Riceviamo e pubblichiamo

Nel sistema politico europeo il Labour Party britannico è sempre stato identificato come il “partito dell’alternanza”, in grado cioè – anche per via del sistema elettorale che a suo tempo (non oggi) favoriva il bipartitismo – di sostituire alternativamente i conservatori al governo dell’Union Jack: clamoroso fu il caso del 1945 quando i tories che avevano guidato il Paese alla vittoria furono sconfitti alle elezioni grazie essenzialmente al programma che il Labour aveva proposto sulla base del Piano Beveridge del “welfare state”.

Da qualche tempo, almeno dal fallimento clamoroso del processo d’innovazione del partito che – a partire dagli anni ’90 del XX secolo quale frutto della ventata neo liberista del decennio precedente – era stata avanzata da Tony Blair e dal suo “entourage” questa capacità di alternanza sembrava essersi definitivamente appannata in quanto il Partito aveva imboccato la via di un inarrestabile declino, in coincidenza anche con profonde modificazioni dello stesso sistema politico britannico.

Oggi la situazione sembra essersi ribaltata e il Partito Laburista ha ripreso impetuosamente a crescere, sia dal punto di vista elettorale, sia dal punto di vista della struttura di partito.

Il fenomeno è stato avviato a partire dall’avvento alla segreteria di Jeremy Corbin e dall’assunzione di una linea più tradizionalmente inserita nei canoni della sinistra sia sul piano della visione complessiva (assunzione delle contraddizioni: pacifismo, femminismo) sia di un recupero della capacità di rappresentare con immediatezza la crescita enorme delle disuguaglianze sociali.

“Le Monde Diplomatique” in edicola nel mese di Aprile dedica a questo vero e proprio fenomeno politico un’ampia analisi firmata da Allan Popelard e Paul Vannier.

La lettura di questo testo pone interrogativi anche a chi pensa di poter ricostruire non un soggetto politico dell’alternanza, ma un soggetto politico dell’alternativa con riferimenti nazionali (nel “caso italiano”) e sovranazionali (la dimensione “europea” e assieme “internazionalista”).

Non mi addentro nella distinzione tra alternanza e alternativa perché credo che i due termini risultino già sufficientemente esplicativi della diversità insita nella stessa terminologia al riguardo della rispettiva proposizione politica.

Piuttosto tengo a precisare che, a mio giudizio, alcuni fondamentali elementi emersi nell’analisi delle ragioni per le quali il Labour ha ripreso un moto ascensionale nella propria presenza politica possono essere ben utilizzati, anche in Italia, per costruire quello che manca: un partito dell’alternativa, principiando da una ferma opposizione al quadro politico esistente.

Si tratta di essere capaci di rappresentare l’opposizione politica ponendoci in diretto richiamo con le grandi contraddizioni sociali operanti (pesantemente per i ceti più deboli) nella società.

Espongo quindi alcuni punti meritevoli di riflessione, con la premessa che tra partito dell’alternanza e partito dell’alternativa non coincidono alcuni elementi posti proprio nell’ipotesi di struttura di partito come, ad esempio, l’utilizzo di elezioni primarie per le cariche interne, in luogo a una conformazione maggiormente connotata da una presenza capillare espressiva di radicamento sociale come quella della rappresentanza di un articolato dibattito a livello territoriale e di specificità sociali (l’ipotesi cioè di una base di partito strutturata su di un modello di tipo consiliare).

Andiamo per ordine:

1) La ripresa del Labour si basa essenzialmente, ma non solo, su di un mutamento radicale di posizione politica rispetto al blairismo assumendo, infatti, un quadro di riferimento tipicamente socialdemocratico di stampo tradunionista;

2) esiste un recupero della struttura di partito con una ricerca della crescita di iscritti. Ciò avviene nonostante l’evoluzione nei rapporti politici (e sociali) dettata dall’innovazione tecnologica nel campo della comunicazione e in presenza del già citato sistema britannico (primarie, collegi uninominali) che scoraggia la strutturazione di un partito a vantaggio di un assemblaggio di comitati elettorali;

3) si muovono attorno e dentro al Labour soggetti di movimento come “Momentum” capaci – appunto – di intrecciare militanza diretta sul campo e utilizzo delle nuove tecnologie. Importante da questo punto di vista quanto emerso nella conferenza nazionale di “Momentum”: “Noi non siamo un think thank. Non produciamo relazioni. Quello che facciamo è assicurarci che la politica del Labour rifletta le aspirazioni dei suoi membri e non quelle dei tecnocrati”;

4) si verifica un ritorno alla centralità del sindacato, nel quadro della già richiamata “rappresentanza diretta degli interessi sociali”. Da notare che nel Labour è ripresa la capacità del sindacato di interloquire direttamente con il gruppo parlamentare (all’interno del quale sono ancora molto forti i residui del “New Labour”). Anche questo punto rappresenta però uno specifico della tradizione britannica;

5) si verifica un forte aggancio con la storia del movimento operaio.

Tutti elementi che nel perseguire l’idea, necessaria e urgente, di ricostruzione di un partito dell’alternativa in Italia dovrebbero essere prese in maggiore considerazione evitando i tanti grovigli politicisti che sembrano frenare, all’indomani di un risultato elettorale complessivamente negativo, la possibilità di una riflessione d’ampio e propositivo respiro che appare invece indispensabile collocare fuori da recinti pre–determinati in questa nostra frantumata sinistra.

 

Di AFV

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