‘Noi vogliamo che i nostri figli imparino a leggere e scriv… ‘, poi gli spari e le grida di terrore dei lavoratori e dei loro famigliari che stavano festeggiando il Primo maggio a Portella della Ginestra
Centinaia di lavoratori provenienti da Piana degli Albanese, da San Cipirello, da San Giuseppe Jato e dalle campagne vicine si ritrovarono quel mattino del 1947 a Portella della Ginestra per festeggiare il Primo maggio. Interrotta durante il fascismo, i sindacati decisero che era giunto il momento di riprendere la tradizione di recarsi in quel luogo per la festa dei lavoratori. Dieci giorni prima, infatti, si era votato in Sicilia e c’era stata la vittoria delle Sinistre e del Blocco del Popolo sulla Democrazia cristiana, sui monarchici e sui separatisti. Era un momento politico importante per l’isola, l’occupazione delle terre, la riforma agraria e le lotte sindacali stavano mettendo in crisi la mafia dei latifondi.
In attesa degli oratori ufficiali, un calzolaio di San Giuseppe Jato, Giacomo Schirò, segretario della locale sezione socialista, decise di intrattenere la folla. Ecco cosa riuscì a dire: ’Compagni, amici, lavoratori ogni primo maggio, fascismo o non fascismo, noi siamo sempre venuti qui, prima eravamo pochi ma oggi siamo una forza e lo abbiamo dimostrato nelle elezioni del parlamento siciliano con la strepitosa vittoria del Blocco del popolo. Questa è stata una prima grande vittoria, ma è solo l’inizio, non basta che ci diano la terra devono darci sementi, attrezzi, aratri, devono costruirci le strade, le case, devono portarci l’acqua, la luce nelle campagne. Insomma dobbiamo portare la civiltà nelle campagne. Noi vogliamo che i nostri figli imparino a leggere e scrivere per togliere questa vergogna dell’analfabetismo, perché a causa della nostra ignoranza siamo soggetti … dei gabelloti. Noi vogliamo che i nostri figli imparino a leggere e scriv…’. Poi gli spari e le grida di terrore dei contadini e dei loro familiari. Salvatore Giuliano e la sua banda, appostati sul monte Pelavet, avevano iniziato a sparare sui manifestanti, inizialmente furono scambiati per i tradizionali mortaretti della festa, poi il terrore s’impadronì della folla.
Quel primo maggio sul prato di Portella furono assassinati Margherita Clesceri (37 anni), Giorgio Cusenza (42 anni), Giovanni Megna (18 anni), Francesco Vicari (22 anni), Vito Allotta (19 anni), Serafino Lascari (15 anni), Filippo Di Salvo (48 anni), Giuseppe Di Maggio (13 anni), Castrense Intravaia (18 anni), Giovanni Grifò (12 anni), Vincenza La Fata (8 anni). Altri 27 rimasero feriti.
Serafino Pecca, sopravvissuto alla strage ricorda: ‘Quella mattina siamo saliti qua, nel 1947, cominciò a parlare il segretario della Camera del lavoro, ha detto poche parole e iniziarono i primi spari’. Ed ancora: ‘Cercavamo un diritto che ci apparteneva, possibile che qui quattro o cinque persone che avevano mille ettari, chi duemila, chi di più con la gente che moriva di fame‘.
Il giorno dopo, chiamato a riferire davanti all’Assemblea costituente sui fatti avvenuti a Portella della Ginestra, il ministro dell’Interno Mario Scelba disse che dietro alla strage ‘non c’era nessuna finalità politica o terroristica’. Ci vollero mesi per individuare in Salvatore Giuliano e nella sua banda gli esecutori materiali. I nomi dei mandanti sono invece ancora un segreto di Stato.
Di certo quel giorno, oltre a sopprimere con la violenza un altro tentativo di emancipazione del popolo siciliano, ebbe inizio la strategia della tensione che, nei decenni successivi, impedirà alla Sinistra italiana di accedere al governo del paese.
Fonti: wikipedia.it, osservatoriorepressione.it , e youtube.it