In un editoriale sul Financial Times, Wolfgang Munchau ribadisce le sue critiche alla rigidità della Germania, che nel suo eccesso mercantilista, vivendo di esportazioni a danno dei vicini, esaspera le politiche di rigore di bilancio al suo interno, programmando già dal prossimo anno una riduzione del debito tedesco sotto il 60% del Pil. La motivazione abbastanza evidente è quella di evitare ogni possibile condivisione del debito con i paesi periferici. Munchau teme che queste politiche diano la spinta decisiva alla disgregazione dell’eurozona e sollecita i paesi partner a denunciare la Germania, la prima a trasgredire le regole europee che richiederebbero una cooperazione nel campo della politica economica.
di Wolfgang Munchau,
L’ossessione del ministro delle Finanze per il surplus di bilancio danneggerà i partner europei
Considerare l’eurozona insostenibile non porta necessariamente a prevederne la disgregazione come un fatto ineluttabile. Ma ci sono eventi che aumentano notevolmente la probabilità di un risultato del genere.
Il bilancio tedesco della scorsa settimana è uno di questi. Olaf Scholz, il nuovo ministro tedesco delle finanze, socialdemocratico, ha presentato un piano con le seguenti caratteristiche: un taglio nominale degli investimenti; una riduzione del rapporto tra spesa per la difesa e prodotto interno lordo; il congelamento dei fondi per gli aiuti allo sviluppo allo 0,5% del PIL; e un contributo al prossimo bilancio UE inferiore rispetto a quello che lo stesso ministro aveva precedentemente suggerito.
Il bilancio soddisfa invece due obiettivi limitati. Garantisce che il governo registrerà un avanzo nel periodo 2019-2022. E che nel 2019 il debito tedesco in percentuale sul PIL scenderà al di sotto della soglia del 60 per cento stabilita nel trattato di Maastricht.
L’ambizione dell’onorevole Scholz è portare il bilancio a un surplus dell’1 per cento del PIL, o superiore. Un tale avanzo, nel tempo, abbatterebbe tutto il debito pubblico. A quel punto la Germania avrà raggiunto un’utopia ordo-liberale: sarà diventata come la Romania di Nicolae Ceausescu, che nel 1989, poco prima che il dittatore fosse rovesciato, vantava un surplus di 9 miliardi di dollari.
Al di là delle conseguenze negative per la stessa Germania, questo bilancio aggraverà gli squilibri già significativi della zona euro.
Negli ultimi due anni la Germania ha registrato surplus delle partite correnti pari a circa l’8%. Secondo un rapporto di Der Spiegel, l’aeronautica del paese è ormai disfunzionale a causa della cronica carenza di investimenti. Il cancelliere Angela Merkel, che sostiene il bilancio, è stata meno che onesta nei confronti del suo impegno ripetuto di un obiettivo di spesa per la difesa della NATO pari al 2% del PIL.
Esiste una soluzione piuttosto semplice a tutti questi problemi: gestire un moderato deficit fiscale, ad esempio del 2% del PIL, investire nella ristrutturazione della capacità militare del Paese, rinnovare le infrastrutture pubbliche e promuovere progetti ad alta tecnologia. Ciò aiuterebbe la Merkel a controbattere alle accuse del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, secondo cui la Germania non starebbe contribuendo adeguatamente alla Nato. Ridurrebbe la vulnerabilità della Germania e dell’UE alle tariffe commerciali degli Stati Uniti, riducendo i surplus nei conti con l’estero della Germania e della zona euro. E rafforzerebbe il potenziale di crescita a lungo termine della Germania. Non accade spesso di poter fare così tanto con un solo intervento di politica economica.
Fare ciò significherebbe violare il “freno costituzionale all’indebitamento” – un vincolo fiscale che costringe la Germania a gestire un bilancio quasi in pareggio nel ciclo economico. Tuttavia questa è una scelta interna, non un vincolo esterno. Così facendo, Scholz non sta seguendo delle regole. Sta facendo più del necessario. L’SPD sta tornando alle sue radici pre-keynesiane.
Non mi preoccupa tanto l’autodistruzione del SPD, quanto gli effetti verso l’esterno. I tedeschi hanno fatto una scelta. Otterranno ciò per cui hanno votato. Ma questa politica interesserà milioni di persone che non hanno votato, perché il bilancio influenzerà il percorso del resto dell’eurozona.
In particolare, limiterà il grado di flessibilità fiscale che l’UE potrebbe concedere ai paesi durante una recessione economica. L’Italia, ad esempio, per uscire dalla stagnazione economica ha un disperato bisogno di maggiori investimenti pubblici, oltre che di fare le riforme.
Gli elettori si stanno allontanando dai partiti istituzionali: una tendenza destinata a continuare, a meno che non vi sia una ripresa economica sostenuta.
La Francia è in una posizione migliore, ma non è abbastanza forte per seguire la Germania. Potremmo essere rimasti sorpresi dall’ascesa di Emmanuel Macron alla presidenza, ma il Fronte Nazionale di estrema destra rimane un pericolo, sia per lui che per la zona euro.
Non ci sarà mai una soluzione alla situazione dell’eurozona a meno che gli altri paesi non alzino la testa di fronte al potere della Germania. Dovrebbero apertamente denunciare la Germania per la violazione della più importante regola politica stabilita nel trattato di Maastricht: che gli Stati membri considerino la politica economica una questione di interesse comune. Il bilancio tedesco è tanto anti-europeo quanto lo erano gli eccessivi deficit fiscali della Grecia.
C’è solo una spiegazione razionale per una simile politica. Liberarsi del proprio debito è un modo per chiudere il dibattito sulla condivisione del rischio nell’eurozona. Ma copiare la strategia economica di Ceausescu è un modo piuttosto estremo di risolvere la questione.