di Paola Somma*
I vertici della società francese Veolia hanno reagito furiosamente alla decisione con la quale il governo del Gabon, il 16 febbraio, ha annullato la concessione per la produzione e distribuzione di acqua ed energia elettrica, ed hanno dichiarato di voler intraprendere azioni legali contro il “brutale esproprio” e per aver indietro “quello che ci spetta di diritto”.
È quindi iniziato uno scambio di accuse che, al di là delle ragioni di merito, mostra in modo esemplare come le attività predatorie delle multinazionali nei paesi africani siano pianificate, organizzate e realizzate dagli investitori internazionali con la complicità delle autorità locali.
Decisa nel 1997, la privatizzazione dell’acqua e dell’elettricità in Gabon, e la relativa concessione ventennale accordata a Veolia (allora denominata Vivendi), è la prima privatizzazione di un servizio di pubblica utilità realizzata nell’Africa a sud del Sahara.
I termini dell’accordo furono studiati e messi a punto da IFC International Finance Corporation, la branca della Banca mondiale che si occupa di fornire consulenza e “aiutare i paesi in via di sviluppo” a privatizzare le infrastrutture e i servizi ai cittadini.
Non stupisce, perciò, che nei rapporti degli esperti finanziari l’attività della SEEG Societé d’energie et d’eau au Gabon venga esaltata come un virtuoso caso di partenariato.
In realtà, nel ventennio della gestione di Veolia, che possiede il 51 per cento delle azioni – la restante parte è divisa tra investitori istituzionali e privati – la società è diventata profittevole e ha distribuito dividendi, ma il servizio non è migliorato. Le frequenti interruzioni nell’erogazione di elettricità, la qualità scadente dell’acqua e la mancata estensione delle reti per raggiungere le zone rurali del paese, i cui abitanti non raggiungono i due milioni, ma sono insediati in modo molto sparso, hanno suscitato ripetute proteste, rimaste tutte inascoltate. Il governo, anzi, non solo non ha mai preso provvedimenti contro la concessionaria che, per contratto, si era impegnata ad attuare ingenti investimenti, ma ha autorizzato sostanziosi aumenti delle tariffe che, dal 2009 al 2014 sono cresciute rispettivamente del 75 per cento quelle dell’elettricità e del 48,2 per cento quelle dell’acqua.
ARTICOLI CORRELATI
- L’acqua è la comunità
- La sete cresce e ai governi va bene così
- Quel fiume ha i suoi diritti
- C’è bisogno del Popolo dell’acqua
Nell’aprile del 2017, alla scadenza della concessione, il governo del Gabon ha dapprima dichiarato di non volerla rinnovare; poi alcuni ministri sono stati convocati a Parigi dall’allora presidente Hollande – che, nell’imminenza delle elezioni cercava di accreditarsi nel ruolo di protettore degli interessi francesi (Veolia è la seconda società francese attiva in Gabon, dopo Total) – e sono stati convinti a concedere una proroga di cinque anni e a negoziare sui punti controversi.
Ora, l’inaspettato gesto con cui il governo del Gabon ha requisito la sede della società a Libreville e revocato la concessione, più che un segno di attenzione per il benessere dei propri cittadini, appare come il tentativo da parte del presidente Ali Bongo – erede di una famiglia ininterrottamente al potere dal 1967, grazie all’intervento, anche armato, dei francesi – di allargare il consenso popolare in vista delle elezioni che si svolgeranno nel prossimo mese di aprile.
Se non è improbabile che dopo le elezioni tutto torni come prima, in ogni caso le accuse e le minacce, con le quali Veolia e le autorità del Gabon si fronteggiano da due mesi, dimostrano la malafede di entrambe le parti.
Il ministro dell’ambiente gabonese accusa Veolia di aver provocato seri danni ambientali mettendo in pericolo la salute della popolazione. Chiedendosi retoricamente “se anche in Francia Veolia può scaricare rifiuti tossici nei fiumi”, il ministro protesta perché la società non dispone di attrezzature appropriate per il trattamento dei rifiuti degli idrocarburi, con il risultato che a Lambaréné “gli idrocarburi sono riversati direttamente nell’Ogooué, proprio dove la SEEG preleva l’acqua destinata al consumo delle famiglie”; a Ndjolé l’Ogooué “serve come ricettacolo degli oli e gasolio scaricati dalla centrale della SEEG”, e anche a Mitzic e a Oyem, i laghi e I fiumi sono “selvaggiamente inquinati”. Il ministro ha anche dichiarato che “nulla si sa sugli effetti che l’inquinamento ha avuto o può avere sulla salute della popolazione e che bisogna applicare “il principio che chi inquina paga e obbligare Veolia a decontaminare i siti e a procedere alle riparazioni e ai risarcimenti”.
Dal canto suo, Veolia sostiene di non avere inquinato nessun sito e che, in ogni caso, i ministri del Gabon erano perfettamente al corrente della situazione in quanto membri del consiglio di amministrazione della società. Dopo di che è passata alle minacce. Intervistato dal Financial Times, l’amministratore delegato Antoine Frérot, ha detto che si tratta di “una decisione politica e populista che avrà forti conseguenze finanziarie, perché compromette investimenti a lungo termine in Africa”. E il segretario generale della società, Helmas le Pas de Secheval, ha aggiunto “questo esproprio illegale nuocerà non solo al Gabon, ma all’Africa tutta intera.. tutti i paesi del continente hanno bisogno disperato di infrastrutture vitali come accesso a acqua ed energia… noi temiamo l’impatto per la popolazione gabonese di un clima catastrofico per gli investimenti stranieri”.
Quindi, per riavere quello che “ci spetta di diritto e che ci è stato tolto con un atto brutale senza fondamento giuridico”, l’8 marzo, Veolia ha depositato una richiesta di conciliazione presso ICSID il centro internazionale creato dalla Banca mondiale per la “risoluzione di controversie relative ad investimenti”. In caso di fallimento della conciliazione, Veolia presenterà una richiesta di arbitrato presso “il tribunale” della Banca mondiale, che già in passato ha condannato il Gabon a pagare 184 milioni di euro alla società belga Transurb per una vertenza relativa alla costruzione di una ferrovia!
Mentre Veolia chiede giustizia a Washington, il Gabon si rivolge ancora a Parigi. Da un lato, per dimostrare la veridicità delle accuse di inquinamento, ha chiesto l’assistenza di Pascal Canfin, già ministro dello sviluppo di Hollande dopo essere stato eurodeputato nel gruppo dei verdi; dall’altro, per rassicurare gli investitori, ha inviato a Parigi il portavoce del presidente il quale, durante un incontro con le associazioni degli industriali, non ha escluso che la prossima concessione dell’acqua e dell’energia elettrica venga accordata ancora ad un gruppo francese.
In attesa delle sentenze, le uniche certezze per i cittadini gabonesi sembrano l’acqua inquinata e il pagamento delle spese legali.
* Urbanista, già docente allo Iuav di Venezia è autrice di diversi libri tra cui Mercanti in fiera e Benettown (Corte del fontego)
https://comune-info.net/2018/04/venditori-di-acqua/