Per quanto riguarda i servizi di acqua potabile, l’Unione Europea nel suo complesso ha formulato riserve alla competizione internazionale su “Accesso al mercato” e “Trattamento nazionale” per i servizi “Raccolta, depurazione e distribuzione di acqua”, come indicato nell’allegato II, “Riserve per misure future”.
Tuttavia, solo quando si chiedono le quattro riserve insieme – “Accesso al mercato”, “Trattamento nazionale”, “Nazione più favorita” e “Requisiti di prestazione” c’è la garanzia che un servizio sarà escluso dai meccanismi CETA in tutti i casi. Inoltre, va notato che anche se i servizi di acqua potabile sono inclusi nelle riserve dell’allegato II, un’impresa canadese potrebbe ricorrere al meccanismo arbitrale se pensa di essere ingiustamente discriminato rispetto ad essi da una legge di uno dei Paesi dell’Unione [iii].
Per quanto riguarda i servizi igienico-sanitari, solo la Germania ha chiesto di applicare una protezione da concorrenti stranieri rispetto all’ “Accesso al mercato” per i servizi di “Fognatura, smaltimento rifiuti e servizi igienico-sanitari”. Ciò implicherebbe l’inclusione di tali servizi nel quadro CETA per il resto degli Stati membri dell’UE, in contrasto con l’articolo 12 della direttiva sulle Concessioni dell’UE, che stabilisce che l’apertura al mercato non si applica alle concessioni aggiudicate allo smaltimento o al trattamento delle acque reflue[iv]. E c’è di più, se non bastasse: la clausola di pubblica utilità che l’Unione europea dice di aver imposto anche nel CETA per proteggere la dimensione pubblica dei servizi, protegge solo da un eventuale “accesso al mercato” ma non dalla richiesta di “trattamento nazionale”. Pertanto, alle società estere con filiali in Canada devono essere concessi tutti i diritti che le società nazionali hanno non appena aprono una filiale nello Stato membro dell’UE.
Per questo la Campagna Stop TTIP/Stop CETA lancia la richiesta urgente ai neoeletti parlamentari italiani per la costituzione di un gruppo interparlamentare Stop CETA attraverso il quale bocciare la ratifica del CETA e riaprire un dibattito serrato in Europa per tracciare un confine tra netto tra i limiti del commercio e gli obblighi della protezione dei nostri diritti.
*vicepresidente di Fairwarch, portavoce della campagna Stop TTIP/CETA Italia
http://sbilanciamoci.info/acqua-pubblica-salute-animale-nel-parlamento/