Per decenni gli Stati Uniti, insieme agli alleati della NATO, hanno aiutato l’Arabia Saudita ad esportare il metodo di indottrinamento politico conosciuto come wahabismo, allo scopo di radicalizzare e ingrossare le fila di mercenari usati per scatenare guerre per procura e manipolare le popolazioni occidentali direttamente a casa loro.
Ciò che per la casata dei Saud fu inizialmente un mezzo per stabilire, espandere e consolidare il proprio potere nella Penisola Araba nel XVIII secolo, è ora diventato uno strumento finemente perfezionato di potere geopolitico, integrato nella politica estera di Washington.
Un’ammissione degna di nota è stata recentemente fatta sulle pagine del Washington Post in un articolo intitolato “Il principe saudita nega di avere in pugno Kushner” [in inglese].
L’articolo cita il principe saudita Mohammed bin Salman, che avrebbe dichiarato (il neretto è nostro):
Interpellato a proposito della diffusione del wahabismo finanziato dai sauditi, austera religione predominante nel Regno e che alcuni hanno accusato di essere fonte del terrorismo globale, Mohammed ha detto che gli investimenti in moschee e madrase oltreoceano hanno radici nella Guerra Fredda, quando gli alleati chiesero all’Arabia Saudita di usare le proprie risorse per prevenire l’avanzata dell’Unione Sovietica nei Paesi musulmani.
I successivi governi sauditi persero la cognizione di questi sforzi, e ora “dobbiamo riprenderci tutto”. I finanziamenti, ha detto, ora arrivano principalmente da “fondazioni” saudite, più che dal governo.
Ma, mentre l’articolo sostiene che “i successivi governi sauditi persero la cognizione di questi sforzi” e che i finanziamenti arrivano ora da “fondazioni”, questo non risponde alla realtà.
Non ci sono “governi successivi ” in Arabia Saudita. La Nazione è stata governata da una sola famiglia, il casato Saud, sin dalla fondazione.
E, se le fondazioni saudite possono essere il mezzo attraverso cui il wahabismo è organizzato, finanziato e diretto, ciò è sicuramente fatto per volere diretto di Riad, in un processo voluto da Washington.
Uno strumento, non un’ideologia
Il wahabismo è stato creato, e usato come strumento politico, sin dal secolo XVIII. È servito come pilastro della fondazione dell’Arabia Saudita. Convenientemente, sin dal principio, è stato intollerante verso gli estranei. Per i sauditi che miravano al potere politico attraverso la conquista militare, quest’intolleranza si è facilmente tradotta nella violenza contro le tribù e gli stati confinanti che non si sottomettevano al loro potere.
Gli inglesi avrebbero poi sfruttato ancora maggiormente questo strumento politico contro l’Impero Ottomano. Ideologie estremiste come il wahabismo furono incoraggiate e foraggiate sia prima che dopo la caduta degli Ottomani. Dopo le Guerre Mondiali, gli inglesi e gli americani si sarebbero alleati con nazioni come l’Arabia Saudita, iniziando ad esportare l’indottrinamento wahabita in tutto il mondo.
L’ammissione del principe Mohammed bin Salman getta luce sull’uso che Washington ha fatto degli estremisti in Siria a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta, così come sull’appoggio americano in Afghanistan, finalizzato a rimuovere la presenza sovietica.
Ma rivela anche come il terrorismo – inteso nel senso di strumento geopolitico – sta venendo usato oggi nel post-Guerra Fredda, e anche chi lo sta usando.
Le “moschee” che Arabia Saudita e altri stati del Golfo Persico finanziano lontano dal Medio Oriente, comprese quelle in Europa e Asia, servono come centri d’indottrinamento e reclutamento per gli USA e i suoi alleati nelle varie guerre per procura finalizzate alla destabilizzazione, in tutto il Pianeta.
Come si perfeziona il wahabismo
I foreign fighters [combattenti stranieri] reclutati da tutto il mondo per combattere nel conflitto in corso in Siria sono stati attinti principalmente da questa rete wahabita finanziata e diretta dai sauditi.
Moschee e madrase operanti nel Nord America e in Europa agiscono in questo modo, con la piena conoscenza e cooperazione dei servizi d’intelligence occidentali. Il reclutamento, il dispiegamento e il ritorno a casa dei mercenari indottrinati dai wahabiti in Occidente è un processo ammesso persino dai media occidentali.
L’organizzazione mediatica danese The Local DK ha spiegato come funziona uno di questi centri in Danimarca. Il reportage, in un articolo chiamato “Moschea danese raddoppia il supporto all’ISIS” [in inglese], ha descritto il sostegno totale per alcune organizzazioni terroristiche, nello specifico il sedicente Stato Islamico.
Recita l’articolo:
“Noi vogliamo portare lo Stato Islamico allo zenit. Vogliamo uno Stato Islamico nel mondo”, ha detto il capo della moschea, Oussama El Saadi, durante il programma.
El Saadi ha dichiarato anche che vede la partecipazione danese nella battaglia a guida americana contro la Siria come un affronto diretto non solo alla sua moschea, ma a tutti i musulmani.
“La guerra è contro l’Islam”, ha affermato.
Questa stessa moschea danese, nonostante abbia apertamente ammesso il proprio supporto al terrorismo, non sarà chiusa, né i suoi leader arrestati, come ci si aspetterebbe. Al contrario, il governo danese ha dichiaratamente lavorato con la moschea per gestire il processo.
Un articolo dello Spiegel, “La risposta della comunità: una risposta danese alla jihad radicale” [in inglese], ha riportato:
Il commissario Aarsley dice di essere orgoglioso di ciò che hanno finora ottenuto, nonostante non dimentichi di elogiare la propria gente e gli altri coinvolti nel programma. È particolarmente caloroso nel parlare di una persona: un salafita barbuto a capo della Moschea Grimhojvej ad Aarhus, da cui molti giovani frequentatori abituali sono partiti per partecipare alla guerra in Siria. Il suo leader è un uomo chiamato Oussama El Saadi…
…queste due persone hanno unito le forze in un progetto che cerca di trovare le risposte alle domande che stanno affliggendo l’intero continente europeo: cosa si può fare a proposito degli islamisti che ritornano dalla Siria? Quali misure sono disponibili per contrattaccare il terrore che, una volta ancora, sembra minacciare l’Occidente a casa propria?
Sorprendentemente, i media occidentali hanno ammesso che una moltitudine di queste moschee reclutano apertamente uomini da tutto l’Occidente, affinché combattano come mercenari in Siria sotto la bandiera di Al Qaeda e i vari gruppi affini, prima di ritornare a casa diventando così una minaccia alla sicurezza delle popolazioni occidentali.
Piuttosto che smantellare questo network ed eliminare la minaccia, l’Occidente lo ha intenzionalmente lasciato crescere, creando divisioni sociopolitiche all’interno delle nazioni occidentali. L’incremento di razzismo, bigottismo e xenofobia aiuta da una parte a giustificare le guerre all’estero, e dall’altra a creare uno stato di polizia in casa propria.
L’insabbiamento
Il giornale inglese Independent, nel suo articolo “Ex ambasciatore afferma che l’Arabia Saudita sostiene l’estremismo in Europa” [in inglese], ha ammesso che:
I sauditi hanno finanziato moschee in tutta Europa, e ora queste sono diventate polveriere di estremismo, come ha dichiarato l’ex ambasciatore britannico in Arabia Saudita sir William Patey.
Ma, l’articolo – e altri di questo tenore – distoglie l’attenzione dalle più ampie implicazioni dei finanziamenti sauditi e dell’uso di queste cosiddette moschee come centri di indottrinamento e reclutamento che nutrono militanti finanziati e armati da USA, Europa, Arabia Saudita e i suoi alleati arabi nei conflitti sparsi per il Pianeta.
Media e politici occidentali, così come le stesse autorità saudite, hanno cercato di sostenere che persino Riad non controlla appieno il suddetto network, né comprende il suo ruolo centrale come guida del terrorismo globale. Queste scuse sono assurde.
L’uso dei network wahabiti da parte di americani e sauditi, allo scopo di riempire i ranghi di gruppi militanti che combattono attorno al mondo, è palese. Questi soldati “accidentalmente” reclutati nelle moschee finanziate dai Sauditi tra Europa, Medio Oriente ed Asia formano gruppi armati, finanziati, addestrati e sostenuti da USA, Europa e relativi alleati mediorientali – inclusa l’Arabia Saudita.
A proposito della Siria, il giornalista Seymour Hersh nel suo articolo del 2007 “Il riorientamento è la nuova politica del Governo che gioverà ai nostri nemici nella guerra al terrorismo?” [in inglese] ha mostrato questo processo nel suo svolgimento – mentre la preparazione alla guerra in Siria del 2011 era già in corso.
L’articolo recita (grassetto nostro):
Per danneggiare l’Iran, che è prevalentemente sciita, l’amministrazione Bush decise di riconfigurare le proprie priorità in Medio Oriente. In Libano, il governo ha cooperato con i sauditi (sunniti) in operazioni clandestine finalizzate ad indebolire Hezbollah, l’organizzazione sciita sostenuta dall’Iran. Gli USA hanno preso parte anche ad operazioni clandestine con obiettivo l’Iran e la Siria, sua alleata. Una conseguenza di queste attività è stata la recrudescenza di gruppi estremisti sunniti che portano avanti una visione militante dell’Islam, ostili all’America e vicini ad Al Qaeda.
L’articolo continua:
Stavolta, come mi ha detto il consulente governativo statunitense, Bandar e gli altri sauditi hanno assicurato alla Casa Bianca che “manterranno uno stretto controllo sui fondamentalisti religiosi. Il loro messaggio è stato: ‘Abbiamo creato questo movimento e possiamo controllarlo’. Non è che non vogliamo che i Salafiti gettino bombe; è su chi le gettano – Hezbollah, Moqtada al-Sadr, Iran e anche i Siriani, se continuano a lavorare con Hezbollah e Iran”.
Non c’è dunque nulla di accidentale nella creazione e nell’uso di questi network da parte di Washington e Riad. Per proteggere questi sforzi decennali, sono state usate anche altre tattiche. L’uso del “multiculturalismo” contrapposto al razzismo virulento, al bigottismo e alla xenofobia ha creato un falso dibattito che trasforma ciò che essenzialmente è la sponsorizzazione del terrorismo da parte di occidentali ed arabi in un argomento futile e altamente divisivo.
Entrambe le parti del dibattito in questione portano intenzionalmente via il discorso dalle questioni riguardanti lo sfruttamento e l’utilizzo del wahabismo da parte di Arabia Saudita e dell’Occidente.
Il viadotto saudita-americano del terrore globale
Dalle moschee finanziate dai sauditi, che indottrinano, radicalizzano e reclutano militanti, i combattenti sono poi dislocati verso i teatri di guerra. Gli estremisti finanziati da USA e sauditi spostati dalla popolazione cinese degli Uyghur [in inglese] fino alla provincia occidentale cinese dello Xinjiang sono stati poi portati attraverso l’Asia sudorientale prima di raggiungere la Turchia, dove vengono addestrati e armati per combattere l’esercito regolare in Siria.
E, se al momento l’obiettivo primario del viadotto saudita-americano del terrore globale è di alimentare la guerra per procura in Siria, l’indottrinamento, radicalizzazione e reclutamento wahabita sponsorizzato da americani e sauditi è circoscritto. Mentre gli estremisti Uyghur vengono portati in Siria, altri sono reclutati e schierati nella stessa Cina.
Attraverso l’Asia sudorientale, i finanziamenti sauditi sono arrivati ai combattenti dell’Asia nelle Filippine. Ci sono preoccupazioni fondate che questo network finanziato da USA e sauditi abbia cercato di raggiungere la Thailandia [in inglese] per sfruttare la lotta separatista nel profondo Sud.
Nel vicino Myanmar, gli USA hanno contribuito a costituire l’attuale regime guidato dal “consigliere di Stato” Aung San Suu Kyi. I suoi sostenitori, ultranazionalisti e razzisti [in inglese], hanno portato avanti anni di violenza genocida contro la minoranza dei Rohingya. Allo stesso tempo, americani e sauditi hanno creato un gruppo militante di Rohingya guidato da Ata Ullah – cresciuto ed educato in Arabia Saudita.
La storia di Ata Ullah è nebulosa. La sua “leadership” è simile a quella di Abu Bakr al Baghdadi, una figura a capo di un’organizzazione controllata in ultima istanza da Riad e Washington.
L’uso di terroristi è servito ad una varietà di obiettivi. Per la Siria, è il cambio di regime. In Cina è destabilizzazione e possibilmente balcanizzazione all’interno delle frontiere statali. Nell’Asia sudorientale, la divisione e l’indebolimento di nazioni in cui Washington sta cercando di installare governi-fantoccio. In altre nazioni come il Myanmar gli USA hanno bisogno di un regime obbediente. Nelle Filippine necessitano un modo per mantenere una presenza militare americana nel Paese.
Smascherare e smantellare l’azienda del terrore di Washington e Riad
Gli USA vedono il wahabismo come uno strumento geopolitico a proprio vantaggio, tanto che da decenni è stato affinato e utilizzato. Mentre loro – e i loro alleati – fingono di non sapere come è nato e come poterlo fermare, continuano ad investire nella sua continuazione.
E, mentre il wahabismo può essere servito all’Arabia Saudita per consolidare ed espandere il suo ruolo di potenza regionale, il sostegno a questi network oggi è insostenibile e sta rapidamente diventando un problema. Gli USA – com’è stato provato da molti altri ex alleati – continuerà ad utilizzare la costruzione wahabita dell’Arabia Saudita finché sia il wahabismo che lo stesso Regno Saudita non esisteranno più.
Se da una parte è troppo presto per dirlo, i sauditi hanno parecchie ragioni per dare realtà al proprio interesse – a lungo simulato – di rivelare e smantellare questi network.
Per il pubblico, spazzare via il futile dibattito usato dall’Occidente per proteggere questi network di indottrinamento, radicalizzazione e reclutamento è essenziale per poter fare luce sul ruolo di Arabia Saudita ed Occidente nella costruzione e perpetuazione di essi.
Articolo di Tony Cartalucci pubblicato su Journal-Neo il 5 aprile 2018
Traduzione in italiano a cura di barg per SakerItalia.it
http://sakeritalia.it/politica/lazienda-del-terrore-di-washington-e-riad/