Difficile immaginare due persone più diverse nell’Italia del 1978: Aldo Moro era l’uomo del potere, Peppino Impastato era l’uomo che combatteva quel potere. La differenza tra loro era non solo politica – avevano idee molto diverse e si consideravano avversari – e anche intellettuale – leggevano libri diversi, ascoltavano dischi diversi, guardavano film diversi – ma soprattutto era antropologica. La estenuante volontà di Moro di mediare, il suo argomentare complesso, la sua impenetrabilità erano l’opposto delle accuse dirette di Impastato, della sua capacità di arrivare diritto al punto, con sarcastica precisione. Quando Peppino Impastato diceva

“voglio scrivere che la mafia è una montagna di merda”

pensava anche a Moro, alle complicità e alle collusioni tra la Democrazia cristiana e la mafia. Aldo Moro probabilmente soffriva quelle complicità, ma le riteneva un male necessario, era capace di spiegarne l’origine e le cause, e forse anche il modo per sconfiggerla, ma certamente non avrebbe neppure saputo immaginare una frase del genere, figurarsi pronunciarla.

E’ un caso che questi due uomini così diversi, questi due avversari politici, questi rappresentati di due Italie contrapposte, siano stati uccisi entrambi lo stesso giorno, il 9 maggio 1978. Non ci fu un disegno, capitò e basta, perché ovviamente gli esecutori dei due delitti non erano in contatto e non sarebbe loro interessato quel parallelo. E non interessò neppure a chi decise quelle due uccisioni, che invece fu lo stesso potere. Naturalmente furono persone diverse a decidere materialmente che Moro e Impastato sarebbero dovuti morire, ma questi uomini – importa poco sapere i loro nomi a questo punto – che magari si conoscevano, per quanto agissero con obiettivi diversi e spinti da ragioni diverse, volevano la stessa cosa.

Aldo Moro e Peppino Impastato furono uccisi perché entrambi, seppure in maniera molto differente l’uno dall’altro – e non poteva essere altrimenti – erano diventati pericolosi per un potere che aveva paura dei cambiamenti, che non voleva perdere i propri privilegi, le proprie ricchezze. Con quei due cadaveri quel potere volle dirci che era più forte di noi, che lo dovevamo temere e che gli dovevamo obbedire.

Quel potere è ancora lì, apparentemente meno violento perché ha smesso di uccidere le persone per strada, ma ha vinto, perché ci ha comprati. E noi ci siamo lasciati comprare, quando non ci siamo direttamente venduti. Per questo il 9 maggio non è solo un giorno da dedicare al ricordo, ma l’anniversario di una sconfitta.

 

 

 

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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