- di Guido Salza
PARIGI. Il 14 maggio 2017 Macron veniva proclamato Presidente della Repubblica francese, dopo una vittoria risicata e un ballottaggio vinto contro la destra xenofoba di Marie Le Pen. Il suo impegno? Essere promotore di uno scatto in avanti nel processo di ristrutturazione economico-sociale in senso ultraliberista della Francia. Ad un anno di distanza, ricchi e padroni possono già dirsi largamente soddisfatti.Macron ha sbaragliato la resistenza alla sua Loi du travail (con la connivenza dei vertici della CGT); ha rinnovato e amplificato l’impegno della Francia sul terribile palcoscenico dell’imperialismo occidentale – rientrando a gamba tesa nelle dinamiche geo-politiche in medio-oriente e in Africa, rafforzando l’asse competitivo con la Germania della Merkel e prostrandosi alla corte statunitense.
Ancora, la legge finanziaria varata sotto la sua egida per il 2018 ha fatto gioire la fascia più ricca del paese: i redditi da capitali finanziari e da plusvalenze derivanti dalla vendita di titoli sono ora soggetti ad un’aliquota unica del 30%, una specie di flat-tax parziale. Macron ha dimostrato anche di avere il polso fermo in casa. La punizione esemplare impartita agli occupanti (vittoriosi) della ZAD ne è un esempio, come lo sono gli ingenti dispositivi di polizia che vengono utilizzati ad ogni occasione contro i lavoratori dei trasporti [1]. Come testimoniano i fasti regali con i quali organizza le serate all’Eliseo, il novello presidente non sembra sia troppo disturbato dal sempre più frequente accostamento che si fa della sua figura con quella di un monarca.
Macron come Luigi XIV – foto di Guido Salza)
Ora Macron è impegnato in un testa a testa con i lavoratori del trasporto pubblico e con il mondo dell’università. Gli cheminots sono in agitazione contro la privatizzazione dell’azienda pubblica di trasporti, l’apertura al mercato del comparto e la demolizione dello storico statuto conquistato con la lotta negli anni ’70 [2]. Sempre per quanto riguarda i trasporti, dopo anni di tagli e di perdite da parte dell’azienda, la maggioranza (55,33%) dei dipendenti Air-France ha appena bocciato il nuovo accordo salariale con un referendum molto partecipato, al quale sono seguite le dimissioni dell’AD. I lavoratori della compagnia aerea saranno in sciopero in altre tre occasioni questo mese.
Il mondo universitario sta lottando contro l’imposizione delle nuove regole d’orientamento che, soprattutto in un quadro di disinvestimento pubblico nel mondo della ricerca, configurerebbero un’università sempre più autoritaria e classista. Lo scorso 5 maggio, la CNU(Coordination National des Université,una piattaforma che riunisce lavoratori, ricercatori, professori e studenti universitari), riunita alla Camera del Lavoro a Parigi, ha dichiarato uno sciopero ad oltranza delle attività, sia amministrative che didattiche, fino al ritiro della riforma e ad uno stop delle azioni repressive da parte della polizia nelle università [3].
Questo maggio si sta quindi prefigurando un mese di intense lotte e già in due occasioni le parti sociali che resistono al ‘colpo di stato sociale’organizzato da Macron (come lo ha battezzato il leader della France Insoumise, Mélenchon) hanno dato prova della loro forza e determinazione con due grandi manifestazioni di piazza: il primo e il cinque di maggio. D’altronde, la ricorrenza dei cinquant’anni del maggio 1968 ha un significato particolare per la classe lavoratrice francese, che non condivide l’interpretazione revisionista che ne danno i media nazionali e internazionali. In realtà, questo processo di distorsione della storia esalta proprio quegli aspetti che furono fallimentari nel cammino progressista della classe lavoratrice e del popolo francese.
Come ricorda Georges Gastaud, segretario nazionale del Polo di Rinascita comunista in Francia (PRCF): “Gli eventi del maggio-giugno 1968 hanno presentato lati deboli, chiaramente anticomunisti, antiproletari e antisindacali, in gran parte legati alla composizione di classe prevalentemente borghese e piccolo-borghese del movimento studentesco del tempo”. Gli elementi borghesi e piccolo borghesi che animavano parte del movimento studentesco furono etichettati dal sociologo marxista, Michel Clouscard, come bobos, cioè l’abbreviazione di ‘bourgeois-bohème’ o, nella versione estesa ‘liberal-libertaire–bourgeois-bohème’ (lili-bobo). Come fa ancora notare Gastaud, i bobossi riconoscono pienamente “nel liberalismo sociale di Anne Hidalgo, Rebsamen, Collomb, persino nel cosiddetto ‘nuovo mondo’ del super-Maastrichtian, atlantista e neo-thatcheriano Emmanuel Macron”.
Le lotte del maggio francese trovarono infatti la loro forza propulsiva altrove, cioè in un movimento di classe, politico e sindacale, guidato dal Partito Comunista Francese (PCF) e dalla Confederation General du Travail (CGT). L’esplosione del conflitto fu frutto del lavoro di organizzazione dell’avanguardia comunista che guidava sia il PCF che la CGT e che già nel 1967 aveva dato prova di poter fermare la produzione e di ottenere alle urne per le legislative il 22.7%. Tra il maggio e il giugno del ’68, la Francia assistette alla serie di scioperi più partecipati della sua storia, ancora più che nel ’36 sotto la guida del Fronte Popolare: 11 milioni di lavoratori in sciopero che, organizzati e determinati, bloccarono la produzione con la dichiarata intenzione di strappare il potere economico dalle mani dei padroni. ‘Governo popolare!’ gridavano gli operai in piazza. Non solo: il fuoco del ’68 si alimentò della fondamentale saldatura tra la classe operaia e la parte proletaria della gioventù.
In un certo senso e in forme necessariamente più sbiadite, anche nella piazza di questo primo maggio si è avvertita sia la positiva saldatura tra la classe operaia e la gioventù, sia la controproducente frattura di intenti tra i lavoratori e una parte minoritaria di movimento. Più di 50 mila persone, in gran parte lavoratori sindacalizzati, si sono ritrovate in Place de la Bastille. Numerosissimi e determinati gli cheminots. In testa, gli studenti universitari, che ancora in questi giorni stanno occupando le università sotto la costante minaccia dell’intervento poliziesco. Si respirava un’aria tranquilla ma combattiva: i partecipanti erano consci dell’importanza della giornata ma, allo stesso tempo, che questa avrebbe rappresentato solo un piccolo passaggio della lotta di resistenza contro le politiche di Macron. Di tutt’altra opinione quella parte di movimento che, come gridato ai quattro venti durante i mesi precedenti, aveva promesso di rimettere in scena gli scontri del ’68 e da subito sono stati accontentati dagli ingenti reparti della celere schierati. Alla fine, dopo aver coperto poche centinaia di metri lungo il canale che collega Place de la Bastille con la Senna, il corteo dei lavoratori ha dovuto ripiegare verso l’interno per evitare di essere anch’esso gasato dalla polizia. Place d’Italie, luogo in teoria d’arrivo del corteo, non è stata raggiunta che da un qualche centinaio di persone a pomeriggio inoltrato.
Il parapiglia tra polizia e manifestanti (ridotti dopo pochi minuti a qualche centinaio) si è protratto per qualche ora. Da una parte, quelli incendiavano un paio di cassonetti, fracassavano qualche parabrezza e infrangevano le vetrine di qualche banca, di un McDonald’s e di un negozio di macchine (tra l’altro mettendo in pericolo gli abitanti soprastanti). Dall’altra, la polizia ha inseguito i vari gruppi di cosiddetti black-block, mettendo in stato di fermo circa 200 persone. Da più parti, la polizia è accusata di aver usato la scusa degli scontri per bloccare (e mettere deliberatamente in pericolo) un fiume di gente determinato e combattivo. Come si legge in un comunicato della CGT: “Utilizzando questo pretesto [dei black block, ndr], le forze dell’ordine hanno bloccato diverse migliaia di manifestanti sul ponte di Austerlitz per più di 45 minuti tra i cordoni della polizia e i black-block” [4]. Quello che è sicuro, è che lo stesso atteggiamento attendista non è stato utilizzato dai reparti di intervento schierati in occasione di un altro concentramento di cheminots e studenti che il 7 maggio hanno subito pesanti cariche [5].
In definitiva, i temi caldi che erano stati portati in piazza il primo maggio sono stati relegati irrimediabilmente in secondo piano. Dopo una svista non indifferente in cui accusava la manifestazione di essere infiltrata da elementi di destra, il leader della France Insoumise Mélenchon ha dichiarato: “Nessuno può credere che rompendo una finestra di McDonald’s si faccia un atto rivoluzionario. Questa non è un’attività rivoluzionaria! Questo tipo di violenza non porta da nessuna parte. Non lasciatevi coinvolgere: è pura avventura e finisce sempre male. […] L’attività rivoluzionaria consiste nel sensibilizzare, organizzare, disciplinare milioni di persone che capiscono cosa è in gioco nel momento politico” [6].
Quegli stessi temi passati inosservati sui media il primo maggio, sono stati riportati con forza in piazza nella giornata del 5. Una scommessa giocata bene, quella della France Insoumise, che sotto l’hashtag #LaFeteaMacron (‘la festa a Macron’) ha lanciato la mobilitazione: nessun cappello ufficiale è stato messo sopra il corteo e tutta la galassia anti-Macron ha risposto positivamente alla chiamata. La France Insoumise è riuscita quindi ad egemonizzare la piazza, senza d’altra parte rischiare colpi di mano che l’avrebbero portata ad una conta ancora troppo prematura. Dal tetto del suo ormai celebre bus, durante tutto il percorso Mélenchon ha arringato la folla, più che dato la linea politica. D’altronde, di farsi portatrici del messaggio politico si sono occupate le centinaia di persone che hanno esposto i cartelli distribuiti alla piazza dalla France Insoumise.
I cartelli distribuiti alla piazza dalla France Insoumise – foto di Guido Salza)
A questo proposito, è importante notare come ormai il discorso UE-scettico abbia acquistato piena legittimità all’interno della resistenza a sinistra alle politiche filo-Troika di Macron. L’evoluzione della posizione della France Insoumise a questo proposito è emblematica di una presa di coscienza della gabbia imposta dalla burocrazia europea all’orizzonte politico di qualsivoglia azione progressista. In questo processo di radicalizzazione della sinistra francese, quella galassia di compagni che da sempre si fa portatrice di una netta opposizione all’UE è stata determinante. La posizione avanzata raggiunta dalla France Insoumise diventa ancora più centrale in vista delle elezioni europee: una ricomposizione con il fronte eurofilo di Varoufakis è sempre più improbabile e quelle organizzazioni che non saranno presto in grado di sciogliere questo nodo sono destinate al fallimento.
Il cartello recita “Per l’uscita dai trattati europei” – foto di Guido Salza)
Il movimento anti-Macron volge ora lo sguardo alle prossime date in programma. E il calendario è molto fitto. Il 15 maggio sarà il turno dei lavoratori della sanità che marceranno a Parigi. La funzione pubblica sarà in sciopero il 22. Il 26 un’altra chiamata generale per una manifestazione nazionale unitaria che sarà chiave: è già stata battezzata ‘marea popolare’ contro Macron. Tutto dipenderà dalla tenuta degli scioperi degli cheminots e dall’andamento dell’agitazione nelle università. Inoltre, la lotta potrebbe trovare nuovi e interessanti convergenze dal comparto pubblico (che deve ancora scendere in piazza in questo maggio) e nei salariati di Air France.
Note:
[1] Come successo ultimamente:
[2] per aggiornamenti quotidiani della lotta del comparto pubblico:
https://www.cheminotcgt.fr/actions/action-a-partir-des-3-et-4-avril-2018/info-luttes-n21/
[3] qui il comunicato:
[4] qui il comunicato integrale:
http://www.frontsyndical-classe.org/2018/05/casseurs-nous-ne-sommes-pas-dupes.html
https://www.lacittafutura.it/editoriali/il-nuovo-maggio-francese-sfida-il-presidente-dei-ricchi