Francesco Cecchini
Ci sono le premesse perché «Torneranno i prati» abbia porta sugli schermi la vera guerra, fuori dalla retorica che, 100 anni dopo, ancora ci perseguita.
In una conferenza stampa ad Asiago, Ermanno Olmi ha presentato il suo ultimo film «Torneranno i prati», girato fra gennaio e febbraio del 2014sull’Altipiano di Asiago.
«Perché è successo?» inizia Olmi: «A 100 anni dal suo inizio il miglior modo per celebrare il conflitto mondiale è capire perché è successo, soprattutto oggi che siamo a una vigilia che rischia di somigliare molto, ma con conseguenze più gravi a quella Prima Guerra Mondiale».
Il film racconta la storia di una notte in trincea che prelude Caporetto, la disfatta. Poi tutti vanno a casa e dopo un po’ torna l’erba sui prati, da cui il titolo: «Torneranno i prati». I personaggi non hanno nomi, ma ruoli: l’ufficiale, il soldato canterino che porta il rancio e canta così bene da non venire ucciso. Nella notte dal comando territoriale arrivano gli ufficiali che ordinano la presa di un osservatorio utile per gli appostamenti perché si è alla vigilia di una battaglia che si apre su tutto il fronte. Il che significa andare incontro a morte certa. Ma un alto ufficiale della trincea e un soldato disobbediscono. «La prima guerra mondiale è stata l’ultima con tracce di umanità, la seconda impregnata dalle ideologie e dai razzismi è diventata disumana – continua Olmi – i soldati in battaglia erano poveri, venivano dai latifondi, valevano meno di una mucca. E chi conosceva come loro quella condizione? Quelli dall’altra parte della linea. Perché quel che si scoprirà nel film è che il vero volto del nemico è una sorpresa inaspettata e non è al di là della linea».
La sorpresa che Olmi annuncia non è tale per chi conosca davvero la storia del grande massacro 1915-1918: quando le trincee erano molto ravvicinate e quindi non soggette ai tiri d’artiglieria di entrambe le parti succedeva spesso che fra nemici ci si scambiassero opinioni e anche generi “di conforto” diversi. «Ho punito due alpini» annotava un ufficiale «perché erano usciti nottetempo con un piffero per recarsi sotto le trincee nemiche». Un giorno di Pasqua la distanza fra i belligeranti era diventata talmente sottile che, da entrambe le parti, dalle retrovie, si fu costretti a sparare un colpo di cannone per ripristinare l’ostilità. Sulle trincee e sui comandi aleggiava lo spettro della “Tregua di Natale” del fronte occidentale e la paura che si ripetesse in Italia. Molti oggi non ricordano – è una memoria scomoda per nazionalisti e militaristi di ogni tipo – che attorno al Natale del 1914 si verificarono una serie di “cessate il fuoco” spontanei in varie zone del fronte; uno di questi episodi è raccontato nel film «Joyeux Noel, una verità dimenticata dalla storia» girato (nel 2005) da Christian Carion che ha avuto in Italia un limitatissima circolazione.
Non fu quella del 14-18 una guerra fra i popoli ma una guerra contro i popoli. Il film di Olmi è un’occasione in più per contestare il mistificatorio centenario della Grande Guerra, visto che in Italia e in Europa vi sono e vi sono state grandi iniziative che però ne tacciono gli orrori e tanto meno denunciano che si trattò di uno scontro fra imperialismi. Il comitato dei ministri italiani per il centenario ha affermato che le commemorazioni sono particolarmente importanti «per la costruzione dell’identità europea» (sic!). La sinistra e i movimenti politico sociali di opposizione devono invece denunciare il carattere manipolatorio e falsante del centenario, opporsi a spese consistenti ed inutili (a cominciare dall’intervento di restauro e allestimento museale di Redipuglia) rilanciando la verità su quella guerra.