Sono cresciuto in un’epoca in cui per indicare il Pci potevi dire anche “Botteghe oscure”, e allo stesso modo potevi usare “piazza del Gesù” per parlare della Dc. Si tratta di una figura retorica chiamata metonimia, che consiste nella sostituzione di un termine con un altro che ha con il primo una relazione di vicinanza, attuando una sorta di trasferimento di significato. Perché in via delle Botteghe oscure n. 4 e in piazza del Gesù n. 46 c’erano le sedi di quei due grandi partiti. E a Bologna potevi dire “via Barberia” e tutti capivano che parlavi del Pci, perché in quella via, anche in questo caso al civico 4, aveva la propria sede, in un antico palazzo senatorio, appartenuto un tempo alla famiglia Marescotti-Brazzetti, la federazione comunista più grande dell’Europa occidentale.
Evidentemente si tratta di storie della prima repubblica, perché ora nessuno potrebbe più usare questa figura retorica. Ci ho pensato vedendo la foto dell’incontro tra le delegazioni della Lega e del Movimento Cinque stelle impegnate nella stesura del “contratto” che farà nascere il prossimo governo. Come sapete si è svolto a Milano, nel grattacielo che in quella città è conosciuto come Pirellone, sede della Regione Lombardia. Perché i partiti non hanno più sedi; i partiti in Italia quando devono riunirsi, incontrarsi, fare quella cosa che noi chiamavamo politica, o usano gli spazi istituzionali, ad esempio come in questo recentissimo caso gli uffici dei gruppi, oppure devono affittare una sala in un qualche hotel.
Magari qualcuno di voi pensa che in questo sfortunato paese ci siano problemi ben più gravi di sapere dove abbiano la sede i partiti e che sia una perdita di tempo dolersi della scomparsa di queste antiche metonimie. Forse avete ragione, ma a me sembra un problema, e non è solo nostalgia della prima repubblica. Certo c’è anche una qualche forma di nostalgia, visto che ricordo la prima volta – e l’unica, perché poi lasciammo quella sede – in cui ho varcato, con una qualche emozione, la porta del Bottegone.
Il problema però è che non ci sono più le sedi di partito perché non ci sono più i partiti. Nella seconda repubblica il passaggio è stato graduale, ma inesorabile. Berlusconi fece diventare casa sua una sede di partito, perché il partito era suo. Visto che la metonimia funzionava ancora – perché si poteva dire Arcore per parlare di Forza Italia, visto che quella era la casa “preferita” – ci facemmo meno caso, ma quello fu il passaggio chiave. Intanto i portoni di palazzo Cenci-Bolognetti si chiudevano, noi lasciavamo via delle Botteghe oscure – e anche via Barberia – perché quelle sedi erano troppo grandi e costose e perché ci servivano i soldi per pagare dei debiti, e soprattutto chiudevano le migliaia e migliaia di sezioni che c’erano nel paese. Quando io ero un ragazzino, negli anni Settanta, a Quarto – una frazione di Granarolo, che aveva allora poco più di cinquecento abitanti – c’erano le sezioni del Pci e quella del Psi; la Dc non aveva una sede vera e propria, ma aveva in canonica il posto dove riunirsi. Non dico fosse così in tutti i paesini, ma quelle sedi esistevano, perché esistevano dei partiti che le facevano in qualche modo vivere.
In questa terza repubblica i partiti esistono solo se hanno un qualche potere, se hanno degli eletti, perché in quel caso hanno uffici e anche personale, visto che non ci sono più le sedi, ma non ci sono neppure più le persone che lavorano nei partiti. Se esisti solo se hai potere, se hai parlamentari, se hai rappresentanti nelle istituzione, dovrai fare di tutto per averli, perché altrimenti non esisti, sei destinato inesorabilmente a sparire. E se esisti solo se hai potere, è molto difficile che riesca a nascere qualcosa di nuovo, o nasce solo se che chi ti fa nascere ha molti soldi o comunque le risorse per farlo. Il primo motivo per cui io non potrò mai sostenere il Movimento Cinque stelle è essenzialmente questo: perché per me un partito la cui unica struttura è una società – e come giustamente avviene in una società, se muore il titolare, la proprietà passa agli eredi – non potrà mai essere un partito e questo rivela un fortissimo problema democratico, anche se poi quel partito raccoglie milioni di voti, ha tantissimi eletti e ha tutta la legittimazione per formare un governo.
Io non mi ci trovo in una politica senza partiti – e questo non è un problema, perché nessuno mi obbliga a fare politica, posso fare altre cose – ma soprattutto io ho paura di una politica senza partiti, perché senza partiti – e senza le loro “case” – la democrazia non funziona davvero.

 

 

 

Di Luca Billi

Luca Billi, nato nel 1970 e felicemente sposato con Zaira. Dipendente pubblico orgoglioso di esserlo. Di sinistra da sempre (e per sempre), una vita fa è stato anche funzionario di partito. Comunista, perché questa parola ha ancora un senso. Emiliano (tra Granarolo e Salsomaggiore) e quindi "strano, chiuso, anarchico, verdiano", brutta razza insomma. Con una passione per la filosofia e la cultura della Grecia classica. Inguaribilmente pessimista. Da qualche tempo tiene il blog "i pensieri di Protagora" e si è imbarcato nell'avventura di scrivere un dizionario...

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