Non so se Lula meriti davvero il carcere, se sia davvero colpevole dei reati per cui è stato condannato. Non conosco i dettagli di quelle vicende e credo sarebbe stupido azzardare un giudizio solo in base alle poche e viziate cose che ci raccontano i mezzi di informazione, che evidentemente non gli sono favorevoli, e ai miei “pregiudizi”, visto che sono smaccatamente di parte. Prendo atto della sentenza del Tribunale supremo federale, ma come non ho alcuna fiducia nella magistratura italiana – un potere tra i poteri, che interpreta un proprio ruolo in commedia – ne ho ancora meno in quella brasiliana.
Il problema però non è quello del destino di una sola persona, pur rappresentativa e importante come è Lula, ma di una stagione durata almeno dieci anni all’inizio di questo secolo che ha interessato tutto il continente sudamericano. Durante questo decennio i grandi paesi di questa parte del mondo sono stati governati da donne e uomini della sinistra, anche nelle sue espressioni più radicali, donne e uomini che spesso avevano conosciuto il carcere o comunque erano vissuti in clandestinità nei loro paesi durante le dittature militari sostenute dagli Stati Uniti e finanziate dalle forze del capitale, donne e uomini dichiaratamente socialisti. Quella stagione è finita e soprattutto non ha segnato in quei paesi un vero cambiamento.
So bene che contro questo tentativo è stata scatenata da parte del finanzcapitalismo una guerra selvaggia, che per ferocia non ha nulla da invidiare ai regimi di Videla e di Pinochet, so che contro questi governi democratici sono stati usati in maniera spregiudicata gli organi di informazione: penso ad esempio a come è stata raccontata sui grandi giornali internazionali, quelli che contribuiscono a creare l’opinione pubblica mondiale, la presidente dell’Argentina Cristina Fernández de Kirchner, rappresentata a volte come una strega intrigante, capace di tutto per ottenere il potere, oppure come un’inetta trovatasi per caso in quel ruolo, che gestiva in maniera inadeguata. O ancora il modo in cui è stato rappresentato Hugo Chavez come il solito caudillo interessato unicamente al potere. In Italia poi contro la Kirchner c’è stata anche più ostilità, visto che tra i suoi avversari c’era anche un gesuita che ha fatto una bella carriera e, come noto, ai “sinistri” italiani puoi toccare tutto, ma non questo papa così progressista.
Nello stesso modo spregiudicato sono state usate le istituzioni e la magistratura: in Brasile c’è stato un vero e proprio colpo di stato, parlamentare e giudiziario, per estromettere dalla presidenza Dilma Rousseff e rimpiazzarla con il più malleabile Temer. E così in tutti questi paesi sono andati al potere uomini che, pur non richiamandosi più alla destra conservatrice e ultracattolica dei generali degli anni Settanta e Ottanta, ne hanno ereditato le teorie economiche ultraliberiste. Il “nuovo” presidente del Cile, che ha sostituito Michelle Bachelet, è il fratello del ministro del lavoro e delle miniere di Pinochet, un uomo educato dai Chicago boys nel “verbo” del capitalismo.
Ma anche questa reazione così violenta e sistematica non basta a capire perché il socialismo in America latina ha fallito, se anche in Uruguay la presidenza di Pepe Mujica non ha lasciato tracce evidenti, se non gli insegnamenti di questo grande combattente, che però è stato ridotto, nella vulgata a uso dell’informazione mainstream a una specie di santo pauperista ed ecologista, uno che andrebbe bene anche a Grillo. Mujica invece è un socialista anticapitalista, ma di questo nessuno ovviamente parla.
La sostanziale sconfitta di queste donne e di questi uomini, che hanno avuto – anche per il fatto di aver governato insieme negli stessi anni – la possibilità di cambiare l’America latina, interroga anche noi perché evidentemente c’è qualcosa che non funziona nel modo in cui abbiamo declinato il socialismo tra la fine del Novecento e l’inizio di questo secolo. Quindi non è un problema solo italiano, come ogni tanto qualcuno prova a immaginare, dando ai tristi demiurghi del pd un ruolo che non meritano. Sinceramente, se non c’è riuscito Lula, pensavate ci riuscisse Bersani?
Forse il problema sta proprio nel compromesso socialdemocratico che tutti – tranne Chavez, almeno esplicitamente – hanno accettato. Ossia tutti – e anche Chavez – hanno accettato di governare i loro paesi all’interno di un disegno costruito da altri. Nessuno di loro ha ribaltato il tavolo, ha detto che ci sono leggi politiche a cui il mercato deve piegarsi e adeguarsi, tutti invece hanno cercato un compromesso con il mercato e questo alla fine li ha fagocitati.
Ricordate La piccola bottega degli orrori? C’è il film di Roger Corman del 1960 e il musical dell’86. Il giovane Seymour, commesso in un negozio di fiori, ha una piccola strana pianta che, nonostante tutte le sue cure, sta morendo; accidentalmente scopre che la pianta si nutre di sangue umano e quindi comincia a tagliarsi per farla crescere. Tutto va bene, il negozio, grazie alla pubblicità legata a quella pianta dalle forme bizzarre, non deve più chiudere, Seymour salva la sua amata Audrey dalle grinfie del fidanzato dentista, ma la pianta ha bisogno di sempre più sangue e Seymour è costretto a uccidere. Finché uccide l’antipatico dentista non ci sono problemi, visto che picchiava Audrey, ma la pianta ha sempre più sete e Seymour non riesce più a fermarsi e alla fine la pianta uccide anche Audrey e lui.
Ho l’impressione che noi abbiamo fatto lo stesso con il capitalismo, lo abbiamo nutrito, quando è cominciato a crescere ne abbiamo tratto dei vantaggi, ci siamo convinti di poterlo controllare, ma alla fine ci ha divorati.
La sconfitta di Lula e di tutto i socialismo dell’America latina è ancora più drammatico perché in quei paesi il finanzcapitalismo spiega la sua potenza in maniera violentissima, le differenze tra i pochi ricchissimi e la stragrande maggioranza dei poverissimi continua a crescere, le grandi compagnie depredano le ricchezze naturali di quelle terre, che sono anche nostre, perché tutto il pianeta ha bisogno della foresta amazzonica e il capitalismo la sta distruggendo. In America latina c’è un bisogno disperato di socialismo.

 

se avete tempo e voglia, qui trovate quello che scrivo…

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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